Tecniche di Meditazione 3

pubblicato in: AltroBlog 0
Tecniche di Meditazione 3

(A cura di Geshe Gedun Tharchin e dell’Istituto LamRim di Roma)

(parte terza)

La figura del Buddha – come oggetto di rifugio – è la rappresentazione di una mente tranquilla,
libera da impedimenti e da sofferenze. Il Buddha non va visto soltanto come un semplice personaggio
storico – realmente esistito – o come una divinità da adorare: è la meta del nostro sentiero
spirituale. Rappresenta la nostra personale potenzialità di sviluppo spirituale. Perché noi stessi –
se lo vogliamo – possiamo diventare Buddha .

Il Dharma – il secondo oggetto di rifugio – è la Via per raggiungere il Risveglio. Rappresenta un
metodo – sperimentato da milioni di persone – per raggiungere la Liberazione da tutte le sofferenze.
In altre parole, è il mezzo attraverso il quale è possibile raggiungere lo stato di Buddha.

L’ultimo oggetto di rifugio è il Sangha. È formato da tutti coloro la cui pratica è il Dharma,
costituito cioè da persone il cui scopo è il raggiungimento della Liberazione per se stessi e per
gli altri.

In fin dei conti, se ci riflettiamo bene, questi tre oggetti di rifugio non sono elementi esterni
alla nostra pratica. Il Buddha, il Dharma e il Sangha non compiono miracoli per conto nostro. Questi
tre oggetti di rifugio sono in realtà dentro di noi. Siamo noi stessi con la nostra pratica
spirituale a dare loro un effettivo valore.

Quindi, prendere rifugio nei Tre Gioielli è un punto di partenza molto importante. Diventa un
obiettivo fondamentale per il nostro progresso spirituale.

Quando ci impegniamo nella pratica meditativa desideriamo raggiungere uno stato mentale di
tranquillità e di fare maturare determinate qualità positive della nostra mente. Contemporaneamente,
c’è la consapevolezza che lo stato di Buddha non è di beneficio esclusivamente per noi stessi ma per
un’infinita moltitudine di esseri senzienti. Il percorso specifico per raggiungere e progredire
spiritualmente è rappresentato dalle sei Paramita (o Perfezioni).

La Generosità e la Moralità servono come base per produrre una piena pratica del Dharma.

La Pazienza è la più grande sorgente della tranquillità e della pace, è la base dell’armonia.

Lo Sforzo Gioioso, l’atteggiamento di entusiasmo che porta a infondere gioia nella pratica del
Dharma, uno sguardo che ci permette di praticare con gioia il Dharma. La Concentrazione è un
requisito fondamentale per il raggiungimento di uno stato mentale adatto.

La Saggezza ci permette di individuare quale sia il sentiero, la maniera giusta. Come ho già detto
la saggezza è l’occhio che ci permette di guardare le altre cinque Paramita perché, pur
praticandole, senza la saggezza rischiamo di non sapere in quale direzione stiamo andando. Quindi,
per avere il quadro completo, il sentiero completo, servono tutte e sei le Paramita.

Sebbene la motivazione sia questione semplice quello che dobbiamo ben comprendere sono i profondi
significati che in essa si celano. Quando generiamo la motivazione per il benessere di tutti gli
esseri viventi, quindi con la mente di Bodhicitta, altruistica, ci poniamo ad un livello molto alto
e a quel punto tutti i nostri problemi, le nostre difficoltà, in un certo senso, scompaiono.

La motivazione, cioè desiderare di raggiungere l’Illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri
senzienti, assume una rilevanza straordinaria nel contesto della nostra società. Gli esseri ordinari
litigano e si accapigliano per qualsiasi futile motivo, anche per una banalissima tazza di caffè.
Sembra pazzesco, ma purtroppo la mente degenerata può spingere anche all’omicidio. Purtroppo ogni
giorno ci sono esempi tristi che dovrebbero farci riflettere.

Naturalmente tutto ciò non avviene a caso. Se siamo sempre concentrati sul nostro piccolo ego,
pensando continuamente a noi stessi, allora diventa molto facile che anche il più insignificante
problema possa ingigantirsi e divenire ingestibile, facendoci soffrire terribilmente.

