Tecniche di Meditazione 2

pubblicato in: AltroBlog 0
Tecniche di Meditazione 2

(A cura di Geshe Gedun Tharchin e dell’Istituto LamRim di Roma)

(parte seconda)

b) Il Cuscino

Il secondo elemento è la preparazione del cuscino. Il Buddha, quando sedette sotto l’albero della
Bodhi per il conseguimento dell’Illuminazione, si sedette su un mucchio di erba detta “cuscia”. Può
essere utile visualizzare se stessi nell’atto di meditare all’aperto, sotto l’albero della Bodhi su
un cuscino di foglie di “cuscia”, non c’è bisogno di visualizzare grandi edifici, troni o orpelli
particolari, è sufficiente immaginarsi mentre si medita sotto l’albero della Bodhi. Quindi è utile
avere un cuscino come base e un altro più alto su cui sedersi ma non è una regola precisa, non è un
obbligo, non è necessario, ovunque si vada, portarsi appresso due cuscini.

Abbiamo parlato delle visualizzazioni e dei cuscini però si può anche meditare senza questi
elementi stando semplicemente seduti all’aperto. A Roma ci sono molti parchi bellissimi e si può,
dopo una passeggiata, sedersi a meditare. L’estate scorsa sono stato a Taipei dove ci sono
pochissimi parchi molto piccoli e pieni di gente che pratica il Tai-Chi o il Kung-fu, però meditare
è meraviglioso e penso sia meglio del Tai-Chi.

c) La Postura del corpo

Il terzo elemento è la postura del corpo, ci sono sette elementi fondamentali:

• Le gambe dovrebbero essere nella postura del loto o del semi-loto con la gamba destra
all’esterno (il loto completo è quando entrambi i piedi poggiano sulle cosce). • La posizione
della spina dorsale è molto importante: dev’essere diritta.

• Le spalle devono essere dritte e rilassate, e, se anche la spina dorsale è diritta,
automaticamente anche le spalle sono diritte.

• La testa deve essere leggermente chinata in avanti. Alcuni testi dicono che la punta del naso
dovrebbe essere perpendicolare all’ombelico e bisognerebbe posizionare anche la propria fronte,
utilizzando l’occhio mentale, perpendicolarmente all’ombelico. Se noi volgiamo gli occhi verso
l’ombelico automaticamente il capo sarà chinato leggermente in avanti.

• Gli occhi devono rimanere per metà aperti e dovrebbero guardare verso la punta del naso.

• La punta della lingua deve toccare il palato superiore all’altezza degli incisivi, non deve
essere premuta ma la si fa rimanere solo in contatto con il palato.

• La mano destra deve stare sul palmo della sinistra con i pollici che si toccano. Un altro
accorgimento è quello di porre i pollici all’altezza dell’ombelico. Alcuni dicono che i pollici
dovrebbero formare un triangolo con il palmo delle mani ma l’essenziale è che le loro punte siano in
contatto. Alcuni meditano con i pollici sovrapposti.

Ci sono molti significati riguardo a questa postura. E’ una posizione naturale della forma umana.
E’ la postura più comoda a lungo termine; all’inizio può sembrare scomoda ma, col tempo, è quella
che ci permette di rimanere comodi nel migliore dei modi e sono molti i praticanti che meditano in
questa posizione da migliaia di anni. Inoltre questa è la postura corretta per produrre una buona
energia e una buona pratica.

La postura delle gambe incrociate richiama in un certo senso il Vajra, che è un oggetto sacro. La
traduzione di Vajra è: “diamante”, simbolo d’indistruttibilità; il richiamo al Vajra con la
posizione delle gambe incrociate vuole, in un certo senso, significare che questa posizione ci
favorisce una pratica indistruttibile. Il nostro Samadhi, con la posizione delle gambe incrociate,
sarà indistruttibile e stabile; il Vajra è un simbolo di buon auspicio che può produrre un Samadhi
indistruttibile. La schiena dritta è necessaria perché crediamo esista nel corpo un canale centrale
che è il canale di energia più sottile a livello fisico, il canale chiamato sacro, e questo canale
di energia è posto lungo la spina dorsale. All’interno del canale centrale è collocata la nostra
mente più sottile.

