E L’EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE SECONDA)
A cura di Andrea Boni
Le cinque verità descritte nel Vedantasutra.
Il Vedantasutra descrive cinque verità (tattva), o realtà- Esse sono(1):
1.Ishvara (il Sé cosmico)
2.Jiva (il sé individuale)
3.Prakriti (materia)
4.Kala (tempo)
5.Karma (azione)
Di queste le potenze di Ishvara sono infinite, mentre quelle del Jiva sono parziali. Tuttavia
entrambe le realtà ontologiche sono eterne, e hanno come loro attributi conoscenza (Sat), coscienza
(Cit), e beatitudine (Ananda). La coscienza non può essere separata dal Sé cosmico, come la
luminosità non può rivelare la propria forma, è altresì un attributo del Sé Supremo stesso; così non
cè conflitto nellaffermazione che Dio (il Sé) è pura coscienza e allo stesso tempo la coscienza è
un attributo del Sé.
Ishvara è considerato come l’origine di qualsiasi cosa animata ed inanimata, ed è la causa di tutte
le cause (sarvakaranakaranam). E’ il Controllore Supremo, e Colui da cui si diparte qualsiasi
movimento di tutta la manifestazione cosmica. E’ la Coscienza Universale ed è oltre la percezione
sensoriale. Tuttavia la Sua presenza è visibile nell’effetto (il prodotto) della Sua creazione. Il
ben noto fisico Max Born dichiarò: Nell’atomo ho visto la chiave dei segreti più profondi della
natura, e mi ha rivelato la grandezza della creazione e del creatore. E’ l’Eterno tra tutti gli
eterni, e la Coscienza suprema tra tutte le coscienze (nityo nityanam cetanascetanam Katha
Upanishad, 2.2.13) e può essere compreso solo con la Scienza del Bhakti Yoga, la via devozionale,
come espresso anche in Bhagavad Gita XVIII.55:
Bhaktya mam abhijanati
yavan yash casmi tattvataha
tato mam tattvato jnatva
vishate tad-anantaram
Soltanto col servizio devozionale è possibile conoscere Me, il Signore Supremo, così come sono. E
quando si diventa pienamente coscienti di Me grazie a questa devozione si può entrare nel regno di
Dio.
Ciò è peraltro confermato dal fatto che l’obiettivo del Vedanta è proprio il servizio devozionale,
come specificato da Bhaktivedanta Saraswati nel suo testo The Vedanta, its Morphology and
Ontology.
L’essere individuale, il jiva, è anche chiamato atman. Qualsiasi essere vivente è un jiva, l’atman è
infatti l’elemento centrale della personalità. In altre parole tutti i microorganismi, gli insetti,
gli esseri viventi acquatici, le piante, i rettili, gli uccelli, e così via fino ad arrivare agli
esseri umani, hanno come fondamento della personalità l’atman. Il Vedanta afferma con rigore
scientifico e filosofico che non solo gli esseri umani sono dotati di questa scintilla divina che
sta alla base di tutta la struttura psico-fisica, ma qualsiasi forma vivente. In questo senso il
Vedanta fornisce una prospettiva unica rispetto ad altre visioni scientifiche o teologiche. Nella
Bhagavad Gita XV.7 è detto:
Mamaivamsho jiva-loke
jiva-bhutah sanatanaha
manah-shashthanindriyani
prakriti-sthani karshati
Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono miei frammenti eterni, ma essendo
condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente
Ciò significa che tutti gli esseri sono particelle eterne e coscienti di Ishvara. Tuttavia la
differenza tra Ishvara e i jiva, risiede nel fatto che la Coscienza di Ishvara, il Sé Supremo, è
onnipervadente e illimitata, mentre quella del jiva, sebbene della stessa qualità, è localizzata e
limitata in potenza. E’ un po’ come la differenza che sussiste tra il fuoco e la scintilla di brace
che scaturisce da esso: sebbene dalla scintilla venga emanata luce e calore, tali attributi non
posso dirsi della stessa ampiezza del fuoco da cui la scintilla di brace ha origine. Nelle parole di
Shrila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, grande Maestro della tradizione Gaudiya-Vaishnava, Ishvara
è assolutamente infinito, mentre il jiva è assolutamente infinitesimale. Il sé individuale ha la
stessa qualità spirituale del Sé Supremo, ma la sua capacità è limitata.
