Scoprire se stessi

pubblicato in: AltroBlog 0
Scoprire se stessi

di Radha Burnier, presidente mondiale della Società Teosofica

Tra le tante illusioni che affliggono gli esseri umani ce n’è
una che può avere conseguenze più serie delle altre, ed è l’idea che
conosciamo noi stessi. Milioni di esseri umani ci credono. Ma cosa
sappiamo veramente di noi?

Sebbene in molti riconoscano l’importanza di acquisire la
conoscenza di sé, nella vita quotidiana ci relazioniamo con ogni cosa
come se già ci conoscessimo. E allora, cerchiamo di considerare
attentamente quel che sappiamo di noi stessi. Probabilmente ciascuno
conosce, almeno in parte, la storia della sua vita: dove è nato, chi
sono i suoi genitori, dove è andato a scuola, ciò che ha conseguito,
chi sono i suoi amici o chi lo stima. Possiamo anche aggiungere dei
dettagli lusinghieri a questi dati biografici e, poiché abbiamo alcune
informazioni, pensiamo di conoscerci. La gente perfino, dichiara con
orgoglio: “Io so chi sono” e “So quello che sono”. Quando una persona
ha successo nella vita l’idea che conosca se stessa diventa ancora più
forte.

Come i bambini o gli infanti noi non conosciamo noi stessi
assolutamente. Mio fratello minore, quando era un bimbo, e cominciava
appena a parlare, si riferiva sempre a se stesso come papa, che
significa “bambino” nella nostra lingua, e considerava se stesso un
bambino tra tanti altri bambini, che ugualmente chiamava papa. Ma più
tardi, in qualche maniera, acquisiamo l’autoidentità.

Oltre a nozioni riguardanti la nostra carriera o le nostre capacità,
che cosa sappiamo, considerando la cosa dal punto di vista del
buonsenso? La più parte dell’impressione di conoscere noi stessi è
basata sulla cognizione del nostro corpo fisico, ottenuta forse dopo
esserci guardati molte volte allo specchio: sono alto, basso, sto
diventando calvo, oppure ho tanti capelli.

E così il corpo, con i suoi bisogni, desideri e richieste gioca un
grande ruolo nella vita della maggior parte degli esseri umani. Ma
perfino quello che pensiamo di conoscere riguardo al suo aspetto può
non coincidere con quello che ne pensano gli altri. Qualcuno può
affermare: “Sono veramente bello”, mentre qualcun altro può ritenere
l’opposto. Una signora che venne ad Adyar dal Vietnam anni addietro
fece questa osservazione: “La gente qui è così brutta, ha dei nasi
così grandi!” C’è chi è orgoglioso di avere un naso aquilino, ma ella
pensava che un piccolo naso corto e all’insù fosse molto più
attraente! In tal modo le idee che abbiamo riguardo il nostro aspetto
possono essere sbagliate.

In realtà conosciamo molto poco del nostro corpo – come fanno tutte le
sue membra e i suoi organi ad essere così meravigliosamente
coordinati? Non è perché noi vogliamo che sia così, lo fanno da soli!
Che cosa conferisce al corpo la sua vitalità? Come gli arriva, tale
vitalità, senza che esso si disintegri? Non ne abbiamo idea. Qualcuno
ha una conoscenza libresca, ma in realtà ignora ciò che fa ammalare il
corpo. Come si mantiene sano? Neppure i medici ne sanno molto, essi
possono sbagliare nel prescrivere la medicina giusta o nell’eseguire
appropriatamente un’operazione chirurgica; conoscono il funzionamento
degli organi interni, ma non compiutamente.

Esaminiamo ora gli altri fattori che ci fanno credere di conoscere noi
stessi, per esempio le nostre emozioni. Il dono prezioso della
consapevolezza ci mette in condizione di guardare alle nostre
esperienze e dire: “Ho sofferto”, oppure: “Mi sto divertendo” e così
via. Conosciamo anche il piacere, il dolore e le lotte della nostra
natura emozionale, ma in modo molto superficiale. Se impariamo a fare
più attenzione possiamo diventare consci delle molte contraddizioni di
tali emozioni: talvolta paura, talaltra un senso di benessere,
talaltra ancora speranza e poi frustrazione o disappunto. Come afferma
la Bhagavadgita noi siamo sballottati tra emozioni opposte, sulle
quali abbiamo poco controllo. Ma generalmente non siamo consapevoli
delle contraddizioni, incongruenze e illogicità delle nostre risposte
emozionali. Sappiamo ancor meno riguardo i sentimenti che reprimiamo e
le motivazioni occulte, e questo spiega perché le professioni di
psicologi, psicanalisti e psichiatri sono così redditizie!

