Se l’io empirico tradisce, l’io metafisico ama

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Se l’io empirico tradisce, l’io metafisico ama

di Marco Ferrini

Il tradimento appartiene alle memorie più antiche del genere umano. Prendiamo ad esempio la
narrazione biblica del tradimento di Lucifero (“portatore di luce”) che è l’emblema del tradimento
sul piano più alto, quello del “Regno dei Cieli”. Lucifero era un angelo dotato di radiosa bellezza,
il più splendente e il più vicino a Dio, a Cui si ribellò peccando di superbia. Il suo nome venne
trasformato in Satana, “l’avversario”, colui che tenta gli uomini con l’orgoglio e l’invidia,
causandone l’allontanamento da Dio – l’Amore – e ogni manifestazione divina. Dunque, Lucifero e gli
angeli ribelli caddero all’Inferno per aver tradito, ancor prima che gli uomini apparissero sulla
terra. In chiave metaforica, l’uomo dotato di libero arbitrio può scegliere se essere fedele ai
propri valori e ideali e dirigersi verso il bene (Dio è il Bene e crea il bene) o se abbandonarlo
realizzando il male e tradendo, innanzitutto, se stesso e la propria natura divina. Lealtà e fedeltà
sono indirizzate al bene, all’Amore e alla libertà inseparabilmente legata ad esso. Gli esseri umani
realizzano il male attraverso i loro atti devianti dal Dharma, dalla Legge di Dio, conseguenza dei
desideri, sentimenti e pensieri che coltivano e che, che nelle relazioni, si presentano anche sotto
forma di tradimento.

Il tradimento è un fenomeno sociale da prendere in seria considerazione; è un evento traumatizzante
e può segnare per il resto della vita chi l’ha subito, ma anche chi lo ha inferto. Chi tradisce gli
altri, tradisce innanzi tutto se stesso, venendo meno ai valori cui aveva aderito e a quanto
edificato su di essi. Il tradimento ha una portata debilitante e può avvenire tra coniugi, fratelli,
amici, soci, colleghi; si può tradire la fiducia di coloro che ripongono nel soggetto traditore
un’alta stima, che gli affidano un ruolo di responsabilità nel posto di lavoro, nella società e in
famiglia, addirittura investendo nel traditore la propria vita e affettività. Si possono tradire la
patria e gli ideali in cui si crede, sino a tradire Dio, come Giuda e Lucifero nella tradizione
cristiana, o a sfidarlo, come fece Hiranyakashipur nei confronti di Shri Vishnu, narrato nel
Bahagavata Purana. Le antiche scritture ci rivelano che superbia e orgoglio sono le prime cause del
tradimento.

Come ogni grande prova della vita, la predisposizione con cui affrontare l’accadimento è
fondamentale per attraversarlo e andare oltre, diventando occasione di trasformazione ed evoluzione
interiore in questa esistenza incarnata. Il tradimento è sempre un evento traumatico, nella coppia è
la rottura di un patto, di una prospettiva progettuale condivisa, di un accordo fondato su di un
sogno comune che aveva comportato sino quel momento un investimento materiale e sentimentale, dove
lealtà e fiducia avrebbero dovuto essere i presupposti per la sua realizzazione. Tanto più si è
investito in termini di sentimento, tanto più grande è la sofferenza per chi subisce il tradimento.
Il più delle volte la persona tradita sperimenta un profondo senso di insicurezza, di disistima di
sé, sente la sua identità vacillare e diviene incerta sulla propria capacità di essere amata e
apprezzata. Questo momento di crisi può essere l’occasione di una profonda crescita, addirittura di
un rilancio spirituale per conoscere meglio se stessi, per comprendere ed elaborare il fenomeno e
poter approdare all’autentico perdono. Un perdono che è ben altra cosa da una pacca sulla spalla o
dal fingere che nulla sia successo. Che il traditore sia o meno pentito, poco cambia rispetto al
senso di libertà che vive chi sa perdonare davvero. Possiamo trasformare il rancore, la rabbia, la
ricerca di vendetta vivendo da innamorati della vita. Il perdono può favorire lo scioglimento di
ogni sofferenza, andando oltre alla situazione, guardando avanti con maturità e consapevolezza,
realizzando il significato di vero amore.

La vittima può allora chiedersi: “Chi è stato davvero tradito? E’ stato a tradito il patto e le
promesse fatte. Io non sono quel patto, non sono quelle promesse; ancor prima che danneggiare me,
lui/lei è vittima di se stesso. Io posso scegliere se compiangermi o se lasciare andare il passato
per aprirmi a un presente migliore, fondato sulla veridicità e lealtà, circondandomi di persone
autentiche.”

Questa capacità di reagire in maniera costruttiva, rimarginando le ferite emotive e guardando avanti
con fiducia alla vita, è possibile nel momento in cui riconosciamo la differenza tra Realtà e
apparenza. Antiche scritture come le Upanishad e la Bhagavad-gita ci rivelano che la Realtà sta
all’Io metafisico, come l’illusione sta all’Io empirico.

La nostra personalità storica può sentirsi offesa, mentre l’anima osserva imperturbata.

Il valore di un’esperienza non dipende dall’evento in sé, ma da come lo viviamo e dal nostro livello
di coscienza, scoprendo che la compassione è una risorsa psicologica e spirituale, un punto di forza
interiore e la misura della nostra capacità di amare. Ogni esperienza in questo mondo terreno, anche
la più traumatica, ci offre l’opportunità di imparare a osservare il mondo da una nuova prospettiva
e vivere con sentimento di gratitudine, realizzando che sul piano dell’anima non esiste un dolore o
sofferenza che non si possa trasformare in felicità.

Chi consegue la migliore versione di se stesso, di pari passo vede finalmente dissolversi la propria
ombra.

da www.MARCOFERRINI.net

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