Oggi, talvolta, come conseguenza dei notevoli progressi scientifici, leggiamo che gli scienziati
della bioingegneria o della biotecnologia giocano a prendere il posto di Dio. Inoltre, anche
studiando la storia, vediamo come si siano manifestate grandi personalità ritenute nel loro campo
dei veri e propri geni, come ad esempio Mozart, Michelangelo, Tagore, Gandhi, Einstein, e tanti
altri. Essi sono visti come piccole entità divine, ma nessuno di loro, sebbene molto intelligente,
può essere considerato Dio. Oltre a ciò, ciascun essere vivente, malgrado la sua ontologica unione
con il Sé superiore, mantiene la sua individualità ed identità rimanendo al tempo stesso unito e
separato dal Sé. Questo è il vero significato di biodiversità. Inoltre il Vedanta spiega che la
materia (prakriti), per quanto complessa possa essere, non genererà mai la coscienza, il principio
attivo della vita stessa. Quindi, nella prospettiva Vedantica il significato di vita è piuttosto
differente da quello formulato dalla visione scientifica occidentale, anche perché la scienza
moderna, di fatto, non ha ancora fornito una teoria soddisfacente circa l’origine della coscienza.
I concetti di tempo (kala) e spazio sono estremamente importanti sia nella tradizione del Vedanta
che in quella scientifica. Secondo una prospettiva accademico-occidentale il tempo ha avuto inizio
al momento del big-bang, momento in cui ha avuto inizio la manifestazione dell’Universo.
Secondo il Vedanta, invece, kala non ha inizio. E’ eterno ed è l’aspetto impersonale del Sé Supremo.
Krishna dice nella Bhagavad Gita: Io sono il tempo (kalo ‘smi) (XI.32). Quindi secondo questa
prospettiva il tempo non ha inizio e non ha fine, è una realtà ontologica, e tutto l’Universo
materiale si è manifestato come conseguenza di una big-vision piuttosto che di un big-bang. La
manifestazione del mondo fenomenico ha un inizio ed una fine, e questa è proprio una caratteristica
della natura materiale. Proprio come i corpi degli esseri viventi hanno un inizio ed una fine, così
sussiste un ciclo di creazione e annientamento senza fine, che si protrae da sempre proprio come il
cambio delle stagioni. La cosmogonia Vedantica propone una visione particolare relativamente alla
creazione della manifestazione materiale. E’ una visione fortemente simbolica che ha le sue radici
nel mito, e racchiude per questo una Verità oltre il piano razionale e quindi difficilmente
comprensibile secondo la logica cui siamo abituati. D’altra parte quello simbolico è il linguaggio
più consono per rapportarsi con Verità che vanno oltre l’esperienza sensoriale. Secondo tale visione
l’universo ha origine come atto creativo di Brahma, il primo essere (jiva) creato. Brahma in effetti
è considerato il demiurgo universale, colui che, investito da Vishnu stesso, crea sulla base degli
elementi primordiali da Lui messi a disposizione. Tali elementi sono proprio quelli enunciati dalla
Filosofia Samkhya. Brahma non è eterno. Anche lui muore, solo che i tempi sono decisamente più
dilatati rispetto all’esperienza umana. Un giorno di Brahma è chiamato kalpa, e un kalpa consiste di
mille cicli di quattro yuga (ere) chiamate rispettivamente: Satya, Treta, Dvapara, e Kali. Lo stesso
numero caratterizza la notte di Brahma. Brahma vive cento di anni così formati, dopo di che muore.
Con la sua morte si annienta la manifestazione materiale, che torna al suo stato non manifesto
(avyakta). La nuova manifestazione darà vita ad un nuovo ciclo universale. Ogni creazione, quindi,
non è ex nihilo, bensì trasformazione di una energia ontologica, la prakriti appunto, che nel suo
stato non manifesto prende il nome di pradhana. L’era nota come Satyayuga dura 1.728.000 anni;
Tretayuga termina dopo 1.296.000 anni; dvaparayuga dopo 864.000 anni, mentre Kaliyuga dopo 432.000
anni. Pertanto cento anni di Brahma corrispondenti alla durata dell’intera manifestazione cosmica,
equivalgono a 311 trilioni e 40 bilioni di anni così come concepiti dall’essere umano. Secondo la
cosmologia Vedantica, quindi, l’Universo nasce con l’apparizione di Brahma, che al tempo presente ha
un’età di circa 50 anni (secondo quanto riportato in Shrimad Bhagavatam III.11.34).
In sostanza, la scala temporale della cosmogonia Vedica è un ordine di 104 volte più alto rispetto
alla cosmogonia occidentale. Come specificato, la creazione e l’annientamento degli universi
materiali procede ciclicamente da sempre, ed è opera di un’espansione dell’Essere Supremo, come
specificato in Shrimad Bhagavatam I.2.1.