La signora Montessori affermava che un bambino diventerà un cittadino
sereno o un individuo aggressivo a seconda di come è stato trattato
nei primi anni, a casa e a scuola. Probabilmente aveva ragione. Dentro
di noi ci sono pure le tendenze che ci derivano da molte vite passate,
come per esempio la paura. Sono davvero poche le persone assolutamente
libere dalla paura, poiché essa è cresciuta nel cervello, per metterci
in grado di sopravvivere di incarnazione in incarnazione.

Chiunque sperimenti paure e sospetti irrazionali può essere quasi
sicuro che gli derivano dal lontano passato. Certi individui hanno una
natura felice sin dall’infanzia, altri sono invece sospettosi, altri
ancora sfrontati o timidi. Non sappiamo quasi niente riguardo queste
tendenze che abbiamo ereditato, per cui abbiamo delle difficoltà a
farvi fronte e questo spiega perché nel mondo prevalgono tanta
confusione e insicurezza.

Allora dovremmo osservare la mente, che pensiamo di conoscere.
Scoprire la verità riguardo la natura del proprio mentale è molto
difficile. Abbiamo raggiunto quello stadio dello sviluppo evolutivo in
cui il cervello è tanto intelligente e così ci identifichiamo quasi
interamente con i suoi processi; desideriamo che i nostri figli siano
intellettualmente capaci, in modo da potersi realizzare a livello
sociale o arrivare all’eccellenza in certi campi. Immaginando di
essere il principio pensante è veramente come trasformare il ladro nel
poliziotto. Ne La Voce del Silenzio, un classico della Teosofia, tale
“principio pensante” viene definito il “produttore del pensiero”,
colui che “risveglia l’illusione” e uccide il reale. Ma
sfortunatamente dentro di noi l’autoconsapevolezza non è tanto
sviluppata da farci capire che una sovrabbondanza di immagini, idee e
teorie proiettate dalla mente crea solo illusione.

Vediamo di considerare anche il fatto che quello che ciascuno proietta
come “se stesso” non concorda assolutamente con quello che gli altri
vedono. E’ facile cogliere i difetti e le manchevolezze degli altri,
ma raramente quelli nostri. E così riflettere su tutto ciò instillerà
il dubbio nelle nostre menti. So veramente chi sono, dato che non
conosco molto del mio corpo, o del mio stato emozionale subcosciente,
o di come la mia mente crea delle illusioni, distruggendo il reale?
Sappiamo così poco che dovremmo farci delle domande e scoprire
qualcosa in più, riguardo noi stessi, invece di dire: “So chi o quello
che sono”, ricordando che perfino quando non lo diciamo così
apertamente, agiamo come se sapessimo chi siamo.

Tra i tanti maestri spirituali che hanno parlato della necessità di
conoscere se stessi c’era Madame Blavatsky che scrisse: “La conoscenza
di se stessi è saggezza essa stessa”. Sri Ramana Maharshi raccomandava
sempre alle persone di chiedersi: “Chi sono?”. Krishnamurti ha parlato
molto del sé e delle sue attività. E allora perché non cominciare a
scoprire la verità riguardo a se stessi invece di portare tutto il
tempo il pesante fardello di una immagine di sé? Qualcuno potrebbe
naturalmente obiettare: “Perché dovrei conoscere me stesso? Quello che
so mi permette di condurre bene l’esistenza pratica e, in effetti, ho
avuto un certo successo nella vita. Che cosa dovrei volere di più?” Ma
il mondo ci mostra la falsità di questo punto di vista. Esso è uno
specchio che riflette in noi la violenza, la corruzione, l’inganno e
la crudeltà della maggior parte degli esseri umani. Pertanto è molto
importante imparare di più riguardo a noi stessi. Se abbiamo una
concezione sbagliata di noi ci causiamo del dolore. Se io penso di
essere molto importante, presto o tardi soffrirò perché qualcuno farà
o dirà qualcosa che contraddirà la mia importanza. Se dovessero dirci
che siamo degli stupidi questo ci contrarierebbe. Invece guardiamoci
dentro esaminando se tale critica è scorretta o parzialmente giusta o
cos’altro, mantenendoci equanimi, senza mettere la nostra felicità
alla mercé di un agente esterno. Se permettiamo a noi stessi di farci
importunare facciamo soffrire i nostri vicini, gli amici, la famiglia
e il mondo in generale.

Al giorno d’oggi la gente vuol mangiare la carne di animali selvatici,
perfino quella delle specie in via di estinzione, per soddisfare gli
appetiti dei suoi sensi. Il continuo bisogno di novità e di
sollecitare i sensi è responsabile della creazione della società
consumistica. Quando ci si identifica col proprio corpo e con i suoi
desideri si diventa responsabili dei danni, della crescente
competizione, dei conflitti e così via. Il consumismo in aumento sta
distruggendo la nostra bellissima terra e la sua immensa varietà e la
sta inquinando. Così cerchiamo di riflettere e capire che se non
comprendiamo noi stessi ci facciamo del male e causiamo sofferenza al
mondo. D’altra parte se c’è pace nei nostri cuori ci sarà pace nel
mondo. Le meditazioni e i discorsi sulla pace sono di poca efficacia
quando non c’è comprensione sul come portare pace nel nostro cuore.
Così dobbiamo cominciare l’impresa di comprendere noi stessi, per
creare un mondo migliore, poiché come abbiamo già detto il mondo è lo
specchio di noi stessi.

Ne Ai piedi del Maestro viene detto che il corpo fisico vuole molte
cose: riposare quando c’è del lavoro da fare, o quando è necessario
andare avanti per aiutare qualcuno. Può essere pigro e poco incline
all’azione, allo sforzo. Allora ci dirà di lasciare che qualcun altro
si occupi del lavoro da fare. Il corpo fisico ha i suoi desideri
poiché ogni sua cellula è una creatura vivente, che evolve alla sua
maniera, al suo livello. Tutte le cellule del corpo messe assieme
hanno una loro coscienza propria. Tecnicamente in Teosofia essa viene
definita “elementare fisico”.

Coloro che hanno letto qualcosa della vita di Krishnamurti hanno
sentito parlare di quello che veniva chiamato “il processo” – ovvero
di come, quando egli lasciava il corpo per fare dell’altro, il corpo
gli dicesse: “Non lasciarmi, torna indietro!” e poi si sarebbe
corretto dicendo: “Non posso richiamarlo indietro, mi è stato detto di
non farlo”. Dovremmo essere consapevoli che il corpo si comporta così,
per non divenire suoi schiavi. Lo stesso vale per la nostra natura
emozionale e mentale; esse hanno il loro modo particolare di
funzionare e se siamo distratti ci ingannano. La natura emozionale ama
le vibrazioni violente. Ama sentirsi infelice, offesa, eccitata,
sbattuta qua e là. Non si preoccupa necessariamente se l’esperienza
sia dolorosa o piacevole, perché ama le vibrazioni forti.

Ne Ai piedi del Maestro ci viene detto che il corpo mentale ama
sentirsi orgogliosamente separato. E dunque fa comparazioni ed emette
giudizi per convincere se stesso di essere superiore agli altri. Ma
spesso non siamo consapevoli di questi accadimenti. E perciò
analizziamo, critichiamo e inventiamo dei modi per valutare persone e
cose. Da qui l’importanza dell’insegnamento: “Non giudicare”. La
differenziazione è parte del modo di lavorare della mente e questo ha
i suoi vantaggi. Ci perderemmo, nel mondo materiale, se non sapessimo
distinguere le differenze e riconoscere le cose. Ma mentre facciamo
questo ingrandiamo, mattone dopo mattone, il senso dell’io.

Scoprire se stessi non significa ricordarsi di quello che hanno detto
psicologi o maestri spirituali. Le parole degli altri non ci potranno
aiutare a scoprire cos’é e cosa non è la nostra vera natura. Dobbiamo
trovarlo da soli e solo allora cominceremo a vivere diversamente.
L’autocoscienza nell’essere umano è ancora molto rudimentale, ecco
perché siamo incapaci di capire quel che c’è nel nostro subconscio, i
sentimenti che reprimiamo e le motivazioni occulte.

La maggior parte di noi è soddisfatta della sua vita meccanica. Prima
dello stadio umano l’azione è programmata dalla Natura e tutte le
creature fanno quello che è giusto per loro, guidate dalla sua
saggezza. Il genere di cibo che cercano, le abitudini con cui sono
nate, e così via sono“istintive”. Quando una mamma pinguino delle
regioni artiche parte per cercare cibo, papà pinguino tiene calde le
uova con il suo corpo e le gira ogni tanto, perché non gelino in breve
tempo. Come fa a sapere quel che deve fare? Glielo ha insegnato la
Natura. Ma se gli esseri umani agissero come creature programmate
rinuncerebbero alla capacità dell’uomo di discriminare. Cesseremmo di
osservare e distinguere tra realtà e illusione, tra quello che è
giusto e quello che è sbagliato, tra ciò che è utile e ciò che è
dannoso. Sappiamo molto poco riguardo a tutto questo, a quando nocivi
siamo nel nostro piccolo. Quando parliamo sgarbatamente o restiamo
indifferenti al dolore degli altri, commettiamo un peccato.

Ma c’è un grave pericolo nell’autoconoscenza. Essa può diventare una
nuova forma di egocentrismo. E’ essenziale osservare e affrancarsi
dalle offese, dalla rabbia, avidità e così via. Ma la capacità di
essere coscienti di sé deve essere sviluppata senza un autoincentivo.

E’ interessante notare che quando concludiamo di essere superiori agli
altri, proprio quel fatto ci rende esattamente uguali alle altre
persone. Tutti coloro che agiscono con l’io sono sulla stessa barca,
nello stesso fiume delle persone che vivono egocentricamente,
preoccupandosi solo di sé. E’ necessario vigilare affinché
l’autoosservazione non diventi una nuova forma di egocentrismo.
Proprio per questo le Upanishad affermano che il sentiero verso la
libertà dal sé, dall’illusione e dalla sofferenza cammina sul filo del
rasoio, rendendo difficile mantenere l’equilibrio. Esso è chiamato, ne
La Luce sul Sentiero, “la pericolosa scala della vita”. Ci viene
chiesto di percorrere il sentiero con consapevolezza ma senza
preoccuparci di noi stessi o altre forme più sottili di egocentrismo.

Evitare questo pericolo comporta il lasciar da parte la propria
persona e l’associare l’“io” a tutto quello che facciamo. E’ naturale
che proviamo piacere quando incontriamo un amico o vediamo qualcosa di
molto bello. Tutta la vita è così bella che dovremmo essere in uno
stato di continua felicità, se solo potessimo scrollarci di dosso
l’illusione di pensare sempre: “Questo piacere è mio”, “Io sono
questo”, “Io sono quello” ecc. Il piacere è piacere. Perché dovremmo
dire che quel piacere ci appartiene? Il vostro piacere non è diverso
da quello degli altri. La vostra felicità (se è vera) è come la vera
felicità in ogni altro. Cerchiamo quindi di non essere schiavi
dell’abitudine di pensare in termini di “io” e “mio”, poiché ogni
volta che facciamo questo rafforziamo l’egocentrismo in noi.

In secondo luogo, come raccomanda La Luce sul Sentiero: “Osserva
attentamente tutta la vita che ti circonda. Impara a guardare con
intelligenza nei cuori degli uomini”. Per scoprire come si comporta
l’io è bene osservare non solo se stessi ma anche come agisce nelle
altre persone. Mentre si viaggia su un autobus o un treno si può
esaminare il comportamento della gente, come l’io proietta se stesso,
cerca di occupare il posto migliore, il tutto sulla base della sua
convenienza e del suo piacere. Possiamo imparare molto riguardo la
natura umana anche osservando il comportamento degli animali. Tutto
quello che ci circonda comprende animali, persone, bambini, come
diventano adulti e anche la bellezza, la vastità, la creatività della
Natura e le nostre reazioni. Pertanto, possiamo scoprire molto di più
riguardo a noi stessi se non siamo egocentrici.

Si dice che l’intelligenza sia imparziale. Così dovremmo osservare
imparzialmente, in maniera impersonale, senza giudicare o arrivare a
delle conclusioni, per sfuggire al pericolo di una continua
preoccupazione di sé.

Conferenza pubblica tenuta ad Adyar (Chennai, India) il 30 dicembre
2005, presso il Quartier Generale della Società Teosofica, in
occasione della Convention Teosofica internazionale.

Traduzione di Patrizia Moschin Calvi.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *