(della Dott.ssa Elisa Albano)
(Titolo originale: LA REINCARNAZIONE ATTRAVERSO LA STORIA, LA FILOSOFIA, LA
RELIGIONE)
(1) Da MANUELA POMPAS – Reincarnazione (Alla scoperta delle vite passate).
Ed. Bur, Milano 1997., p.45.
(2) da Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Ed. Garzanti.
(3) MANUELA POMPAS – Op. Cit., p. 64.
Parlare di una storia della reincarnazione risulta arduo e semplice allo
stesso tempo. Arduo in quanto non è possibile individuare un percorso
evoluzionistico vero e proprio della teoria della reincarnazione attraverso
i secoli e le civiltà. Tuttavia, l’idea della reincarnazione, essendo
presente come consapevolezza fin dai primordi dell’umanità porta con sé
numerose date, avvenimenti e studi strettamente dipendenti tra loro che
nell’insieme, sì, formano una loro storia.
Molte popolazioni primitive hanno creduto e credono tutt’oggi che un
individuo non muoia mai veramente e possa tornare a rivestire sembianze
umane, soprattutto nell’ambito di uno stesso nucleo familiare. E’ il caso
degli indiani tlingit dell’Alaska sud-occidentale, che giungono ad augurarsi
la morte di un malato o di un indigente della loro comunità per vederlo
ritornare in una condizione psico-fisica più favorevole.
Gli studi reincarnazionisti, secondo alcuni, partirebbero dalla cultura
caldeo-mesopotanica, da cui poi nacquero le civiltà egizie e quelle indiane.
In Egitto, il testo più importante e noto di cui si ha notizia è il “Libro
dei Morti”, una sorta di guida per l’aldilà rivolta a tutte le anime in
procinto di abbandonare il corpo fisico o che hanno già superato la soglia
della dimensione terrena. Ma gli egizi oltre a credere nella vita dopo la
morte avevano certezza anche della reincarnazione. Del resto, molti nomi di
re dell’antico Egitto celavano significati inequivocabili. Amonemhat I, ad
esempio, stava ad indicare “colui che ripete le nascite” e Sensurert I
“colui le cui nascite vivono”.(1)
Le prime teorie sulla reincarnazione in India risalirebbero, invece, al IX o
all’VII sec. a.C. e, in particolare, nelle Upanisad, (dal sanscrito “Sedersi
ai piedi del maestro”), testi sacri dell’Induismo risalenti all’incirca
all’800 a.C. si troverebbe già l’idea del Karma sviluppata in tutte le sue
sfaccettature. Ogni individualità torna sulla terra con una condizione
personale differente a seconda del bene o del male commesso. E anche nel
Bhagavadgita (dal sanscrito “Il canto del beato”), testo del III sec. a. C.,
si da un senso alla reincarnazione considerando l’anima (in sanscrito:
atman) come un’entità staccatasi dal suo assoluto (brahaman) e che solo
attraverso una purificazione, possibile dopo numerose reincarnazioni, potrà
tornare ad unirsi ad esso.
In seguito, anche il Buddismo, nato sempre in India nel VI sec. a.C.,
abbracciò l’idea della reincarnazione e con essa la legge del karma. La sola
differenza tra queste due correnti è che se per l’induismo l’anima mantiene
la propria individualità, con tratti personali inalterati, nel corso delle
sue numerose esistenze, per il buddismo la reincarnazione avviene con una
totale depersonalizzazione. Sia l’induismo che il buddismo ritenevano
comunque che l’anima potesse trasmigrare indifferentemente da un uomo a un
animale (metampsicosi) a seconda del premio o castigo che gli era stato
comminato.
Le teorie più avanzate in tale campo, invece, ritengono che ciò non sia
possibile, in quanto compito dell’anima è quello di evolversi ed essa non
può tornare indietro. Tuttavia, la convinzione che l’anima di un uomo
malvagio potesse reincarnarsi nel corpo di un animale la si ritrova anche in
Occidente nelle teorie platoniche e neoplatoniche, pur non avendo subito
queste ultime alcuna influenza dalle dottrine indiane.
Platone (Atene 427-347 a.C.), uno dei più importanti filosofi greci di cui
rimangono integralmente le numerosissime opere, nei suoi scritti sostenne
l’immortalità dell’anima e la sua rinascita, nonché la possibilità da parte
di questa di ricordare limpidamente alcune o tutte le sue esistenze
precedenti.
Dal Menone può leggersi:
“L’anima essendo immortale, essendo rinata più volte e avendo visto tutte le
cose che esistono sia in questo mondo che nell’altro, ha conoscenza di
tutte; e non è meraviglia che essa possa ricordare tutto ciò che ha
conosciuto sulla virtù e su ogni altro argomento perché, dato che tutta la
natura è simile e l’anima ha imparato tutte le cose, non vi è difficoltà nel
rievocare”.
Pitagora (isola di Samo 570-Metaponto 490 ca. a.C.) fu un altro filosofo e
scienziato greco a credere nella reincarnazione, di cui però si hanno poche
notizie certe. L’unico dato storico a cui poter fare seriamente riferimento
è la setta religiosa creata da egli stesso a Crotone nella quale si
sosteneva alacremente la trasmigrazione delle anime, “costrette a incarnarsi
in successive ‘carceri’ corporee, umane e bestiali, a causa di una colpa
originaria da espiarsi sino alla finale purificazione o catarsi” (2).
Egli credeva inoltre nelle molte rinascite personali. Il suo soprannome era
già indicativo: Mnesarchide cioè: “colui che ricorda le sue origini”. Egli
affermava secondo una tradizione orale tramandata, di essere stato Eraclide
e poi Eufonio, ucciso nell’assedio di Troia da Menelao.
L’idea del karma dunque, risulta fortemente presente anche in questi autori.
Platone, ad esempio, la propone ne “Le leggi”:
“O giovane che fantastichi di essere abbandonato dagli dei, sappi che se
divieni peggiore andrai in un’anima peggiore, e in un’anima migliore se
migliorerai, e in ogni successione di vita e di morte farai e soffrirai ciò
che il simile ha dal simile. Questa è la giustizia celeste alla quale né tu
né altri sfortunati si potranno mai vantare di essere sfuggiti”.
E un’altra considerazione la si può trovare ne “La Repubblica”:
“Anime effimere, una nuova generazione di uomini comincia adesso il ciclo
delle sua esistenza morale. Il vostro destino non vi verrà assegnato a caso,
ma dovete sceglierlo voi stesse.”
I romani, a loro volta, subirono l’influenza dei filosofi greci. Cicerone
stesso si convertì al platonismo fino ad affermare, nell’Ortensio:
“Gli antichi, sia che fossero veggenti o interpreti della mente divina nella
tradizione delle iniziazioni sacre, sembrano aver conosciuto la verità
quando affermavano che siamo nati nel corpo per pagare la pena dei peccati
commessi in una vita precedente”.
Virgilio (70-19 a.C.), nel sesto libro dell’Eneide, dette voce ad Anchise
dall’al di là che nell’istruire il figlio Enea così disse: “Son anime a cui
sarà dato il corpo a tempo debito. Frattanto dimorano sulla riva del Lete e
bevono l’oblio delle loro vite precedenti”.
Ma l’idea della reincarnazione trovò la sua massima espressione con la
scuola neoplatonica di Alessandria e in particolare con Plotino (Egitto 205-
Campania 270 d.C.) e Origene. Quest’ultimo, tra l’altro, aprì il grande
dibattito sulla reincarnazione all’interno del mondo cristiano-cattolico che
sfociò poi nella ripulsa da parte del potere ecclesiastico dell’idea di
un’anima che possa tornare a farsi più volte carne.
Nato ad Alessandria nel 185 ca e morto a Tiro nel 253 ca d. C., Origene,
teologo e scrittore cristiano di lingua greca, fu uno dei più grandi dottori
della Chiesa, anche se attualmente non riconosciuto come tale. Egli formulò
una dottrina in cui erano presenti molti elementi neoplatonici, predicò la
preesistenza dell’anima e la reincarnazione. Secondo Origene:
“L’anima non ha principio né fine. Ogni anima entra in questo mondo
fortificata dalle vittorie oppure indebolita dai difetti della vita
precedente. Il suo posto in questo mondo, quasi dimora destinata all’onore o
al disonore, è determinato dai suoi precedenti meriti. Il suo operato in
questo mondo determina il posto che essa avrà nel mondo successivo. Non è
forse più conforme a ragione che ogni anima, per certe misteriose ragioni,
venga introdotta in un corpo e ivi introdotta secondo i suoi meriti e le sue
precedenti azioni?” (2)
Origene, poi, a causa delle sue teorie che indebolivano il potere della
Chiesa, in quanto offrivano all’individuo la possibilità di salvarsi da solo
attraverso l’espiazione delle proprie colpe, vita dopo vita, fu condannato
una prima volta un secolo e mezzo dopo la sua morte nel 399 d.C. in
occasione del sinodo di Alessandria. Le sue teorie vennero stigmatizzate una
seconda volta nel sinodo di Costantinopoli nel 543 e qualche anno dopo
furono pubblicati gli anatemi ma che riguardavano più che altro la
trasmigrazione delle anime, cioè la discesa, o caduta, di queste nella
dimensione terrena, e non la reincarnazione (farsi più volte carne) in senso
stretto. C’è da rilevare inoltre che il concilio fu promosso dall’imperatore
Giustiniano e che nessun rappresentante di Roma era presente. Anche gli
anatemi pare siano stati formulati ed emessi in una sessione extraconciliare
proposta sempre dall’imperatore che costrinse in qualche modo il Papa
Vigilio, noto per la sua debolezza, a suggellarli. Nei secoli successivi non
ci fu mai esplicita condanna alla credenza nella rinascita, se non
l’affermazione, nel Concilio di Lione del 1274 e in quello di Firenze del
1439 che le anime dopo la morte sono destinate ad andare in paradiso, in
purgatorio o all’inferno.
