Suoni di guarigione e d’armonia

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Suoni di guarigione e d’armonia

di Enrico Cheli

Articolo pubblicato sulla rivista ARMONIA n. 9 – giugno/luglio 1999

“In principio era il verbo.” Così recita la Bibbia, che più volte fa riferimento esplicito al potere
della parola e del suono, come ad esempio nel genesi “E Dio disse: sia la luce e la luce fu”. Anche
i Veda (antichi testi sacri dell’India) sostengono che “In principio era Brahman col quale era la
parola”. Gli egizi credevano che il dio Thoth potesse creare qualsiasi cosa semplicemente
pronunziandone il nome e i maya narrano che il primo uomo ricevette la vita dal potere della voce. E
ancora, le leggende degli indiani d’america hopi, narrano di una donna ragno che cantò il canto
della creazione sopra le forme inanimate della Terra e le portò alla vita.
Le parola parlata o cantata è considerata dunque uno strumento di creazione e anche un mezzo che ci
avvicina al divino, come nella preghiera, nella meditazione e nei canti sacri, ma c’è un terzo,
importante aspetto che merita la massima attenzione: la voce e i suoni come strumenti di guarigione
e autoguarigione.

Mantra in sanscrito significa appunto: pensiero che libera e guarisce. Esso svolge la sua funzione
anche attraverso la semplice ripetizione mentale, ma raggiunge il massimo di efficacia se recitato o
cantato, abbinando così al potere del pensiero quello del suono. Nella tradizione indiana troviamo
migliaia di mantra, ciascuno congegnato per assolvere un diverso effetto: alcuni sono costituiti da
singole parole ed altri da brevi frasi – come il celeberrimo “om mani padme hum”. Ciascuno di questi
mantra ha un preciso significato in lingua sanscrita, tuttavia non è il significato l’elemento più
importante di un mantra, bensì la qualità della vibrazione sonora che esso produce, ed è questo
aspetto che rende i mantra uno strumento universale, la cui validità prescinde da lingua, religione
e cultura di chi lo pratica.

Risonanza come principio di guarigione

Da qualche anno è stato riscoperto anche in occidente ciò che le scuole iniziatiche conoscevano sin
dall’antichità, e cioè che il suono e la musica possono elevare lo stato di coscienza e anche
favorire i processi di guarigione. La musicoterapia – una disciplina di recente costituzione – si
occupa appunto di ciò. Le esperienze in materia hanno evidenziato che i generi musicali occidentali
con i maggiori effetti terapeutici sono, in linea di massima, la musica classica barocca del
sei-settecento e la musica New Age, specie quella cosiddetta “di ambiente”. Ciò dipende dalla
armoniosità di tali generi musicali che, grazie al principio di risonanza che più oltre
illustreremo, si traduce in una maggiore armonia anche nell’ascoltatore; la musica romantica e ancor
più quella contemporanea, poiché mirano a descrivere e stimolare forti emozioni, utilizzano ritmi e
sonorità nel complesso disarmoniche, inadatte quindi ad un uso rilassante e terapeutico (salvo
alcune situazioni psicoterapeutiche dove viene ricercato un affetto catartico o energizzante).
In oriente il problema non si pone perché quasi tutta la musica è da sempre pensata e creata per
favorire il benessere psico-fisico e spirituale dell’essere umano, e sia la musica strumentale che
quella vocale – mantra inclusi – non viene mai eseguita a caso, ma con grande consapevolezza circa
gli scopi che ci si propongono.

È importante dunque ascoltare musica appropriata, ma ancor più efficace per il nostro benessere è
produrre noi stessi dei suoni armonizzanti, attraverso quel meraviglioso strumento musicale che è la
nostra voce. Ogni parola che pronunciamo o cantiamo – e non solo i mantra in lingua sanscrita –
tende a dare origine a specifiche vibrazioni, o suoni, diverse da ogni altra parola, e questo
dipende essenzialmente dal rapporto tra le vocali e le consonanti che la formano. L’efficacia
terapeutica dei mantra e del canto in generale risiede nella proprietà di mettere in vibrazione
certe aree del corpo, stimolando il flusso delle energie vitali e armonizzando il sistema nervoso.
La vocale A, ad esempio, risuona sopratutto nel petto, all’altezza del cuore (e forse non è per caso
che “amore” inizi per A).

La risonanza è un fenomeno che la fisica conosce da tempo, ma solo da poco si è iniziato a studiarne
scientificamente le implicazioni per la salute umana. La risonanza agisce in tutte le dimensioni
dell’universo, dal più piccolo atomo alla galassia più grande, e si manifesta a vari livelli:
sonoro, elettromagnetico, nucleare, gravitazionale. A noi interessa ovviamente il livello sonoro, e
per spiegare come agisce proviamo ad immaginare di accendere il nostro impianto stereo nella stanza
dove teniamo i bicchieri, meglio se di cristallo: se ascoltiamo con attenzione possiamo notare che
oltre alla musica dello stereo si sentono anche altri suoni, più acuti: sono i nostri bicchieri che,
stimolati dalla vibrazione sonora emessa dallo stereo, iniziano a risuonare con essa. Cambiando
musica e sperimentando vari generi possiamo anche renderci conto che non tutte producono lo stesso
effetto sui bicchieri, sia in intensità che in qualità, e che essi rivelano una maggiore affinità
con alcuni generi musicali e alcune frequenze sonore. Lo stesso avviene per il nostro corpo quando
si trova immerso in un campo di vibrazione sonora (come ad un concerto o ascoltando un disco o la
radio) oppure quando produciamo noi stessi dei suoni cantando.

Non tutte le sorgenti sonore sono positive per la salute umana, ve ne sono anzi di alquanto
negative, come ad esempio i rumori del traffico, il ronzio degli elettrodomestici o di altri
strumenti elettrici; e non si creda che la musica sia tutta positiva: vi sono anzi molti casi,
specie nella musica contemporanea, in cui l’effetto per la salute umana è de-armonizzante.
Attenzione quindi a cosa si ascolta, la musica è come il cibo: non limitiamoci al sapore
superficiale, ma cerchiamo di sentire che effetto ha su di noi, se cioè lo “digeriamo” bene o invece
ci crea qualche problema, se insomma ascoltando una certa musica il nostro benessere aumenta o
diminuisce.

I mantra

Il mantra più noto in oriente è “OM” (o “AUM”), che oltre ad essere cantato da solo si ritrova come
invocazione iniziale in gran parte dei mantra composti, quali ad esempio “Om mani padme hum”, “Om
namaha Shivaya”, “Om mani bhadra” e molti altri. In questi ultimi anni OM si è diffuso anche nei
paesi occidentali, dove fino ad ora il primato di notorietà spettava ad “AMEN”, che proviene
peraltro dalla stessa radice sanscrita.
OM è considerato il suono base, la rappresentazione della vibrazione primordiale, quella che nella
religione cristiana è indicata dalla frase “In principio fu il verbo” e che la scienza attuale
individua come il “big bang”, la grande esplosione cosmica da cui si sarebbe originato il nostro
universo. Quel verbo o suono da cui tutto si è originato echeggia ancora nell’universo – la scienza
lo definisce “radiazione primeva” – e coloro che sono capaci di entrare in meditazione profonda e di
raggiungere lo spazio del “vuoto mentale” riferiscono di aver udito un suono che ricorda appunto
l’AUM.

OM è il mantra di guarigione per eccellenza, e ciò dipende essenzialmente dalla felice combinazione
tra la vocale O e la consonante M: la vocale O infatti stimola e apre la regione del plesso solare e
dello stomaco, assai importante da un punto di vista fisiologico, mentre la M raccoglie il suono e
lo retroflette verso il cantante stesso, mettendone in vibrazione la testa e il tronco. In tal modo
si viene a stimolare la circolazione dell’energia vitale, producendo di conseguenza un rilevante
effetto di armonizzazione a livello fisico e nervoso.
Vediamo adesso come cantare appropriatamente questo mantra, così da esaltarne al meglio le
potenzialità vibratorie e terapeutiche. Seduti o in piedi, con la schiena dritta, chiudete gli
occhi, fate un paio di respiri lenti e profondi per prepararvi e quindi iniziate a cantare,
dedicando un intero respiro ad ogni ripetizione: allora, prendete fiato e poi cantate
OOOOOOOOOOMMMMMMMMM su un’unica nota, né troppo alta né troppo bassa (se disponete di una tastiera o
altro strumento potete intonare un do-diesis, altrimenti non preoccupatevi, funziona comunque anche
su altre note). Il suono durerà finché avrete fiato, comodi, senza esagerare, facendo attenzione a
non soffermarvi troppo sulla O per avere fiato sufficiente per la M. È importante non limitarsi ad
ascoltare il suono con le orecchie, ma cercare di sentirlo risuonare nel corpo. Potete iniziare con
7 volte al giorno e crescere gradualmente fino a giungere nell’arco di qualche settimana a 21 volte,
senza fretta, e, se occorre, con qualche respiro di pausa tra una ripetizione e l’altra se vi
sentite affaticati.

Il canto degli armonici

I mantra non sono l’unico caso di utilizzazione della voce umana con finalità meditative e
terapeutiche. Un posto di primissimo piano spetta infatti al canto degli armonici, particolarissima
tecnica canora tipica del Tibet e della Mongolia, ma presente, in forme meno raffinate, anche in
varie culture tribali e sciamaniche del pianeta.
Attraverso tale tecnica (detta anche throat singing oppure overtone chanting) si riescono a produrre
con la sola voce sonorità talmente ricche di note, di accordi e di armonici che spesso gli
ascoltatori stentano a crederci e pensano che i suoni provengano da un insieme di veri e propri
strumenti musicali che suonano assieme. Si tratta infatti di un canto bifonico, vale a dire che una
sola persona emette due serie di suoni distinte e contemporanee: una è rappresentata dal suono base,
di solito su un’unica nota, che funge da sfondo e da generatore; l’altra serie è invece costituita
da un susseguirsi di suoni molto più acuti del suono base (da cui la parola “overtones”) che si
liberano come per magia come le note di un flauto, di un clarinetto o talvolta di una cornamusa. Se
mi è concessa una analogia, possiamo dire che gli armonici stanno ai suoni e alla musica “normale”
come l’aura sta al corpo fisico. Gli armonici rappresentano la parte più sottile e “spirituale” del
suono, così come l’aura rappresenta la parte sottile, energetica, dell’essere. Normalmente né l’una
né gli altri sono percepibili, ma in particolari condizioni possono divenirlo, producendo una
espansione globale della coscienza.
È molto difficile illustrare a parole la qualità dei suoni prodotti tramite questa tecnica e ancor
più gli effetti che essi suscitano negli ascoltatori: le sonorità prodotte sono infatti di tale
ampiezza e frequenza da trasportare con facilità i partecipanti nello stato di meditazione,
sperimentando così limpidi spazi di pura consapevolezza, a più stretto contatto col proprio essere.
Al contempo, per il fenomeno di risonanza, il campo bio-energetico umano, immerso in tali sonorità,
si innalza e si equilibra, favorendo così anche eventuali processi di guarigione.

Le campane tibetane

Dopo aver parlato della voce, qualche cenno anche ai suoni prodotti da strumenti, in particolare le
campane tibetane, che hanno notevoli valenze sul piano meditativo e terapeutco. Tali campane sono
all’apparenza poco più che ciotole di metallo per mangiare o cucinare, ma queste sembianze modeste
nascondono un’anima di inimmaginabile ampiezza. Si tratta infatti di strumenti musicali assai
sofisticati, realizzati artigianalmente e composti di una lega di 7 metalli diversi (tra cui anche
argento e oro). Grazie a ciò il suono che producono è ricco di armonici, poiché ogni metallo vibra
ad una diversa lunghezza d’onda, e quindi un’unica percussione produce un accordo di più note. La
diversa grandezza e spessore fanno poi sì che ogni campana abbia il suo peculiare accordo, più grave
o più acuto, maggiore o minore, su una tonalità o su un’altra.

Una volta percossa, la campana continua a vibrare a lungo, emanando attorno a sé flussi concentrici
di onde sonore che si propagano anche all’interno del corpo, con piacevoli e benefici effetti sui
vari organi e cellule. L’intensità della vibrazione è tale che anche a svariati metri di distanza è
possibile avvertirne il risuonare nel corpo; tuttavia, per alcuni scopi terapeutici, le campane
possono essere poggiate direttamente sul corpo della persona, in corrispondenza di particolari punti
energetici, stimolandoli in modo ancora più energico.

Ovviamente pochi possono disporre di campane tibetane o essere in grado di eseguire il canto degli
armonici, ma per avvalersi del potere meditativo e terapeutico dei suoni abbiamo tutti a
disposizione quel meraviglioso strumento che è la nostra voce. Cantare dei mantra o delle semplici
vocali è infatti un’esperienza altamente suggestiva, che rilassa a fondo e produce al contempo
sensazioni di profonda armonia. E non veniamo a dire che siamo stonati o che non abbiamo voce: è
sufficiente cantare singole vocali come la A o semplici parole come OM o AMEN per ottenere validi
risultati. Se ci vergognamo possiamo benissimo farlo da soli, chiusi nella nostra stanza,
l’importante è farlo; ma dopo qualche giorno di pratica solitaria il coraggio cresce e potremmo
magari aver voglia di invitare degli amici per cantare in coro: prepariamoci in questo caso ad avere
piacevolissime sorprese, poiché accade immancabilmente un fatto curioso: se anche molti dei
partecipanti – presi singolarmente – sono stonati, le loro voci, grazie allo spazio meditativo che
si crea, tendono spontaneamente ad accordarsi, e il suono complessivo che ne risulta è perfettamente
amonico, assai piacevole a sentirsi e sopratutto assai ricco di potenzialità terapeutiche per il
corpo, per la psiche e per lo spirito. Magia della risonanza.

Approfondimento sul sito www.sublimen.com

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