Sull’illuminazione

pubblicato in: AltroBlog 0
Sull’illuminazione

Intervista a Mona Sosna Sati – di Sergio Cipollaro

PREMESSA

Lo stato di unione; lo stato di non-dualità; lo stato in cui il soggetto percipiente, l’oggetto
percepito e i processi di percezione svaniscono; lo stato in cui si conosce attraverso se stessi,
per identità, e non attraverso i sensi e la mente; lo stato in cui le categorie dell’esistenza
duale: tempo spazio, materia, energia, scompaiono; lo stato in cui uno non pensa: «Oh, sto avendo
un’esperienza diretta», perché nessun io e nessun altro esiste su quel piano, infatti pensieri del
genere compaiono solo dopo che uno è uscito dallo stato di unione, anche chiamato samadhi, satori,
illuminazione, esperienza diretta, conoscenza diretta ecc.

Ho avuto la fortuna, o la grazia, di avere diverse esperienze di questo tipo negli Intensivi di
Illuminazione. Poiché nello stato non-duale si è uno con tutto – anzi non c’è nessuno tutto, ma solo
Uno – giunsi alla conclusione che anche l’atman (anima, individuo) fosse parte dell’illusione. La
mia interpretazione dell’esperienza non-duale era d’altra parte supportata da una nutrita
letteratura spirituale; sentenze e metafore come: «Atman e Brahman sono uno!», «La goccia che si
fonde all’oceano divenendo oceano essa stessa» ecc. sembravano confermarmela. Poi lessi su Revealing
the secret (La rivelazione del segreto) una nota di Yogeshwar (Charles Berner) sul samadhi (1a
sezione, verso 2): «Essere uniti a Dio non significa che uno si estingua in qualche altruità divina
chiamata Dio, e che quindi cessa di esistere, o che uno diventa Dio e che tutti gli altri cessano di
esistere. Vuol dire accettare pienamente se stessi come veramente si è e tutti gi altri come loro
veramente sono. L’individuo ha una sua identità, la cui vera natura divina è uguale a quella di
tutti gli altri individui.

Cosa ognuno di noi veramente è, è un individuo divino. Ecco perché quando accettiamo tutti gli altri
individui, questo è chiamato unione divina o yoga. Lo yoga non è un stato mentale. Ogni nostra
accettazione evolve realmente il mondo, compreso il nostro corpo e la nostra mente. Ciò è perché il
mondo in effetti non è altro che la manifestazione del grado di accettazione e/o non-accettazione di
ogni individuo divino verso se stesso e gli altri; perciò l’accettazione di tutti gli individuo
divini o la non-accettazione di alcuni individui divini influenza la manifestazione. Nel processo
yogico, il proprio corpo diventa divino, e quando questo processo si completa, ci veniamo a trovare
nel nostro stato naturale di completa onniscienza e completo amore divino».

Non mi erano per nulla chiare le parole di Yogeshwar, sembravano non rispondere alla mia personale
esperienza di sadhaka (chi segue una pratica spirituale). Inoltre lo stesso Kripalvananda in quel
libro scrive che l’esperienza del Nulla o Vuoto come realtà ultima è un’esperienza parziale.

Finalmente ebbi la grazia di essere accettato come allievo da Mona Sosna, il cui nome spirituale è
Sati. Sati è essa stessa allieva di Yogeshwar e praticante la Meditazione Naturale (o Sahaja Yoga)
da più di trant’anni. Ella mi spiegò che quella nota derivava dalla comprensione sull’Illuminazione
maturata da Yogeshwar, da lui trattata in un suo lavoro non ancora pubblicato dal titolo: Lila
(gioco). In questo scritto, Yogeshwar, che è Dott. in fisica, si avvale della meccanica quantistica
per spiegare la sua metafisica. Gli individui, anzi noi, siamo esistenze non-fisiche, oltre il tempo
e lo spazio, oltre l’energia e la materia; unici, indivisibili, imperituri ed eterni. Siamo identici
nella nostra essenza, ma diversi nelle nostre identità; possiamo infatti scegliere diversamente. «La
libertà di scelta» è connaturata alla nostra stessa essenza divina, e non è condizionabile, in
ultima analisi, da nessuno e da alcunché.

Noi abbiamo la facoltà di conoscere direttamente o di non conoscere direttamente noi stessi e tutti
gli altri. Quando siamo nello stato diretto, o samadhi, noi siamo in completa relazione con tutti
gli altri individui. Lo stato diretto è infatti uno stato di assoluta relazione che si rende
possibile grazie a una grande apertura-accettazione-abbandono alla verità. In questo stato ogni
distanza è vanificata e noi sperimentiamo l’unicità; ma Yogeshwar non ama usare la parola «unicità»
(oneness in inglese), perché ritiene sia fuorviante, in quanto la verità è che noi siamo molti, ed
abbiamo la facoltà di entrare in assoluta relazione, o stato diretto, o samadhi, scegliendo di
conoscere direttamente. Ovviamente perché ciò avvenga stabilmente è necessario un percorso, ma la
base di questo percorso è la completa accettazione dell’altro e di noi stessi così come veramente
siamo.

Riflettendo su quanto Sati mi disse considerai che il dharma (l’etica universale) non avrebbe alcun
senso se gli altri fossero illusori. Sati mi fece ancora notare che quando Kripalvananda usa
l’espressione «Grande Dio», stante alla visione di Yogeshwar, si riferisce allo stato di «conoscenza
diretta» e alla nostra «vera natura», ma anche alla Perfezione Ultima di alcuni individui elevati;
Kripalvananda infatti dice: «Krishna è l’individuo più elevato».

Sati mi invitò a leggere l’introduzione e i primi due capitoli di «La Coscienza della Verità.
Manuale per l’Intensivo di Illuminazione». Dopo averlo fatto, inviai a Sati, via e-mail, tutte le
domande sulle mie perplessità. Sati mi rispose con amorevole cura e grande disponibilità,
considerato che il suo sadhana include 7 ore di meditazione giornaliere. Ritenendo che il suo
insegnamento potesse essere utile a molti, le chiesi il permesso di divulgarlo e lo ottenni.

Potete scaricare gratuitamente i due suddetti capitoli dal sito www.kripalvananda.org. Anche se in
essi sono trattati alcuni aspetti della tecnica dell’Intensivo, questi sono direttamente collegati
alla visione maturata da Yogeshwar e Sati sull’Illuminazione. Inoltre è da tener presente che se
alcune mie domande sembrano non tener conto della risposta appena ricevuta, ciò è perché sono state
poste vie e-mail tutte insieme, prima ch’io potessi conoscere le risposte. Le note tra parentesi
quadre sono mie.

(Sergio Cipollaro)

°°°°°

INTERVISTA

Conoscenza diretta, Illuminazione e i koan «che cos’è la vita» e «che cos’è l’altro individuo»

SERGIO – Perché ritieni che i koan «che cos’è la vita» e «che cos’è l’altro individuo» siano
fuorvianti?

SATI – Non ci si può illuminare sulla «Vita» perché la vita è un’illusione. L’esperienza più
profonda che ho avuto sulla «Vita» fu realizzare che non c’è nessuna vita; esistiamo solo io e gli
altri. A questo punto, la vita scomparve! Yogeshwar ha avuto la stessa esperienza e così pure altri
che conosco.

La verità sulla vita si rivela in questo modo, ma questa non è Illuminazione. Si deve proseguire e
chiedersi «Chi o Cosa sono» per ottenere l’Illuminazione, o chiedersi «Che cosa è un altro» per
avere una conoscenza diretta. La conoscenza diretta si ottiene in entrambi i casi, ma
l’illuminazione si ottiene solo su se stessi.

La vera conoscenza si ottiene su «se stessi» e su «l’altro» perché esistono veramente. La vita non
esiste di per sé, è solo un’illusione che ci presenta la nostra coscienza. Ecco perché è fuorviante
cercare di avere un’Illuminazione su «la vita».