D’altro canto, non fu solo Origene a rifarsi alla tradizione ermetica. Molti
altri dottori della Chiesa si schierarono più o meno apertamente su questo
fronte. Anche Sant’Agostino (354-430), teologo e filosofo, padre della
chiesa latina, nei suoi scritti dichiarò senza remore le sue simpatie per il
sistema platonico e neoplatonico e lasciò emergere le sue riflessioni sulla
reincarnazione. Nel “Contra Academicos” così, scrive:
“Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la
filosofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell’errore e ora traspare
soprattutto attraverso Plotino, così simile al suo maestro che crederesti
che Platone sia rinato nella sua persona.”
E ancora, nelle “Confessioni”, si esprime in tal modo:
“Dimmi, Signore, dimmi se la mia infanzia successe ad altra mia età morta
prima di essa? E prima ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io forse
in qualche luogo o in qualche corpo?”(3)
Dunque, non solo l’induismo e il buddismo, hanno predicato la reincarnazione
ma ben altre religioni: l’islamismo, l’ebraismo e, come abbiamo già visto,
il cristianesimo, per ben sei secoli consecutivi. Del resto anche nella
Bibbia, nonostante i rimaneggiamenti e i riferimenti specifici all’argomento
tolti su ordine dell’imperatore Giustiniano a seguito della condanna di
Origene, restano ancora oggi alcuni passi indicativi di una credenza comune
nel popolo ebraico.
Mosé, in alcuni salmi (90, 3-6) così recita:
“Tu fai tornare i mortali in polvere e dici: ‘Ritornate, o figlioli degli
uomini’. Perché mille anni agli occhi tuoi, sono come il giorno d’ieri
quand’è passato, e come una veglia nella notte. Tu li porti via come in una
piena; son come un sogno. Son come l’erba che verdeggia la mattina; la
mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è segata e si secca”.
Mosé, pare fosse figlio di una principessa reale egizia, sorella di Ramses
II e vi sono molte probabilità che egli sia stato iniziato ai misteri del
tempio come sacerdote di Osiride e quindi che si rifacesse alla dottrina di
Ermete, autore leggendario di testi in lingua greca e di contenuto
filosofico-religioso, divenuti noti poi come “scritti ermetici”, di natura
reincarnazionista.
Anche nei Vangeli i riferimenti alla preesistenza dell’anima e alla
possibilità che questa ha di reincarnarsi portandosi dietro colpe e meriti,
restano ancora molti. I discepoli di Gesù, sembravano a conoscenza della
metampsicosi (dal gr. Metempsýchõsis, passaggio delle anime), teoria secondo
la quale le anime sono soggette a successive reincarnazioni. Un primo
riferimento lo si ritrova in Matteo, 14, 1-2, in riferimento a Giovanni
Battista, decapitato da Erode. Erode stesso sentendo la fama di Gesù
divenire sempre più grande, dichiarò ai suoi servitori: “Costui è Giovanni
Battista; egli è resuscitato dai morti”, e perciò agiscono in lui le potenze
miracolose”.
E poi nel versetto 16, 13, sempre in Matteo si trova scritto: “Gesù venuto
nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: chi dice la
gente che sia il Figliuol dell’uomo? Ed essi risposero: Gli uni dicono
Giovanni Battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno de’ profeti”.
Un altro riferimento che lascia intendere che gli apostoli fossero a
conoscenza della realtà della reincarnazione lo si ritrova nel passo del
Vangelo di Giovanni, 9, 1-2,: “E passando vide un uomo che era cieco fin
dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: ‘Rabbi, chi ha
peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”
Naturalmente nessun individuo può peccare prima della sua nascita a meno che
non si dia per scontata la sua preesistenza dell’anima e una colpa derivante
da una precedente incarnazione. Il cristianesimo dunque è stato da sempre
intriso di riferimenti più o meno espliciti alla reincarnazione e a
tutt’oggi la Chiesa cattolica non si ha mai espresso ufficialmente aperta
condanna ad essa.
La teoria della reincarnazione, dopo i concili che misero al bando la
dottrina di Origene, gradualmente scomparve per poi venire tramandata solo
dalle varie discipline esoteriche dei templari, dei cabalisti, dei
rosacrociani fino al pensiero rinascimentale. Un nuovo sviluppo si ebbe con
l’Illuminismo e il Romanticismo (XVIII e XIX sec.) e alcuni autori come Von
Helmont, Kant, Goethe, riportarono nelle loro opere considerazioni sulla
reincarnazione.
Nell’epoca contemporanea un forte risveglio spirituale è stato avviato da
Rudolf Steiner (Kraljevica, Croazia 1861- Dornach, Basilea 1925), filosofo
austriaco fondatore della società antroposofica. Centro di questa dottrina è
la distinzione, nell’uomo, di sette principi (dal corpo fisico a quello
etereo e astrale, dall’io all’io spirituale, allo spirito vitale e
all’uomo-spirito). Con la morte il corpo fisico si dissolve, mentre quelli
etereo e astrale accompagnano l’io in un periodo di sonno profondo che
precede le successive incarnazione fino al ritorno allo spirito puro.
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