Spiritualità e alimentazione.

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Spiritualità e alimentazione.

L’importanza del vegetarismo nel percorso spirituale

La scelta vegetariana porta con sé – ovunque ci si trovi nel nostro percorso di crescita personale –
implicazioni etiche fortemente correlate alla compassione, non solo verso gli animali ma anche verso
gli altri esseri umani, proprio in considerazione del maggior spreco di risorse necessarie per il
consumo della carne, risorse che vengono di conseguenza sottratte arbitrariamente ad altri esseri
umani che invece muoiono di fame.

Numerose tradizioni religiose e moltissimi percorsi spirituali attribuiscono da sempre e non
casualmente un’essenziale importanza alla dieta vegetariana, proprio in quanto mezzo di
purificazione ed elevazione spirituale. Ricordiamo in particolare: Buddisti, Induisti, Jainisti,
Gandhiani, seguaci di Zoroastro, i primi Cristiani – ed in seguito Catari e Valdesi, ferocemente
perseguitati dalla Chiesa come eretici -, Avventisti, Cristiani delle Origini ed altre minoranze
cristiane -, molti Padri della Chiesa e tanti Santi Cristiani (tra cui San Francesco), Esseni,
sacerdoti dell’antico Egitto, filosofi dell’antica Grecia e molti altri. Senza dimenticare molte
grandi personalità che hanno contribuito enormemente all’evoluzione della civiltà umana e che hanno
optato consapevolmente per questa scelta di vita, andando contro i luoghi comuni ed i dogmi da
sempre un po’ ovunque diffusi: da Leonardo Da Vinci ad Albert Einstein, da Plutarco a Gandhi, solo
per citarne un piccolissimo campionario, perché l’elenco dei vegetariani celebri è davvero
lunghissimo ed in continuo incremento.

Oltre alle ragioni etiche, ve ne sono anche di spirituali: infatti evitare la carne – ritenuto cibo
spiritualmente impuro – significa accostarsi maggiormente al divino; in questo modo viene
riconosciuto il diritto alla vita a tutte le creature viventi, in quanto differenti espressioni di
vita, rispettandole consapevolmente anziché sacrificandole ed uccidendole per farne il proprio cibo.

In quest’ottica l’atto sanguinario dell’uccisione di un animale, necessario per cibarsene,
brutalizza l’essere umano e ciò pregiudica il suo contatto con il divino e/o l’esperienza spirituale
e trascendentale. Anche se non siamo noi ad uccidere in prima persona l’animale, quando lo mangiamo
siamo comunque direttamente responsabili della sua morte e contribuiamo al mantenimento del
terrificante mercato della carne. Cibandosi di cadaveri animali, i nostri sensi – sia quelli fisici
che, a maggior ragione, quelli più “sottili” – vengono appesantiti e resi in questo modo assai più
densi ed insensibili. Questo è un dato molto noto anche nell’esoterismo, tant’è vero che le varie
discipline esoteriche ritengono il cibarsi di carne un ostacolo allo sviluppo delle percezioni
extrasensoriali.

Cibandosi del corpo di un animale, ci cibiamo anche della sua angoscia e della sua sofferenza, ciò
interferisce col progresso spirituale ed impedisce al nostro corpo sottile di diventare più puro e
forte.

Nella Bhagavad Gita – uno dei più antichi libri sacri ed uno dei principali testi vedici
dell’Induismo – , viene attribuita agli animali un’anima, della stessa sostanza di quella umana, ma
con un differente grado di coscienza, capace anch’essa di raggiungere stati di spiritualità elevata.
In base alla visione del Movimento per la Coscienza di Krishna, che si attiene fedelmente al testo
originale, negare l’anima agli animali è un semplice artificio che giustifica il fatto di mangiarli
liberamente, togliendo loro lo status che invece hanno nell’ordine dell’Universo.

Quando l’uomo proclama la propria superiorità sul regno animale, proclama semplicemente la propria
animalità intellettualizzata: mangia in maniera più elaborata, dorme in giacigli più comodi, si
accoppia non soltanto per fini meramente riproduttivi (sebbene anche altri animali lo facciano), si
difende ed uccide in maniera più sofisticata. La sostanza, però, essenzialmente non cambia.

In questa accezione l’animale è ciò che è mosso dall’anima, dalla vita dell’anima. L’etimo stesso di
“animale” deriva da “anemos”, anima, spirito, il soffio vitale presente in tutte le creature
viventi.

Del resto anche l’uomo appartiene al regno animale e nutrirsi di animali è assai più vicino al
cannibalismo di quanto non lo sia nutrirsi di vegetali. Mangiare la carne degli altri animali
anziché quella umana è una differenza di grado ma non di genere.

Uomo ed animali sono parte dello stesso regno ed hanno le stesse necessità fondamentali: mangiano,
dormono, si accoppiano, si difendono. E soffrono. In questo non c’è differenza.