È fuorviante meditare su «l’altro» con l’intento di avere un’Illuminazione perché non ci si può
illuminare su un «altro», anche se contemplare un altro con l’intento di conoscerlo direttamente è
un lavoro che si dovrebbe fare ed è di gran valore. Io ho spiegato questo nel paragrafo Conoscenza
diretta e crescita spirituale del Capitolo 1 del Manuale.

La conoscenza diretta degli altri deriva per metà da ciò che la Meditazione Naturale fa [arrendersi,
accettando sempre di più se stessi e gli altri, così come veramente siamo]; per l’altra metà deriva
dal conoscere direttamente se stessi, ossia dall’Illuminazione.

SERGIO – Se non possiamo conoscere direttamente un altro, allora come possiamo realizzare che gli
altri esistono? [La domanda appare non coerente con la risposta appena data perché è stata formulata
in precedenza]

SATI – Noi possiamo conoscere direttamente un altro, ma non possiamo essere coscienti dell’altro
come veramente è. Ciò perché nel nostro stato di conoscenza dell’altro non possiamo duplicarlo
totalmente, così come possiamo duplicare completamente noi stessi nello stato di conoscenza di noi
stessi. Una parte essenziale dell’altro: il «Chi l’altro è», resta inaccessibile a questa
duplicazione perchè il «Chi» (chi l’altro è, la sua identità) è differente per ogni individuo. Noi
possiamo conoscere direttamente [ossia conoscere per identità] ciò che dell’altro è uguale a noi
stessi, ma non ciò che è differente. Non possiamo conoscere direttamente quella parte dell’altro che
è il «Chi», perciò il «Chi» dell’altro appare sempre alla nostra coscienza come un «qualcosa» [di
distinto e separato nell’universo manifesto].

SERGIO – Soprattutto, come possiamo unire noi stessi a tutti gli altri nel samadhi? Il samadhi, come
stato di completa relazione, non dovrebbe allora essere possibile.

SATI – Noi otteniamo l’unione attraverso la conoscenza diretta degli altri e la consapevole
conoscenza diretta di noi stessi. Noi conosciamo gli altri attraverso la conoscenza diretta, e
diventiamo coscienti di cosa loro veramente sono — loro sono proprio come noi — diventando
consapevoli di cosa noi veramente siamo ed applicando questa nostra coscienza di noi stessi su di
loro: «Oh, lui è proprio come me!». Boom! Avviene l’apertura e l’unione si realizza.

Quanto profondamente avvenga l’unione dipende da quanto profonda è la conoscenza diretta di te
stesso. Se sei cosciente di essere Dio e, in quanto Dio, conosci direttamente un altro, sarai
cosciente che anche l’altro deve essere Dio. Per comprendere bene questo aspetto devi capire che
tutto si gioca su una differenza che c’è tra la conoscenza diretta e la coscienza. Dovresti leggere
ciò che ho scritto in proposito più e più volte, finché non ti diventa chiaro.

Stessità [sameness] opposta a Unicità [oneness]

SERGIO – Io nello stato diretto sono cosciente solo di un’«unicità», non è così anche per te?

SATI – Più che «unicità» io lo chiamerei «stato di unione», in cui non c’è coscienza di separazione.

SERGIO – Tu sei cosciente di altri nello stato diretto?

SATI – Ok, dirò della mia esperienza a un Intensivo sul koan «che cos’è un altro individuo». Io
semplicemente conobbi che l’altro era esattamente come me, e questa fu un’esperienza assolutamente
soddisfacente, ma io ero anche cosciente di lui come un qualcosa che sedeva lì di fronte a me!
Questo è un livello di esperienza. Yogeshwar sperimentò l’altro come Dio, e l’altro gli apparve come
una luce brillante; che quasi scomparve, ma non completamente. In entrambi i casi, noi sperimentammo
l’unione con l’altro, ma c’era anche la coscienza che l’altro fosse qualcosa di fisico. Rimaneva
dell’altro un’«apparenza» nel mondo fisico.

Ci sono vari livelli di samadhi, come insegna Kripalu. In ogni livello superiore c’è una maggiore
accettazione di se stessi e degli altri individui.

SERGIO – Non si estingue la dualità nello stato diretto?

SATI – Sì, ma questo non contraddice quanto ho detto prima. Per me, nello stato di conoscenza
diretta io sono in unione con gli altri. La «stessità» è l’unione. Che poi appaia alla coscienza che
loro siano «qualcosa» di fisico, non importa se sai che questa «apparenza» non è ciò che essi
veramente sono.

È l’ego che si estingue nello stato diretto, non l’individuo, e di conseguenza si sperimenta la
«stessità» di noi stessi e gli altri [e si sperimenta lo stato di unione]. Poiché questa «stessità»
è la medesima, noi non siamo più coscienti di alcuna differenza tra noi e gli altri, ossia non siamo
coscienti della separazione. Nello stato di unione, noi non ci confrontiamo più con gli altri. Gli
altri semplicemente «sono» e noi semplicemente «siamo», perciò ciò che conosciamo direttamente è la
«stessità» [non l’unicità].

SERGIO – Non so se puoi chiarirmi questo: ma come avete raggiunto tu e Yogeshwar la comprensione che
noi siamo molti e che questi «molti» appaiono come una «unicità» nello stato diretto? È a causa
della facoltà di libera scelta? Forse sto cominciando a capire. La dualità testimonia l’esistere di
molti individui. Loro possono scegliere di accettare o non accettare gli altri; è così? Se esistesse
solo un’«unicità», la dualità non esisterebbe e anche il potere di libera scelta non esisterebbe; ho
capito? C’è qualcos’altro che dovrei considerare in ordine al chiarire che molti individui esistono?

SATI – Hai ragione in parte. Se fossimo un’indifferenziata «unicità» non avremmo libertà di scelta,
ma noi invece l’abbiamo! C’è chi negano questo, ma loro semplicemente fanno confusione negando ciò
che è autoevidente. Noi abbiamo il potere di scegliere la dualità o la non-dualità, l’illusione o la
Verità. La dualità non è reale, ma tutte le esistenze individuali lo sono. La percezione della
dualità (ossia di differenti nature) nasce dall’assumere un punto di vista riguardo agli altri. Ciò
fa sì che l’altro sembri differente da te. La differenza porta all’illusione della dualità, ma la
nostra vera natura non è duale, è la stessa. Quando tu accetti un altro e non hai più punti di vista
su di lui: l’altro è semplicemente ciò che è [e la sua natura assolutamente uguale alla nostra
appare]. La stato di non-dualità è lo stato vero, ma non è «unicità», perché noi esistiamo veramente
come individui e mai cesseremo di esistere. Questo è un concetto sottile e richiede molta
riflessione.

SERGIO – Trovi strano che un ricercatore che abbia avuto molte esperienze dirette realizzi che
esista solo un’«unicità»? Realizzazione oltretutto supportata da molte metafore, come: «la goccia
che si dissolve nell’oceano» ed altre simili che si possono leggere sui libri spirituali. Dico
questo perché sono certo che negli Intensivi di Illuminazione in Italia si siano generalmente
riconosciute solo «conoscenze dirette e consapevoli della Verità» e non comprensioni, intuizioni o
fenomeni al loro posto.

SATI – No, le conoscenze dirette e consapevoli sono tutte vere. Tutte le illuminazioni valide hanno
la stessa qualità. Il problema non sta nell’esperienza in se stessa, ma nell’interpretazione che se
ne dà dopo, ossia che cosa uno crede di aver vissuto. Yogeshwar ha messo l’Illuminazione sotto un
microscopio metafisico e l’ha rivoltata in ogni sua parte. L’ha anche esaminata sotto la lente della
sua visione ontologica. Egli dice: «Questo è ciò che ho scoperto. Adottate un’altra ipotesi o punto
di vista e provate a vedere se è vero».

In tutti i tempi le persone hanno avuto consapevoli conoscenze dirette, ma guarda in quanti modi
sono state interpretate. Alla base della maggior parte delle religioni, se non in tutte, c’è la
conoscenza diretta di qualche individuo che ha dato loro origine: guarda quante forme di religioni
diverse esistono. La maggior parte delle religioni finisce con l’avere una verità parziale; ciò
fondamentalmente per due motivi:

1. la conoscenza originaria della verità è andata perduta o non è più chiaramente visibile agli
epigoni di quel credo;

2. la conoscenza originaria della verità è parzialmente o totalmente male interpretata.

Un’interpretazione sbagliata della Verità conduce a molti errori. Per esempio, come si comporterà
un’unicità nel mondo? Ciò implica, come dici, che tu non esisti dunque tu non hai libertà di volontà
e di scelta. Essere convinti che esiste solo un «niente» potrebbe avere conseguenze ancora più
gravi. Decidendo che questa è la verità, si potrebbe diventare irresponsabili, senza potere, o non
essere etici e abusare degli altri per i propri scopi, poiché erroneamente si crede che gli altri
non esistono, che non abbiano valore.

Ecco perché è importante avere una corretta comprensione di cosa tu e gli altri veramente siete e di
cosa la «conoscenza diretta» e l’«Illuminazione» veramente sono. Per questo è importante che i
maestri spieghino molto bene queste cose agli Intensivi. È anche importante usare delle istruzioni
che conducono direttamente all’illuminazione. Nel caso dell’Intensivo di Illuminazione, le uniche
istruzioni corrette sono: «Dimmi chi sei tu» e «Dimmi che cosa sei tu».

SERGIO – Tu diresti che questa persona ha praticato una tecnica di basso livello per questo? [Si
riferisce alla domanda precedente].

SATI – No. Ripeto quanto ho detto sopra, il problema sta nell’erronea interpretazione. Sulla
relazione maestro-allievo

SERGIO – Cara Sati, io amo molto il metodo scientifico. Inoltre il metodo scientifico ci salva
dall’oceano di false teorie che creano un’oscurità buia come la pece [espressione di Kripalvananda
in Revealing the secret. In questo libro Kripalu tra l’altro dice: «Dio fu il primo maestro. Egli
diede l’insegnamento. Gli altri maestri sono solo la sua discendenza»]. Non abbiamo bisogno di
appellarci all’amore per qualcuno per dimostrare la verità, perché la verità è già amore. Il
Siddha-guru (Maestro perfetto) non sbaglia mai, ma un sadhaka-guru (maestro che non ha completato il
percorso yogico) può sbagliare.

Per esempio, mi è capitato di conoscere insegnanti molto impreparati. Loro esordivano spesso con
sorprendenti erroneità supportate solo dal loro paranoico ed esaltato narcisismo. Una volta uno di
questi prese a sostenere complete assurdità dal punto di vista dharmico e spirituale. «Quello che
dice è profondamente sbagliato. Sta mostrando di non conosce la carità, che è un’osservanza. Dio è
misericordia…», commentavo attonito con gli altri allievi, ma questi mi guardavano sconcertati: «Oh
Sergio, l’ha detto il maestro…». Altre volte, in altri ambiti, era: «Lenin l’ha detto… Marx l’ha
detto… Freud l’ha detto… ecc.». Io credo che questa ottusa dedizione non sia vero amore, in quanto
non è di aiuto neppure a colui che sta sbagliando e che si ritiene di amare. Credo sia semplicemente
attaccamento!

Ciò deriva, a mio avviso, da una dinamica infantile. Se si dice a un bambino: «Tua madre non capisce
niente di gerani», lui non è in grado di sopportarlo, perché è completamente identificato nella
madre e dipende totalmente da lei; se considerasse che la madre può fallire, si sentirebbe
minacciato nella sua stessa sopravvivenza. Il perdurare di questa dinamica infantile nell’adulto
genera sia dipendenza che criticità reattiva quando la relazione di transfert si infrange.

Credo invece che un allievo maturo dovrebbe avere un rapporto adulto e responsabile verso la
conoscenza, ed assumersene la responsabilità in prima persona. Per esempio, quando io studiai il
Manuale nel ’90, Yogeshwar riteneva che il koan «L’altro» fosse quello su cui l’aspirante potesse
continuare a meditare, una volta completato il lavoro sugli altri koan. Oggi ha cambiato idea.

Dovrei per questo avere meno stima, amore e fiducia in Yogeshwar? Certamente no. Ciò soprattutto
perché Yogeshwar è un maestro-sadhaka saldamente agganciato a una santa discendenza di Sadguru
(Maestri perfetti); penso al Signore Lakulisha e a Kripalvananda. Io credo che il maestro-sadhaka
che non sia strettamente collegato a un Sadguru (Maestro perfetto) sia destinato inevitabilmente a
fallire sotto la pressione delle proprie impurità.

Per favore, dimmi cosa pensi della mia posizione, sei d’accordo? O ritieni che essa indichi un non
sufficiente amore, fede e rispetto negli insegnanti spirituali?

SATI – Penso che sia un punto di vista sensato e maturo. Noi siamo, come tu dici, ancora sadhaka e
sadhika [femminile di sadhaka], anche se insegniamo. Yogeshwar ha sbagliato molte volte e lo
ammette. Io una volta mi arrabbiavo con lui quando cambiava idea, e protestavo: «Ma come, tu hai
detto questo!» Alla fine compresi che era giusto che lui cambiasse il suo modo di pensare. A
quell’epoca, anche se sapevo che lui era un aspirante e non un Maestro che avesse completato il
percorso dello yoga, io esigevo risposte lapidarie, in modo da potermi sentire sicura che qualcuno
conosceva qualcosa e che in questo modo anch’io potevo conoscerla. Ora vedo cambiamenti in lui, in
me e negli altri come effetto della crescita e ciò mi soddisfa. La prova più importante della
validità del mio insegnate e del mio percorso di crescita è stata per me la mia stessa crescita e la
crescita dei miei compagni di sadhana (pratica spirituale). Questo è ciò che chiamo «il Dio
Vivente».

Io non voglio che tu semplicemente accetti le cose che ti dico, ma non respingerle nemmeno.
Riflettici! Mettile nel tuo cassetto delle cose in sospeso. Alcune di queste cose richiedono molti
anni per essere comprese. Yogeshwar può sbagliare ancora adesso, io certamente posso sbagliare, ma
il sadhana separerà la falsità dalla verità, poco a poco, per tutti noi.

Se una persona è veramente un insegnante, lo studente non dovrebbe avere problemi se l’insegnante a
volte sbaglia, fino a quando è soddisfatto di ricavarne più Verità che falsità. Ci dovrebbe essere
un’affinità tra lo studente e l’insegnante perché la relazione continui, e dovrebbe esserci una
volontà e un’apertura da parte dello studente ad accettare quello che l’insegnante insegna. La resa
all’insegnante viene con l’amore. Questo non vuol dire che lo studente debba chiudere gli occhi di
fronte agli errori dell’insegnante; semplicemente cercherà di accettare questi errori, proprio come
si fa con una persona che si ama.

Nel nuovo manuale Yogeshwar dice di usare solo le istruzioni: «Dimmi chi sei tu» e «Dimmi che cosa
sei tu». Io ho appreso da te che i maestri italiani non hanno mai usato queste istruzioni,. Avendo
avuto successo con gli Intensivi, i maestri italiani possono naturalmente avere resistenze a
cambiare le istruzioni. Questa sarà una prova per loro di verificare se Yogeshwar è il loro
insegnante oppure no, e in che misura lo è. Se loro sono aperti ad usare le nuove istruzioni, allora
la risposta è sì.

Se non lo sono, la risposta è no. I maestri che considerano Yogeshwar il loro insegnante proveranno
le nuove istruzioni per un certo tempo con apertura interiore. Se loro decidono di non usare le
istruzioni di Yogeshwar, loro non devono chiamare i loro intensivi «Intensivi di Illuminazione» per
rispetto a Yogeshwar. Anche non considerando Yogeshwar il loro insegnante, i maestri dovrebbero
rispettare il diritto di Yogeshwar di controllare che il lavoro la cui paternità gli viene
attribuita sia corretto. Proprio come un autore ha il diritto di controllare la fedeltà delle
pubblicazioni dei suoi scritti.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *