STORIA DELL’OLISMO – 13
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Il cuore della materia
di Yatri
tratto da “The unknown man” Simon & Schuster publ.
“Il Sé interiore, come lo spirito primevo, indivisibile, totale e vivente, splende in ognuno come
consapevolezza testimoniante. Questo Sé nel suo splendore, brillante nella cavità del cuore… non
nato e non mortale, che non cresce e non decade, non può soffrire cambiamento alcuno. Si rompe il
vaso ma non lo spazio in esso contenuto, e similmente, quando il corpo muore, il suo Sé rimane
eterno” (Katha Upanishad)
Come molte altre funzioni, il cuore non è per nulla ciò che sembra in apparenza. L’intera nostra
specie gli ha accordato in qualche modo un posto molto speciale nello schema delle cose.
Non c’è nessuna spiegazione del fatto che, in ogni cultura del mondo, il cuore sia il simbolo
dell’amore.
Nella metà degli anni ’80 si scoprì che il cuore era molto più che una semplice pompa come si era
creduto; gli atri del cuore secernono un potente peptide, l’ANF, che interagisce con gli altri
ormoni e modifica varie regioni del cervello, tra cui l’ipotalamo. E’ significativo che stimola
anche la magica ghiandola pituitaria a secernere i suoi ormoni che a loro volta influenzano l’intero
sistema endocrino e molte parti del corpo tra cui i reni, i polmoni, le surrenali e il sistema
nervoso simpatico.
Per un saggio e mistico come Yogeshwaranand Saraswati, il cervello è il centro dell’intero livello
psicofisologico dell’organismo, mentre il cuore è ritenuto essere il 1uogo dell’anima o Atman’ (il
Sé).
L’intera corrente di forze vibratorie che pervade l’intero psicosoma di un individuo sorge
dall’interno del cuore.
Una spirale di illuminazione si apre dal cuore verso l’alto e verso l’esterno attraversa la gola ed
espandendosi nel terzo occhio per uscire infine attraverso la corona della testa.
Il risveglio finale può avvenire solo quando c’è una radicale esplosione di comprensione che
l’esistenza separata è completa illusione, un’enorme ed inimmaginabile cambiamento di percezione.
Questo potrebbe essere considerato il cambiamento finale di paradigma, una scossa totale in grado di
far riconoscere la vera realtà delle situazioni. In questo momento esplosivo le energie liberate
sembrano penetrare la radice del cervello, la totalità dello psicosoma, illuminando l’intero
cervello e liberandolo dentro uno sconfinato Vuoto – vuoto nel vuoto – l’ultimo stadio evolutivo di
conoscenza!
Così in alto, così in basso lunita del tutto secondo Gurdjieff
Gurdjieff parla ad un allievo sull'”Unità del Tutto”, da ‘Vedute sul mondo reale”
Lei è un esperto di letteratura occulta”, cominciò Gurdjieff, “e per questo motivo mi riferirò alla
ben nota formula della Tavola Smeraldina di Ermete: ‘Come in alto, così in basso’. Questa formula è
un ottimo punto di partenza per la nostra conversazione. Ma le premetto che non è affatto necessario
ricorrere all’occultismo per avvicinarsi alla conoscenza della verità. La verità parla da sé,
qualunque sia la forma in cui si manifesta. Questo fatto le si chiarirà solo con l’andar del tempo,
ma fin d’ora vorrei almeno un granello di comprensione. Ripeto, parto da questa formula occulta
perché sto parlando con lei. So che ha tentato di decifrarla, e che in un certo senso la comprende:
ma questa sua comprensione non è che un debole e lontano riflesso della luce divina.
“Non le parlerò della formula in se stessa, né ho intenzione di analizzarla o decifrarla. Non si
tratta di discuterne il significato letterale, ma di prenderla semplicemente come punto di partenza;
e parleremo della grande unità di tutto ciò che esiste, dell’unità nella diversità. Voglio attirare
la sua attenzione su due o tre facce di un prezioso cristallo, per individuare le immagini quasi
impercettibili che vi si riflettono.
“So che lei capisce l’unità delle leggi che governano l’universo, ma le dirò che la sua comprensione
è solo astratta e teorica. Non basta che lei concepisca con l’intelletto, ma deve sentire con tutto
il suo essere l’esattezza assoluta e l’infallibilità di tale verità; soltanto allora potrà dire in
coscienza e con piena convinzione: io so.” Questo fu il senso delle parole con cui Gurdjieff iniziò
la conversazione.
Poi, con le idee atte a spiegare la formula ermetica citata, cominciò una stupefacente descrizione
della sfera in cui si svolge la vita di tutta l’umanità. Per analogia, passò dai piccoli avvenimenti
della vita quotidiana di un singolo uomo, alle grandi epoche della storia dell’umanità intera,
mettendo così in risalto l’azione ciclica della legge di analogia nell’ambito ristretto alla vita
dell’umanità terrestre. Poi, nello stesso modo, passò dall’umanità a ciò che chiamerei la vita della
Terra. Egli, facendo ricorso alla fisica, alla meccanica, alla biologia, ecc., descrisse la Terra
come un grande organismo simile a quello dell’uomo. Mi resi conto che la luce del suo pensiero
convergeva progressivamente verso un unico punto focale. Di tutto ciò che diceva, la conclusione
inevitabile era la grande legge della tri-unità, cioè la legge delle tre forze di azione, reazione
ed equilibrio, o dei tre princìpi attivo, passivo e neutro. Basandosi su questa legge, e prendendo
la Terra come punto di partenza, il suo pensiero, con un volo ardimentoso, si estese a tutto il
sistema solare. Esaminando le relazioni Terra-Sole, sottolineò quegli aspetti della legge che sono
più vicini all’uomo. Poi, con una breve frase, oltrepassò i limiti del sistema solare. Inizialmente
mi balzarono agli occhi i dati astronomici, ma a poco a poco essi impallidirono nell’immensità dello
spazio, finendo per svanire completamente: restò soltanto la grande idea emanata da quella stessa
legge. Le sue parole risuonavano lente e maestose, e nello stesso tempo sembravano allontanarsi e
perdere ogni senso. Dietro di esse si percepiva il pulsare di un pensiero prodigioso.
“Siamo arrivati al ciglio di quell’abisso che l’intelligenza ordinaria dell’uomo non può mai
valicare”, disse. “Sente come le parole diventano simili e superflue? Sente come la ragione, da
sola, è impotente? Ci siamo avvicinati al Principio di tutti i Principi.” Poi tacque, guardando
pensoso davanti a sé.
Incantato dalla bellezza e dalla grandiosità di quei pensieri, poco alla volta, anziché ascoltare il
suono delle parole, le vivevo, e nello stesso tempo coglievo il pensiero non con la ragione ma con
l’intuizione. L’uomo, laggiù in basso, si era ridotto a una nullità, ed era poi scomparso senza
lasciare traccia. Ero invaso dal sentimento di essere in presenza di un’Infinità Impenetrabile, e
nello stesso tempo ero profondamente conscio della mia personale nullità.
Indovinando il mio pensiero, Gurdjieff disse: “Siamo partiti dall’uomo: dove l’abbiamo lasciato? La
legge dell’unità è grande, abbraccia tutto. Nell’universo, tutto è uno; ci sono solo differenze di
scala. Nell’infinitamente piccolo, troviamo le stesse leggi dell’infinitamente grande. Come in alto,
così in basso.
“Quando si leva il sole, la cima delle montagne si illumina, ma la valle è ancora in ombra.
Ugualmente, la ragione che trascende la condizione umana contempla la luce divina, mentre coloro che
dimorano in basso sono ancora immersi nell’oscurità. Ma ripeto che nell’universo tutto è uno.
Siccome la ragione partecipa di quest’unità, essa rappresenta un formidabile strumento di indagine.
“Ora che siamo risaliti all’origine di tutto, scenderemo di nuovo sulla Terra, per darle il posto
che le spetta nella struttura dell’universo. Guardi…”
Tracciò un disegno molto semplice e, riferendosi alle leggi della meccanica, sviluppò uno schema
della struttura dell’intero universo. Attraverso cifre e numeri disposti secondo un ordine preciso e
armonioso, fece in modo da rendere trasparente la molteplicità nell’unità. A poco a poco, questi
dati si riempirono di significato, e concezioni fino ad allora morte, cominciarono a prendere vita
sotto i miei occhi. Un’unica e sola legge regnava su tutto, e la mia comprensione si schiuse con un
senso di beatitudine allo sviluppo armonioso dell’universo. Lo schema aveva preso origine da un
Grande Principio terminando alla Terra.
Nel corso di questa esposizione, Gurdjieff sottolineò la necessità di ciò ch’egli definì uno “shock”
esterno il quale interviene in momenti ben precisi per armonizzare i due princìpi opposti in
un’unità equilibrata. In meccanica, esso corrisponde al punto di applicazione delle forse in un
sistema in equilibrio.
“Siamo arrivati al punto in cui si inserisce la nostra vita terrestre”, disse. “E per il momento non
procederemo oltre. Per esaminare meglio quanto ho appena detto, e per evidenziare ancor più l’unità
delle leggi, prenderemo un’unità di misura qualsiasi e l’applicheremo al microcosmo.” E mi propose
di scegliere personalmente qualche struttura regolare a me nota, come lo spettro solare, la scala
musicale, ecc. Dopo un attimo di riflessione, scelsi la scala musicale.
“Ottima scelta”, disse Gudjieff. “Effettivamente, la scala delle note musicali, nella sua forma
attuale, è stata costruita in tempi antichi da uomini che possedevano la Conoscenza, e lei vedrà
quanto può essere utile per capire le leggi fondamentali.”
Quel vasto nulla lesperienza olistica dellunità tra le cose.
Un ologramma di vita – Quando l’interno e l’esterno non sono più separati
“… ascoltare; è tutto lì, aperto e chiaro. Devi fare il viaggio non sulla luna, non verso gli dèi
ma dentro te stesso. Puoi camminare spedito al tuo interno, e così mettere rapidamente fine al
dolore, o prolungare il viaggio, oziando, pigro e disamorato. Occorre avere passione per porre fine
al dolore e la passione non si compra con la fuga. È lì quando tu smetti di fuggire.
4 dicembre
Sotto gli alberi c’era molta pace; c’erano molti uccelli che chiamavano, cantavano, cinguettavano,
eternamente irrequieti. I rami erano enormi, dalla forma armoniosa, levigati, lisci ed era
sorprendente vederli e avevano uno slancio e una grazia che strappavano le lacrime e ti facevano
stupire delle cose della terra. La terra non aveva niente di più bello dell’albero, e quando esso
fosse morto sarebbe ancora stato bello; ogni ramo nudo, aperto al cielo, sbiancato dal sole, e ci
sarebbero stati uccelli che si riposavano sulla sua nudità. Ci sarebbe stato un riparo per le
civette, lì in quella profonda cavità, e i vivaci, striduli pappagalli avrebbero fatto il nido in
alto nell’incavo di quel ramo; sarebbero venuti i picchi, con la loro cresta rossa di piume alta
sulla testa, per entrare in qualche buco; naturalmente ci sarebbero stati quegli scoiattoli striati
in corsa per i rami, sempre brontolanti per qualcosa e sempre curiosi; proprio sul ramo più alto di
tutti, ci sarebbe stata un’aquila bianca e rossa a scrutare il paesaggio, altera e solitaria. Ci
sarebbero state molte formiche, rosse e nere, affaccendate verso la cima dell’albero e altre che
correvano in giù, e il loro morso sarebbe stato piuttosto doloroso.
Ma ora l’albero era vivo, meraviglioso, e c’era moltissima ombra e la vampa del sole non ti
raggiungeva mai; potevi sederti lì per quell’ora e vedere e ascoltare all’esterno senza continuare a
spaziare verso l’interno. In realtà l’esterno è l’interno e l’interno è l’esterno ed è difficile,
quasi impossibile separarli. Osservi questo meraviglioso albero e ti domandi chi dei due sta
osservando l’altro e immediatamente dopo non esiste più osservatore. Ogni cosa è così intensamente
viva ed esiste solo la vita e l’osservatore è morto come quella foglia. Non c’è una linea di confine
fra l’albero, gli uccelli e quell’uomo che siede all’ombra e la terra che è così generosa. La virtù
esiste senza il pensiero e perciò c’è ordine; l’ordine non è permanente, c’è solo momento dopo
momento, e quell’immensità arriva con il sole cadente così incidentalmente, così liberamente
affettuosa. Gli uccelli sono divenuti silenziosi perché sta facendosi buio e ogni cosa si sta
lentamente acquietando, pronta per la notte. I1 cervello, quella cosa meravigliosa, sensitiva e
viva, è completamente silenzioso, solo in osservazione, in ascolto senza un attimo di reazione,
senza registrare, senza fare esperienza, solo a vedere e ascoltare. Con quell’immensità c’è amore e
distruzione, e quella distruzione è forza inaccessibile. Queste sono tutte parole, come quell’albero
morto, un simbolo di ciò che era e ciò che esso non è mai. Essa è sparita, è fuggita via dalla
parola; la parola è morta, destinata a non afferrare mai quel vasto nulla. come può il cervello
essere consapevole di quell’amore, il cervello che è così attivo, affollato, caricato di conoscenza,
di esperienza? Tutto dev’essere rifiutato perché l’amore sia.
L’abitudine, per quanto possa essere conveniente, distrugge la sensitività; l’abitudine dà il senso
della sicurezza e come può esserci lucidità; sensitività, quando si coltiva l’abitudine; non che
l’insicurezza porti lucida consapevolezza. Quanto rapidamente ogni cosa diviene abitudine, il dolore
così come il piacere, e quindi si insatura la noia e quella particolare cosa chiamata tranquillità.
Dopo l’abitudine che ha funzionato per quarant’anni, hai la tranquillità, o la tranquillità alla
fine del giorno. L’abitudine ha il suo tempo e ora è la svolta della tranquillità che ancora si
trasforma in abitudine. Senza sensitività non ci sono affetto e quell’integrità che non è la
reazione guidata dalla contraddittoria esistenza. Il meccanismo dell’abitudine è pensiero sempre in
cerca di sicurezza, di una qualche comoda situazione in cui non verrà mai più disturbato. È questa
ricerca del permanente che contiene la negazione della sensitività. Essere sensitivi non fa mai
soffrire, solo le cose in cui ha preso rifugio provocano sofferenza. Essere totalmente sensitivi è
essere totalmente vivi e questo è amore. Il pensiero è molto abile; esso eluderà chi lo insegue che
è un altro pensiero; il pensiero non può inseguire un altro pensiero. Solo il fiorire del pensiero
può essere visto, ascoltato, e ciò che fiorisce nella libertà giunge a una fine, muore senza
lasciare segni.
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