La materia (prakriti) è l’energia esterna della Coscienza Suprema (bahiranga shakti) ed è priva di
coscienza; per questo è anche detta energia inferiore. Gli esseri individuali (i jiva) sono invece
parte dell’energia superiore (e per questo tale energia viene detta energia marginale o tatashtha
shakti), e quindi sono dotati di coscienza. La materia ha come componenti principali i guna, le tre
caratteristiche della materia (tamas, rajas, sattva), che ricoprono la coscienza pura del jiva, e
rendono così la coscienza condizionata a vari livelli secondo il suo grado di evoluzione. Nei
microorganismi, ad esempio, pur essendo dotati di coscienza, a causa del condizionamento forte
indotto dalle influenze della natura materiale, il grado di copertura è tale che la coscienza non
si manifesta nel pieno delle sue potenzialità come potrebbe invece avvenire in una forma più
evoluta. Poiché la Scienza Occidentale è quasi esclusivamente immersa nello studio della materia
secondo un approccio positivista che limita l’accesso ad una visione più ampia del fenomeno
coscienza, tale elemento non è di fatto ancora noto nei suoi aspetti più profondi, ma solo in quelli
più superficiali, come l’apprendimento, la percezione, ecc., che costituiscono gli effetti manifesti
della coscienza, ma non la coscienza in sé. Ne tanto meno sono note le cause dei processi cognitivi
di un essere vivente. Secondo il Vedanta, la coscienza non è un prodotto cerebrale, ossia non è una
funzione del cervello. Anzi il cervello è considerato come uno strumento in cui la coscienza può
operare ed in cui si manifestano gli effetti. La coscienza intesa come energia, arriva direttamente
dal sé, e si manifesta poi secondo i diversi gradi di sviluppo evolutivo dell’essere.
La natura materiale, essendo non cosciente, non è indipendente, ma opera secondo la direzione della
Coscienza Suprema, come affermato anche in Bhagavad Gita IX.10:
Mayadhyakshena prakritih
suyate sacaracaram
hetunanena kaunteya
jagad viparivartate
La natura materiale, che è una delle Mie energie, agisce sotto la Mia direzione, o figlio di Kunti,
generando tutti gli esseri, mobili e immobili. Secondo le sue leggi questa manifestazione è creata e
annientata in un ciclo senza fine
Anche la natura materiale è una realtà ontologica, sebbene possa trovarsi in uno stato non-manifesto
(avyakta) tra un ciclo in cui è reso manifesto l’universo fenomenico ed il successivo. Nel Vedanta è
quindi chiamata aparaprakriti, o energia inferiore.
Qualsiasi attività del singolo essere vivente è chiamata karma, azione. Ogni essere vivente è
soggetto all’azione, è impossibile esserne esenti, come specificato da Krishna in Bhagavad Gita
III.5:
Na hi kashcit kshanam api
jatu tishthaty akarma-krit
karyate hy avashah karma
sarvah prakriti-jair gunaih
Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite sulla base
delle influenze della natura materiale; perciò nessuno può astenersi dall’agire, nemmeno per un
istante.
Tutti gli esseri sono quindi soggetti all’azione, godendo o soffrendo dei relativi frutti e questo
perdura da tempo immemorabile. Il karma ha una stretta connessione con il libero arbitrio
dell’individuo. Fin tanto che l’essere è incapsulato nella forma vegetale o animale, è soggetto a
profonde e radicate forze cosmiche che lo spingono in modo naturale a salire nella scala evolutiva
coscienziale, ma una volta raggiunta la forma umana il libero arbitrio è pienamente operante ed
influenza il progredire o regredire. In questa forma la catena del karma può finalmente essere
spezzata definitivamente attraverso una scelta attenta della modalità con la quale si persegue
l’azione. Nel Vedanta, inoltre, sono fornite tutte le risposte alle apparenti contraddizioni ed
ingiustizie che si evidenziano nel mondo materiale perché l’informazione del karma resta
accuratamente memorizzata ed è pronta a dare i suoi effetti quando giunta ad una opportuna
maturazione (karma vipaka).
In definitiva il karma non è eterno. Possiamo modificare gli effetti indirizzando opportunamente il
libero arbitrio, e ciò è funzione del livello di conoscenza del soggetto. Una conoscenza non teorica
(jnana) ma realizzata (vijnana) del concetto di azione e delle sue conseguenze.
(1) Quanto segue è liberamente tratto, riadattato ed integrato dall’articolo: Human Life and
Evolution of Consciousness, T.D. Singh, pubblicato nel 2002 sul Vol. 1 della rivista Savijnanam, a
cura del Bhaktivedanta Institute.
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