A livello fisico la schiena dritta ci aiuta a tenere una posizione stabile e permette una
circolazione sanguigna ottimale. Le spalle dritte aiutano a tenere le braccia composte anche senza
l’aiuto di un cuscino. La testa deve essere chinata leggermente in avanti perché, se meditassimo con
la testa all’indietro, creeremmo un’interruzione nella continuità della spina dorsale, inoltre è
anche un segno di umiltà. Per quanto riguarda gli occhi: alcuni praticanti meditano con gli occhi
completamente chiusi, altri con gli occhi aperti; il Buddha ha suggerito la via di mezzo: stare con
gli occhi semichiusi. Meditando con gli occhi chiusi c’è il rischio di cadere nella trappola della
sonnolenza e, facendolo con gli occhi aperti, c’è il rischio di una sovreccitazione mentale. La
postura della lingua a contatto con il palato consente una limitata salivazione. Per le mani, non
c’è grande differenza riguardo a quale di esse debba stare sopra l’altra (nello Zen si medita con la
sinistra sulla destra perché la mano destra è la mano dell’azione e quindi, poiché nella meditazione
l’azione fisica viene controllata, si mette la sinistra sulla destra; secondo lo Zen solo il Buddha,
o le personalità elevate, meditano con la destra sopra la sinistra). Comunque la maggior parte delle
tradizioni buddhiste suggerisce di meditare con la mano destra sovrapposta alla sinistra. In quella
tibetana i pollici sono considerati dei canali sottili chiamati canali della bodhicitta, ovvero
della mente compassionevole. Mettendoli a contatto si surriscaldano generando più bodhicitta.

La ragione per cui i pollici dovrebbero essere all’altezza dell’ombelico è che si ritiene che
questo canale di energia centrale passi proprio per l’ombelico e i grandi yogi usano tale punto per
generare un grande calore interno. Ci sono dei meditanti che si concentrano molto su questi aspetti
energetici sottili. Io penso che sia importante meditare concentrandosi soprattutto sulla postura
del corpo: il solo mantenerla corretta genera molti risultati a livello di concentrazione.

C’è una certa interdipendenza tra gli aspetti fisici e gli aspetti mentali o spirituali: mantenere
la posizione aiuta ad accrescere le nostre qualità interiori, in più influenza anche il nostro
aspetto e la nostra efficienza fisica.

d) La Motivazione

Il quarto elemento è quello di generare una buona motivazione. Per coloro che hanno già qualche
familiarità con la pratica buddhista mahayana il fatto di generare una buona motivazione è in
relazione con la presa di rifugio nei Tre Gioielli e con la proposizione della mente di Bodhicitta,
la mente altruista.

La generazione della Bodhicitta generalmente è espressa con la recitazione di un poema di quattro
versi che dice:

” Fino all’illuminazione mi rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, grazie ai meriti creati;
praticando la generosità e le altre perfezioni possa io raggiungere lo stato di Buddha per il
beneficio di tutti gli esseri senzienti.”

Questo poema fu composto dal Maestro Atisha che ebbe un grande ruolo nella seconda fase di
diffusione del Dharma in Tibet, avvenuta tra il X e XI secolo. Questi quattro versi sono recitati
da tutti i praticanti buddhisti in Tibet prima di cominciare qualsiasi tipo di pratica.

La presa di rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha dovrebbe essere motivata dalla rinuncia e
dalla compassione. La rinuncia dovrebbe essere motivata dalla comprensione del Samsara cioè dalla
comprensione del mondo, delle sue sofferenze, dei problemi e delle difficoltà. A partire da questa
comprensione bisognerebbe generare il desiderio di raggiungere la liberazione da queste difficoltà e
dal mondo del Samsara. Quindi, per comprendere che cosa è la liberazione, che cosa è il Nirvana,
bisognerebbe comprendere l’essenza della sofferenza. Il Nirvana è la cessazione della sofferenza e
dei problemi. E’ il risultato del venir meno delle difficoltà: un po’ come il burro che si produce
dal rimescolamento del latte. In questo senso il Nirvana è fatto dell’essenza del Samsara. E quindi
fare chiarezza sul Samsara vuol dire fare chiarezza sul Nirvana, sulla liberazione dalle difficoltà.
Risolvere i problemi significa renderli chiari alla comprensione.

Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha implica prendere Buddha, Dharma e Sangha come
mete della nostra pratica. Buddha, Dharma e Sangha non sono esterni a noi ma interni, sono prodotti
dalla nostra stessa pratica. E in questo senso sono il nostro oggetto, la nostra meta. Sono simboli
e i simboli non sono reali. Generalmente i religiosi disquisiscono parecchio riguardo ai simboli. In
India, infatti, esistono diversi problemi di carattere religioso e gli uni combattono contro gli
altri per questioni simboliche e iconografiche.

Tutto questo è molto triste. Secondo l’insegnamento del Buddha non ci sono problemi che riguardano
i simboli, la pregnanza dei simboli: se qualcuno venisse e buttasse di sotto quella statua lì del
Buddha non ci sarebbero problemi. Questo gesto non creerebbe sofferenza né al Buddha né a noi. Se
noi prendiamo quella statua come simbolo è perché ci ricorda il significato, l’essenza
dell’insegnamento del Buddha ma non vuol dire che è il Buddha, sarebbe sciocco dire che quella
statua è il Buddha. E’ bene fare chiarezza su questo: prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel
Sangha vuol dire che la nostra salvezza, ciò che ci salva, dovrebbe essere prodotto all’interno di
noi stessi. Il senso del prendere rifugio è che io riconosco che il Buddha, il Dharma e il Sangha
sono la meta della mia pratica e che questo scopo deve essere raggiunto dentro di me.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *