SE DARWIN SI È DISTRATTO…
di Antonio Bruno
per Edicolaweb
Come mai i componenti minerali che si possono rintracciare nello scheletro umano sono numericamente
così limitati al confronto di quelli riscontrabili nello scheletro di tutti gli animali? Come può,
l’uomo, discendere dalla scimmia se non possiede tali (ed altri) segni di “vetustà” della specie?
Un’altra osservazione, che ci può stimolare, quanto meno, un po’ di perplessità, è la disparità di
tempo richiesta dal nostro organismo per un completo sviluppo fisico, rispetto al tempo impiegato
mediamente da quasi tutti gli animali, i quali, come ben sappiamo, spesso diventano adulti nel giro
di pochi mesi.
La scienza, da sempre pronta a mettere alla gogna della derisione e del pubblico ludibrio chiunque
“osi” discutere i suoi assunti dogmatici, non si comporta certamente in modo diverso rispetto a
quegli studiosi “indipendenti” che, di fronte ad una massa di considerazioni di cui le due testé
descritte sono solo un piccolo esempio, si sentono stimolati a formulare, coraggiosamente, ipotesi
diverse.
Essendo ipotesi, ed ammesse per tali dai loro stessi formulatori, va da sé che non ci sarebbe
bisogno del sarcasmo spesso becero e saccente dell’ortodossia (o dei suoi “lacchè”) e che, invece,
sarebbe più opportuno e saggio metterle, “in un angolino”, come possibilità probante nel caso che la
scienza non riesca “veramente” (senza alibi protettivi di rifugio) a risolvere i tanti quesiti
irrisolti propostici sia dalla storia retrospettiva della nostra specie che da altre osservazioni e
considerazioni in campo antropologico, paleontologico, archeologico, ecc…
Chi scrive è del parere che non sia affatto da scartare l’idea che possano essere esistite, in tempi
assolutamente al di fuori di quelli antropologici ortodossi (ed anche di quelli storici), civiltà a
noi del tutto sconosciute e che l’homo sapiens-sapiens possa essere il frutto di una duplice
probabilità: o ha avuto un tempo molto più lungo per svilupparsi e divenire quello che “siamo oggi”,
oppure che “qualcosa” lo ha aiutato nella sua evoluzione, “qualcosa” che mi azzardo a definire, con
coraggio, “estranea” alla Terra.
Ora, se siete in un momento di relax e vi piace giocherellare un po’ con le dita delle vostre mani
come si fa quando si legge, si parla al telefono o si guarda la tv, provate il giochetto del pollice
che “suona le dita” come fossero tasti di un piccolo piano… In altre parole, fate in modo che il
vostro pollice prema leggermente e velocemente, uno dopo l’altro, i polpastrelli delle altre dita,
dal mignolo all’indice, e questo nei due sensi inversi. Se avete anche la fortuna di possedere un
cane o un gatto, provate ad immaginare (non forzatelo a farlo, per carità!) che egli faccia la
stessa cosa e considerate se questo sia possibile…
Non è possibile: noi siamo l’unica specie che possiede l’opponibilità del pollice, caratteristica,
questa, che ci ha portati a straordinarie conquiste. Darwin, notando questo, ha giustamente dedotto
che si tratta di una peculiarità preziosa ma ha, poi, compiuto un errore dettato, secondo me, da una
sorta di fretta entusiastica: ha pensato di poter concludere che le varie funzioni imposte
all’ominide nel corso dei millenni siano state la causa di questa “specializzazione”, evolutasi,
cioè, dalla mano della scimmia. Detto in modo diverso, le svariate necessità pratiche e di
sopravvivenza di fronte alle quali l’ominide si è trovato grazie alle molteplici “intuizioni
fortunate” del suo cervello, lo hanno indotto ad usare le sue mani in modo sempre più specializzato,
fino a renderle capaci di una creatività manuale del tutto distanziantesi da quella animale.
Giuseppe De Petro, dell’ Editrice Piacentini, scrive (anche se per giungere ad argomentazioni non
molto…”scientifiche” sulla sessualità maschile):
“[…] Secondo me i maschi sono geneticamente predisposti a fare sesso solo attraverso la
masturbazione. Considerano tutte le altre forme dei surrogati. […] Il punto evolutivo che ha reso
la razza umana superiore a tutte le altre è stato il momento in cui il pollice è diventato
opponibile alle altre quattro dita, permettendo di manipolare e costruire oggetti, insomma di
utilizzare strumenti, dando così inizio alla civiltà eccetera eccetera. Ma perché questo è successo?
Perché a un certo punto della storia evolutiva la natura umana ha sentito la necessità di un pollice
opponibile? Perché l’uomo è l’unico tra le specie animali ad avere il pollice opponibile? Perché?”
(fonte: www.piacentini.net).
Ora, a prescindere dalla opinabile idea che noi maschietti siamo genericamente condannati…. a
vivere di fantasie erotiche ed individuando in questo una delle ragioni fondamentali per lo sviluppo
del pollice opponibile (!!!) (non ho ben capito se l’Autore stesse scherzando o meno…), è giusta
l’osservazione che il pollice opponibile abbia permesso, ad un certo punto, il nascere della
tecnologia.
La teoria dell’adattamento della specie, comunque, che sta alla base del darwinismo, viene citata
anche in esobiologia, allorquando si ipotizzano, come fanno gli scienziati del Programma SETI, i
vari abitanti di pianeti dalle condizioni atmosferiche del tutto diverse di quelle della Terra. La
“teoria dell’adattamento” è, però, anche un’utile scappatoia per trovare delle risposte di fronte a
considerazioni ed osservazioni le quali, altrimenti, sarebbero non poco imbarazzanti.
Non sono pochi i reperti che sembrano chiaramente retrodatare di molto la storia dell’umanità. E se,
chi li rileva od evidenzia nell’intento di portare un contributo alla scoperta della verità, viene
automaticamente a trovarsi privato del diritto, non solo di attendibilità ma anche di ascolto, i
fatti restano e le risposte alternative, quelle ortodosse, non mi soddisfano per nulla (ma sono in
buona compagnia, per fortuna).
Se le scimmie non possono creare microchips, possono, però, arrampicarsi come fulmini sugli alberi
mentre, al confronto, anche il nostro atleta più in gamba farebbe ben misere figure, Tarzan
permettendo…
Avete appetito?… Un frutto sano, quello che “toglie il medico di torno” è alla portata di tutti:
una bella, succosa e promettente “mela”! Concentrato di virtù salutari, la mela è stata addirittura
capace di far perdere il Paradiso Terrestre a quei due sfortunati di Adamo ed Eva. Bene, se ne avete
una a portata di… denti, datele un bel morso. Sano, spontaneo, genuino: è un piacere della vita,
soprattutto in autunno, per chi ha la fortuna di poterla cogliere direttamente da un albero, con
buona pace del contadino e la precauzione di pulirla un po’ dai prodotti chimici… Questo semplice
piacere della vita ce lo possiamo concedere, ma, se ci trovassimo di fronte ad altri cibi
particolari? Necessità di strapparli dalle piante, di triturarli senza tante posate, ecc… A quel
punto, dovremmo guardare e meditare sulla lucertola che scivola via sul muretto di pietra o
sull’asfalto anonimo di una strada periferica: vedremmo che i rettili possiedono denti che tendono
all’infuori o che, il nostro cane come altri mammiferi, possiede una dentatura “all’indentro”. Non è
difficile, a questo punto, constatare che solo noi uomini abbiamo i denti assolutamente dritti,
ossia “non specializzati”.
Come Kolosimo fa notare in un suo libro (“Non è terrestre”, Saggi Oscar Mondadori), lo studioso
tedesco Walter Dohmann ha scritto:
“Darwin non sapeva queste cose oppure non vi aveva prestato attenzione. Furono proprio le sue
ricerche a dare avvio a serie indagini scientifiche sull’origine dell’uomo; eppure egli usò
espressioni come ‘primitivo’, ‘originario’, ‘specializzato’, senza rendersi conto che le cose, in
effetti, sono diverse. E di una diversità enorme! Darwin avrebbe probabilmente definito primitiva
l’estremità di un quadrumane, mentre oggi si sa che è altamente specializzata. Essa è adatta del
tutto all’ambiente, e mai potrebbe divenire ‘universale’ com’è la nostra mano!”
Ci sarebbe, dunque, un controsenso piuttosto evidente: ma chi siamo noi, così diversi, quasi
standardizzati su modelli “non terrestri”, da assomigliare, sì, a presunti “progenitori” autoctoni
ma da avere caratteristiche, direi, “privilegiate”, acontestuali, quasi fossimo stati “inseriti” ad
un certo punto dell’evoluzione dell’ecosistema della Terra, su questo pianeta o come se, una qualche
diramazione ominide, fosse stata “geneticamente” sconvolta a fini di perfezionamento.
Mentre gli ortodossi che avessero avuto l’avventura di leggere questo mio intervento staranno
presumibilmente “saltando sulla sedia” del loro scandalizzato razionalismo, mi conforta il pensiero
che sono sempre di più gli studiosi che prendono coscienza, come in altri campi d’indagine
archeo-storica, che “molti conti non tornano” e che Darwin, per quanto un grande, non è stato,
necessariamente, un Vate di sapere.
Non mancano, un po’ in tutto il mondo, rinvenimenti inquietanti di esseri che non si sa bene a quale
punto della scala evolutiva (se scala evolutiva in senso onnicomprensivo esiste) possano essere
collocati. Le cronologie vacillano, le certezze chiedono terreno. Bella la “fantascienza”…!
Reperti, manufatti, oggetti sconosciuti hanno addirittura dato origine alla misconosciuta categoria
degli O.O.P.A.R.T.
Ho spesso affermato che, a mio parere, si tratta niente meno che di un “mezzo d’indagine dell’ignoto
attraverso non i canali convenzionali del metodo scientifico bensì quelli, fragili ma affascinanti,
dell’immaginazione”. E c’è da prestare, alla fantascienza, più dignità e considerazione di quanta
non ne goda tuttora. Del resto, sono ben note le intuizioni geniali, in anticipo sui tempi, di
scrittori del passato di fantascienza, più o meno noti, rispetto alle scoperte scientifiche
ortodosse.
Personalmente, dunque, non mi sento affatto insultato o “inferiore” se mi si taccia di pensieri
“fantascientifici”: ci sono dei “fatti”, ci sono delle domande irrisolte. La mente lavora perché non
è solo “cervello”, è anche “spirito”; e lo spirito, forse, riesce ad accedere al piano della
conoscenza per sua intrinseca virtù, al di là dei nostri “tempi terreni”. Per questo, domandandomi,
come tanti altri prima di me: a quali lontani parenti avranno appartenuto certi reperti, certi
oggetti misteriosi? A cosa saranno serviti, o “chi” li ha prodotti “per essi”, non mi sento affatto
ridicolo.
C’è chi parla di creature giunte dallo spazio, simili a noi, per “civilizzarci” o innestare i
processi tecnologici; chi di immani cataclismi che costrinsero l’uomo a ricominciare tutto da capo
più o più volte…
Nel corso delle ricerche “coraggiose” che difendo in questo mio intervento, si sono presentate più
volte, all’attenzione degli studiosi, produzioni “letterarie” o religiose, tradizionali o esegetiche
antichissime, proprie di popoli mitici e per certi versi ancora misteriosi. Come il “Popol Vuh”, che
Kolosimo chiama “la bibbia Maya”. In quel testo si parla di remote civiltà annientate dai “creatori”
perché “incapaci di adorarli”.
Il mio augurio più profondo, alla nostra civiltà, è che essa non si renda degna ancora, con i suoi
mille, inquietanti errori dettati dalla superbia, di simili, sconvolgenti, interventi…
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