È importante soffermarsi un po’ a riflettere quando parliamo di Rinuncia. Dobbiamo sottolineare che
per i tibetani ha un significato abbastanza diverso rispetto a quello che ha nelle lingue
occidentali come l’italiano o l’inglese.

Per gli occidentali dedicarsi alla Rinuncia equivale a comportarsi come dei veri e propri pazzi: si
abbandona la famiglia, il lavoro, gli amici e tutto quanto. Secondo me, questa è una concezione
errata della Rinuncia che ci porta fuori strada del nostro cammino spirituale. Per i tibetani,
invece, la rinuncia viene intesa come comprensione del Samsara e del Nirvana, maturando
contemporaneamente il desiderio di raggiungere la Liberazione. Infatti, la vera Rinuncia è la
comprensione della realtà fenomenica, di come funziona, la comprensione delle sofferenze e, in un
certo senso, la realizzazione dell’esistenza del Nirvana. Quando si realizza l’esistenza del
Nirvana, solo allora ci si può impegnare nella pratica del Dharma perché si vuole raggiungere il
Nirvana, la Liberazione.

Quindi chi possiede la mente della Rinuncia ha una mente aperta che non è concentrata solo su se
stessa.

Pensate a certi cavalli che portano i paraocchi: possono vedere soltanto la strada che è dinnanzi a
loro. La mente egoistica è una mente con i paraocchi, cioè una mente molto ristretta, limitata. Per
permettere alla nostra mente di vedere tutto dobbiamo toglierle quei paraocchi.

La Rinuncia, la Compassione e la Bodhicitta hanno la caratteristica di donare alla mente uno
sguardo aperto e radioso. Soltanto in questo modo quel “me stesso” che ci crea tanti problemi perde
di importanza, sino a svanire del tutto.

Lo so. Vi parlo di queste cose quando io stesso trovo difficile possedere realmente una mente
aperta. Ci metto tanto buon impegno e però mi rendo conto di quanto sia arduo. Ciononostante, quando
maturo la convinzione che esiste lo spazio per una mente chiara, pacifica e amichevole, molti
ostacoli nella pratica svaniscono facilmente. È importante, però, non avere fretta. Il muro delle
difficoltà deve essere sbrecciato poco alla volta: prima ci si incunea in un piccolo foro poi, passo
dopo passo, si va avanti con fiducia.

L’Illuminazione è una mente completamente aperta, del tutto chiara. Bodhicitta è rendersi conto di
poter raggiungere questo stato di mente risvegliata e avere il desiderio di conseguirla. Questa
mente aperta, completamente illuminata, è fonte di ogni gioia e di benefici non solo per se stessi
ma per tutti gli esseri viventi. Bisogna comprenderlo chiaramente, fare chiarezza dentro se stessi
su questo punto. Senza questo tipo di motivazione è difficile impegnarsi nelle pratiche, nelle
tecniche di meditazione, nelle Paramita.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire sulla motivazione: è un argomento molto vasto e molto
importante. Però la prima cosa è comprendere come funziona, cosa è, come è possibile ottenerla.
Bisogna comprenderne i benefici sia nel proprio quotidiano, nella vita di ogni giorno, sia, ad un
livello più alto, nella vita di tutti gli esseri viventi. E infine bisogna che ognuno la acquisisca
attraverso il proprio personale impegno: solo così ciascuno può decidere se accettare o meno la
sfida.