Dal punto di vista evolutivo e spirituale ciò che fa veramente la differenza tra l’animale e
l’essere umano, è la capacità di quest’ultimo di porsi domande riguardo la vita, la sua origine ed
il suo scopo, con tutte le ripercussioni etiche che questa ricerca inevitabilmente comporta. L’uomo
che non si pone queste domande resta sul semplice piano dell’animalità: per inciso, questo aspetto
viene particolarmente sottolineato ed approfondito nella Bhagavad Gita.

Nei testi buddisti viene attribuita una grande importanza alla scelta vegetariana nella pratica
quotidiana della compassione, che è ritenuta la via maestra per raggiungere ciò che noi occidentali
conosciamo come “illuminazione” o “risveglio” – definita “satori” nel buddismo zen e “samadhi” o
“nirvana” nella tradizione induista.

Per comprenderne tutta l’importanza in questa tradizione spirituale, basti sottolineare che una
grandissima parte della letteratura buddista verte proprio sulla compassione.

A questo proposito viene attribuito allo stesso Buddha il seguente insegnamento: “Se volete ottenere
l’illuminazione, non dovete studiare innumerevoli insegnamenti. Approfonditene solo uno. Quale? La
grande compassione. Chiunque abbia grande compassione, possiede tutte le qualità del Buddha nel
palmo della propria mano”.

Il Buddismo in effetti “raccomanda”, ai fini dell’evoluzione spirituale, di non mangiare nessuna
creatura che respira. Non essendo però il Buddismo strettamente dogmatico, nulla viene tuttavia
imposto di prassi al praticante, nondimeno la spontanea adesione a comportamenti di vita più
compassionevoli e spirituali viene considerata un oggettivo indice del grado di consapevolezza
raggiunto da ciascuno.

Trascendere la dualità del mondo materiale attraverso la compassione è del resto un punto
fondamentale nella visione spirituale orientale.

Nel Cristianesimo la compassione diventa “amore”, quell’amore che è anche l’anelito dell’essere
umano verso il divino e che contempla quindi un profondo rispetto verso tutta la Creazione che, per
il Cristiano, è sì posta nelle mani dell’Uomo, sotto la sua diretta responsabilità, ma di cui egli
in nessun caso può abusare.

In proposito riportiamo, a semplice titolo esemplificativo, un paio di citazioni tratte dal Vecchio
Testamento:

”Poi Dio disse: E così fu. Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.” (Genesi,
1. 29,31)

“Non essere tra quelli che si inebriano di vino, né fra coloro che son ghiotti di carne!” (Proverbi,
23, 20)

I riferimenti alla carne riportati nei Vangeli altro non sarebbero che traduzioni forzate della
parola generica “cibo”, infatti i termini originari sono broma (cibo), brosimos (ciò che si può
mangiare), brosis (cibo, atto del cibarsi), trophe (nutrimento), phago (mangiare).

Anche il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (che agli occhi dei credenti giustifica
la liceità di cibarsi di animali), secondo diversi studiosi della Bibbia, avvenne non con i pesci
bensì con delle frittelle (cucinate ancor oggi) preparate con una specie di alga marina chiamata
“pianta del pesce”, caratteristica di quei posti. Oltretutto col caldo tipico di quelle latitudini,
il pesce sarebbe andato a male molto rapidamente e questo avvalorerebbe ulteriormente la tesi più
verosimile che si trattasse di frittelle preparate con la pianta del pesce; ciò terrebbe oltretutto
anche conto della natura misericordiosa di Cristo verso tutte le creature viventi e troverebbe
un’ulteriore conferma nella pratica di uno stretto vegetarismo da parte dei Padri della Chiesa e
delle prime sette cristiane.

Del resto il quinto comandamento riporta testualmente: “Non uccidere”, in senso generico, senza
specificare “l’uomo”. Perciò lo si deve intendere per quello che è, e cioè: “Non uccidere” e basta,
senza eccezioni.

Come abbiamo già accennato, fedeli agli insegnamenti originari di Gesù Cristo, le prime sette
cristiane praticavano un rigoroso vegetarismo, così come gli Esseni, tra i quali – stando a diverse
testimonianze storiche e come confermato dal ritrovamento delle Pergamene del Mar Morto – visse per
un certo periodo anche Gesù. Diversi testi storici riportano in effetti che Gesù era vegetariano,
così come i 12 Apostoli.

Nella Bibbia (Genesi, 1, 30) Dio stesso afferma che anche gli animali hanno un’anima e, almeno
teoricamente, nessuno potrebbe arrogarsi il diritto di contraddire Dio!

Tuttavia la Chiesa accettò e introdusse l’uso di cibarsi di carne nel IV sec. d.C. per soddisfare
uno dei desideri dell’imperatore Costantino (gran divoratore di animali e molto più interessato al
potere secolare che non agli aspetti spirituali), al fine di ricevere da questi il riconoscimento di
Religione di Stato del Sacro Romano Impero, a seguito della di lui “conversione”.

Da quel momento la situazione si capovolse: i cristiani non vennero più perseguitati ed impalati, al
contrario, iniziò una feroce “conversione” forzata dei pagani, pena la tortura e la morte a chi la
rifiutava.

Malgrado ciò, alcune sette cristiane – es. Catari e Valdesi – nel tempo mantennero l’uso di non
cibarsi di carne, sfidando così il dominio incontrastato della Chiesa e la sua terribile autorità.
Per questo ed altri motivi – riguardanti l’interpretazione e, soprattutto, la pratica
dell’insegnamento di Cristo -, essi vennero sistematicamente e ferocemente trucidati: enormi roghi
collettivi, tra i tanti altri, arsero per secoli nelle campagne di tutta Europa a severo monito di
cosa significasse disobbedire all’ “infallibilità” papale. Una delle prove per identificare i
“colpevoli” era appunto quella di obbligare le persone ad uccidere un animale e/o a mangiarne le
carni: chi si rifiutava veniva identificato come nemico della Chiesa ed automaticamente condannato a
morte come eretico.

Così feroce è stata per gli occidentali la repressione della libertà di alimentarsi senza carne, che
ancor oggi in molti di loro vige il paradigma – ed il terrore psicologico – che “è impossibile
vivere senza carne”: ed in effetti, come abbiamo visto, sotto certi aspetti in passato è stato
proprio così.

In realtà, l’esperienza di milioni di vegetariani in tutto il mondo vivi e vegeti ed in perfetta
salute (“vegetus” significa infatti “in salute”), dimostra invece, al di là di ogni ragionevole
dubbio, che questi timori non hanno alcun fondamento razionale né scientifico.

Invece l’esperienza di milioni di vegetariani in tutto il mondo vivi e vegeti ed in perfetta salute
(“vegetus” significa infatti “in salute”), dimostra – al di là di ogni ragionevole dubbio – che
questi timori non hanno alcun fondamento razionale né scientifico.

Torniamo ora alle tradizioni spirituali orientali, assai più libere e diversificate negli approcci e
nelle conclusioni. Secondo le varie scuole di Yoga, l’assenza di carne dalla nostra alimentazione
determina, oltre ad una purificazione sia sul piano fisico che spirituale, anche una maggiore
elasticità nei movimenti (e di conseguenza pure mentale), dovuta all’assenza delle sostanze tossiche
della carne per il corpo umano che si depositano nelle nostre giunture causando irrigidimento e
dolori nei movimenti. Infatti il nostro organismo anatomicamente e fisiologicamente NON è carnivoro
bensì frugivoro, come è facilmente verificabile sui testi di anatomia comparata.

Alla luce di quanto sopra si può quindi evincere che non è un caso che in moltissime tradizioni
spirituali e filosofiche sia contemplato il fatto di evitare il consumo di carne, proprio perché
ritenuto cibo non più adatto per l’essere umano spiritualmente “evoluto”, mentre esso resta ancora
cibo comune per l’animale umano meno consapevole.

Non va inoltre mai dimenticato che gentilezza e compassione sono requisiti indispensabili per
qualsiasi percorso spirituale e, almeno nella teoria, tutte le maggiori religioni si trovano in
accordo su questo.

Alimentazione come mezzo evolutivo… interessante la cosa.
Soprattutto in considerazione del fatto che noi siamo anche ciò che mangiamo.
…e ciò che mangiamo dice moltissimo di noi!

“Ipotesi sulla realtà”
La Coscienza dorme nelle pietre,
respira nelle piante,
pensa negli animali
e discerne nell’uomo.
– Maharishi, rifacendosi alle Upanishad

L’uomo ha qualcosa di ogni creatura.
Ha infatti in comune:
l’esistenza con le pietre,
il vivere con gli alberi,
la sensibilità con gli animali,
l’intelligenza con gli angeli.
Se dunque l’uomo è partecipe di qualcosa
con ogni creatura, sotto un qualche aspetto
ogni creatura coincide con l’uomo.
– Gregorio Magno, Padre della Chiesa

Bibliografia

Steven Rosen, Il vegetarianesimo nelle religioni del Mondo, Ed. Gruppo Futura

A. Donini, Breve storia delle religioni, Newton
Charles W. Leadbeater, Vegetarismo ed Occultismo, Linea AVI

Sua Santità il Dalai Lama, La compassione e la purezza, Rizzoli

Sua Santità il Dalai Lama, La via della liberazione, il Saggiatore

La scienza della realizzazione spirituale, The Bhaktivedanta Book Trust International

La Baghavad Gita così com’è, The Bhaktivedanta Book Trust International

La Bibbia concordata, Arnoldo Mondadori Etitore, 1968

web.tiscali.it/vitasenzacarne/

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