Siamo liberi. Il Buddha stesso ha detto che tutti noi abbiamo la facoltà di giudicare, di
sperimentare il suo insegnamento, verificare se è vantaggioso o no: questo è quanto Egli ha
realizzato, quanto ha sperimentato. Il Buddha non ha detto che la sua è l’unica via ma ha suggerito
di metterla alla prova e, quindi, questa via può essere saggiata da ciascuno di noi. E’ una via,
non l’unica. Questa è la ragione per cui in Occidente molte persone si sono avvicinate al Dharma,
proprio per questo approccio in un certo senso razionale, pratico. Ci sono alcune persone che hanno
una naturale tendenza verso l’insegnamento del Buddha, forse causata dalle esperienze del passato o
da quelle in vite precedenti. Spesso queste persone hanno una sorta di propensione naturale verso il
Dharma , un’affinità quasi genetica e la via del Dharma procura loro molti benefici e molta gioia.

e) Cos’è la Meditazione

Nella lezione precedente abbiamo parlato di come scegliere e allestire un luogo adatto alla
meditazione, di come assumere una buona postura del corpo e di come generare una buona motivazione.
Adesso che ci avviciniamo alla pratica vera e propria della meditazione vorrei dire qualcosa per
spiegare cos’è.

Ogni essere umano ha dentro di sé le qualità della meditazione. La meditazione non è un’azione che
dobbiamo produrre dal niente ma è qualcosa che possediamo già. Ciascuno di noi ha dentro di sé la
facoltà della concentrazione e la facoltà di investigare la realtà e questi sono i due elementi
fondamentali per un approccio alla meditazione. La meditazione è prima di tutto prendere coscienza
di tali facoltà e quindi svilupparle. Un altro approccio alla meditazione è quello che ha a che fare
con l’approdare alla propria mente, una concentrazione sulla mente, ove è la mente stessa ad essere
l’oggetto di indagine. Quando parliamo di mente dobbiamo prima di tutto capire dove essa sia
collocabile e quale sia il suo ruolo nella nostra vita.

Queste due questioni devono essere prese in considerazione prima dell’approccio alla meditazione.
Quando parliamo di introspezione intendiamo il rapporto con la nostra mente. Questa proviene da un
tempo senza inizio e va verso un tempo senza fine ma ciò non vuol dire che rimane ferma: è un
continuum senza inizio e senza fine, come un fiume. Il fiume non è mai lo stesso ma, pure, è sempre
lì. Noi consideriamo il corpo come il nostro mondo individuale e, se consideriamo l’Universo come il
mondo globale, la mente può essere vista come un fiume che attraversa questo mondo. Se guardiamo
dentro di noi la mente ci appare come un fiume che scorre in continuazione e non si ferma mai e
sulla superficie del quale si formano onde diverse a seconda dei diversi eventi che le generano.

La meditazione è, prima di tutto, fare in modo di tranquillizzare il flusso della mente: questa è la
prima fase, definita “stabilizzante”. Il secondo passo è la meditazione “analitica”. Essa diviene
possibile quando, avendo calmato il flusso dei pensieri e ottenuta così una mente chiara, abbiamo la
possibilità di guardarla direttamente e vedere ciò che la influenza, identificare ciò che in
effetti ci influenza in maniera positiva e cosa in maniera negativa. Quindi, ci sono due aspetti
della meditazione: il primo è quello che si basa sul potere della concentrazione della mente, il
secondo è quello che si basa sul potere della saggezza.

Per la meditazione “stabilizzante” c’è una tecnica fondamentale. Dobbiamo distinguerne due
categorie: una che riguarda la meditazione formale, quella che si fa mettendosi seduti nella
postura; l’altra è la meditazione che si applica alla vita quotidiana, una meditazione a tempo pieno
che serve a incrementare le qualità positive della nostra mente in rapporto al mondo ordinario.
Alcuni la chiamano “cibo per la mente”, non so… forse è giusto definirla così.

E’ bene cominciare con la meditazione formale piuttosto che con quella a tempo pieno. Ci sediamo
nella giusta posizione, con la giusta postura e generiamo una giusta motivazione. Questi due
elementi, postura e motivazione, non dovrebbero essere attuati in modo frettoloso ma con
consapevolezza e avendo bene in mente quali sono i significati relativi sia alla postura del corpo
che alla generazione della motivazione. Nella tradizione tibetana ci sono nove stadi che servono a
purificare i cosiddetti venti negativi: però è una faccenda un po’ complicata e non indispensabile!

La prima cosa da fare quando ci si siede nella postura di meditazione è riflettere su quelli che
sono i nostri problemi, le nostre difficoltà legate al mondo ordinario, al Samsara. Ciò è utile
perché spesso abbiamo così tanta paura dei nostri problemi che evitiamo di pensarci e, quando essi
ci cadono addosso, ci procurano difficoltà ancora maggiori. Quindi è meglio pensare ai nostri
problemi, rifletterci, metterci in relazione con essi. Mi riferisco ai problemi legati al mondo
ordinario come: il lavoro, la famiglia…la vita quotidiana insomma.

E’ importante entrare in contatto con questi problemi, riflettere su di essi esattamente come
faremmo con problemi più complessi. Bisognerebbe innanzitutto chiedersi dove sono situati questi
problemi: è difficile trovare dove essi sono situati però li sentiamo comunque in modo molto
presente, molto invadenti.

Da un lato questi problemi sono molto evidenti, molto presenti nella nostra vita, ma dall’altro è
molto facile sbarazzarsene. Ci sono due diversi modi di guardare ai problemi. Un primo approccio è
quello di guardarli senza un minimo di investigazione e, così facendo, ci appaiono subito
impossibili da risolvere.

Il secondo approccio è quello di guardarli con attenzione, con concentrazione scoprendo
all’improvviso che questi problemi non ci sono più, sono spariti. La vacuità è questo, non altro.
Per comprendere la vacuità bisogna investigare, guardare molto attentamente. Bisogna guardare
entrambi gli aspetti menzionati: da una parte sembra che il problema sia tanto grande da essere
irrisolvibile e dall’altra lo stesso non esiste affatto. Sono come i due lati di una stessa
medaglia: da un lato il problema, dall’altro il non-problema.

Il Buddha, nel Sutra del Cuore, dice che non esiste occhio, non esiste orecchio, non esiste essere
umano: questo vuol dire guardare la faccenda da un punto di vista assoluto; sotto un altro aspetto
però esistono occhio, orecchio, essere umano. Dobbiamo accertare entrambe queste realtà. E dobbiamo
vivere proprio in mezzo, sulla linea discrimina questi due aspetti, la linea del “nessun problema”.

f) La Meditazione sul respiro

Dopo aver trovato la postura corretta, sviluppata la motivazione e aver preso in esame i nostri
problemi si passa alla meditazione sul respiro: si inspira dalla narice destra e si espira dalla
sinistra. C’è chi lo fa chiudendo una narice ma non è necessario, basta rendere presente alla mente
l’atto di inspirare dalla narice destra e di espirare dalla sinistra, immaginando che inspiriamo
aria pura, ossigeno, energia pulita e espiriamo aria viziata, anidride carbonica, energia negativa.

E’ sintomatico che quando si inspira si inala ossigeno e quando si espira si butta fuori anidride
carbonica. Quando ero giovane, a dodici anni, ho studiato queste cose a scuola però sui testi
tibetani non si parlava di anidride carbonica e ossigeno: si parlava di energia buona e energia
cattiva, ed è singolare come queste cose coincidano. E’ importante, quando si inspira, quando si
inala l’ossigeno, immaginare di inalare anche quelle che sono le qualità positive della mente: la
rinuncia, la compassione, la bodhicitta. E quando si espira, quando si butta fuori l’anidride
carbonica, buttiamo fuori anche tutte le qualità negative della mente e i problemi perché, che cosa
sono i problemi se non proprio quelle qualità negative della mente? Si fa questo esercizio tre
volte. Poi si fa il processo inverso: si inala dalla narice sinistra e si espira dalla narice
destra, sempre per tre volte. Altri tre cicli di inspirazione ed espirazione utilizzando entrambe le
narici.

Lentamente, in maniera morbida: non si deve pensare di espellere forzosamente gli elementi negativi
della mente.

Ho visto anche in Italia alcune persone fare questa meditazione in maniera molto energica, forse
anche in Tibet c’è chi la fa così però sui testi è scritto che non è necessario farlo con tale
forza. Se si guarda all’essenza di questa pratica meditativa non è importante inspirare dalla narice
destra ed espirare dalla sinistra o viceversa; l’essenza di questa pratica è purificare la mente.
Essa è anche utile per bilanciare il nostro respiro. Questa tecnica dei nove stadi è utile per
portare il nostro respiro in una stato di maggiore calma, più naturale; è bene saperlo quando si
decide di cominciare a meditare. E’ quindi una tecnica che serve a purificare la nostra mente e
bilanciare la respirazione.

Dopo questo esercizio preliminare dei nove stadi c’è un altro esercizio, un’altra tecnica utile:
quella di contemplare il respiro. Spesso uno dei problemi che sorgono è quello di avere un respiro
non bilanciato in cui una delle due fasi, l’inspirazione o l’espirazione, è più lunga dell’altra e
questo sbilanciamento della respirazione spesso provoca anche uno sbilanciamento a livello mentale,
un ondeggiamento della mente. Questa tecnica è molto salutare per bilanciare il respiro e far sì che
la nostra inspirazione abbia lo stesso ritmo, la stessa ampiezza dell’espirazione.

Semplicemente osservare la nostra respirazione. E, man mano che lo si osserva, il respiro diventerà
più equilibrato. Il riequilibrio della respirazione è molto utile come base per la meditazione
perché è alla base della stabilità mentale necessaria per la concentrazione. E’ importante osservare
la nostra inspirazione ed espirazione, soprattutto osservare il ritmo della respirazione. E’ una
cosa molto semplice ma anche molto utile. Questa è la seconda tecnica di meditazione sul respiro. La
prima tecnica, quella della respirazione alterna, in un certo senso un po’ artificiosa, è
finalizzata a purificare la nostra mente. La seconda serve a creare una base per la concentrazione
mentale.

La terza tecnica riguarda specificamente la pratica della concentrazione. Questa tecnica è basata
sia sulla visualizzazione che sull’osservazione del respiro ma è un po’ più complicata delle due
tecniche precedenti. E parlarne è più facile che praticarla effettivamente. E’ una tecnica già
seguita durante i corsi del giovedì: si tratta di inspirare per sette volte dalla narice destra
espirando dalla sinistra, e poi per sette volte dalla sinistra espirando dalla destra continuando
così per tre cicli (in totale: ventuno inspirazioni/espirazioni).

E’ una tecnica che va applicata per non più di ventuno volte. La prima tecnica che avevamo spiegato
(delle nove fasi) andava fatta per nove volte, la seconda non ha una durata fissa ma è libera,
questa terza si può fare per sette, quattordici, ventuno volte, ma per non più di ventuno volte.
Cosa succede se si fa per più di ventuno volte? C’è qualcuno che lo sa?

La ragione per cui si fa questa pratica di ventuno fasi è che così si rimane concentrati sul respiro
nel momento presente e, nel contempo, si può seguire il conteggio: se lo si perde bisogna
ricominciare dall’inizio e quindi la pratica diventa più lunga di quello che non sembrerebbe. Una
volta fatta questa meditazione in modo corretto, e cioè avendo contato il processo del respiro per
sette, quattordici, ventuno volte (tre cicli di sette inspirazioni-espirazioni compiute con le
narici in modo alternato destra – sinistra, sinistra – destra), giunti alla fine senza aver perso il
conto, ci si trova in uno stato della mente neutro. Questo è il segreto di questa tecnica: ventuno
fasi sono sufficienti per calmare la mente; anche se una persona inizia la pratica in uno stato
mentale molto agitato, facendo questo esercizio, dopo ventuno respirazioni fatte in maniera
concentrata senza aver perso il conto, la mente si calma. A questo punto la nostra mente è in uno
stato neutro: né positivo né negativo, ma nel mezzo. E quindi, essendo questo un processo graduale,
è molto utile ai principianti.

Ogni tecnica ha la sua ragion d’essere: la prima fase (nove stadi) serve a purificare la mente; la
seconda serve a bilanciare, equilibrare il respiro; la terza (ventuno volte) porta la mente in uno
stato neutro. Sono pratiche collegate fra di loro: la buona riuscita della prima serve come base al
successo della seconda e l’aver fatto la seconda tecnica in maniera appropriata è utile per la
riuscita della terza tecnica.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *