Tecniche di Meditazione 4f

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Tecniche di meditazione 4f

(A cura di Geshe Gedun Tharchin e dell’Istituto LamRim di Roma)

(parte quarta e fine )

g) La Concentrazione su un oggetto

Dopo aver portato la mente in uno stato neutro possiamo entrare nella fase della meditazione
propriamente detta. Solo a questo punto possiamo cominciare a focalizzare la nostra attenzione su un
oggetto: in sanscrito questa pratica viene detta Samatha. Bisogna distinguere tra Samadhi e Samatha.
Samadhi è la concentrazione. Samatha spesso è tradotta con meditazione ma quando si comincia a
meditare si tende alla Samatha, essa non è presente sin all’inizio. Samatha non è necessariamente
una pratica esclusivamente buddhista, ognuno ha la capacità di raggiungere Samatha. Samatha può
essere tradotta come: lo stato mentale in cui si tiene la concentrazione ferma su un oggetto senza
fare alcuno sforzo; è uno stato mentale che genera anche una sensazione piacevole, un piacere sia a
livello mentale che fisico. Ancora non è il nostro caso però! Per ora ciò che intendiamo per
concentrazione è il semplice Samadhi.

In noi è già presente un certo grado di concentrazione: si tratta semplicemente di ampliarlo. E
per riuscirci una delle tecniche che si raccomandano è quella di fissare un oggetto e contemplarlo
con chiarezza sempre maggiore. Focalizzare questo oggetto e stabilizzarlo nella mente è un punto
molto importante nella meditazione. Ci sono molte cose da dire sugli oggetti di meditazione. In
breve: un oggetto di meditazione può essere esterno, qualsiasi cosa fuori di noi, un oggetto che
visualizziamo a livello mentale o anche una visualizzazione interna, cioè la visualizzazione della
stessa mente o delle sue specifiche qualità. Per giungere a questo risultato si può, in quanto
praticanti buddhisti, visualizzare all’inizio l’immagine stessa del Buddha. Concentrandosi
sull’immagine del Buddha si influenzano in maniera positiva le nostre capacità, le nostre qualità.

Nella nostra tradizione, quando si parla della concentrazione su un oggetto esterno che non sia
un’immagine del Buddha, si ritiene che sia una applicazione poco utile, una perdita di tempo, perché
reputata inefficace. Quindi è bene concentrarsi su un oggetto che lasci una impronta positiva nella
nostra mente. Riguardo alla visualizzazione dell’immagine del Buddha è bene avere un modello, che
può essere una statua reale o una foto di una statua del Buddha, e quindi cercare di visualizzarla
con la mente quanto più precisa possibile. All’inizio non è necessario che l’immagine visualizzata
sia estremamente nitida, dettagliata: sarebbe molto difficile. Inizialmente è bene concentrarsi
anche solo su un’ombra, su una sfera che richiami per esempio il colore del nostro modello: se è
l’immagine di un Buddha gialla si può focalizzare un’ombra gialla. Quando l’ombra gialla è diventata
stabile possiamo fare in modo che diventi anche più nitida. Bisogna farlo piano piano, al
rallentatore, non bisogna cercare di focalizzare subito i dettagli ma entrarci piano piano, come se
fosse un film, una carrellata cinematografica. All’inizio bisogna incrementare questi due aspetti:
stabilità e chiarezza. Essi vanno posti subito in primo piano, fin dall’inizio. La stabilità
consiste nel rendere permanente la visualizzazione di un oggetto, non importa quanto nitida, quanto
chiara: può anche essere, come già detto, una sfera colorata, l’importante è mantenere la
concentrazione fissa su quell’oggetto; questa è la stabilità.

Alimentare la chiarezza della visualizzazione significa essere in grado di visualizzare l’immagine
in maniera progressivamente più nitida. Stabilità e chiarezza sono qualità che vanno incrementate
fin dall’inizio e, se vediamo che non riusciamo a mantenere con chiarezza e con stabilità l’immagine
dell’oggetto di meditazione, è bene fermarsi un attimo, aprire gli occhi e guardare il modello
originale e, infine, ritornare alla concentrazione. Questo aiuterà a trovare chiarezza e stabilità.

Uno degli ostacoli alla meditazione è ciò che viene definito “mente oscurata”, cioè
quell’ottundimento che a volte ci avvolge la mente come una cappa scura e ci impedisce di
visualizzare l’oggetto della meditazione. L’altro ostacolo alla meditazione è l’eccitazione, o
agitazione mentale. Sono, questi, i due estremi: uno è la mente oscurata, l’altro è la mente che
vaga troppo. Ci sono due antidoti a questi due impedimenti, a questi due ostacoli: uno è la
consapevolezza, l’altro è la pienezza mentale.

La consapevolezza passa il ricordo, il richiamo costante dell’oggetto originale della nostra
meditazione. La pienezza mentale è, in un certo senso, il guardiano che osserva la nostra mente, la
nostra concentrazione: è quel guardiano che ci dice se siamo focalizzati sull’oggetto o meno. La
pienezza mentale, la vigilanza, la mente che sta all’erta è come un uncino che riprende la nostra
mente quando essa vaga; la consapevolezza la riporta al suo posto. La nostra mente è come un
elefante selvatico, l’attenzione è come l’uncino che riporta l’elefante selvatico all’obbedienza; la
consapevolezza è come la corda che lega l’elefante selvatico al pilastro che, nel nostro caso,
rappresenta l’oggetto della meditazione. L’oggetto della meditazione è rappresentato dal pilastro,
l’elefante selvatico rappresenta la nostra mente, la corda che tiene legato l’elefante selvatico al
pilastro è la consapevolezza e l’uncino che riporta l’elefante verso il pilastro è l’attenzione.
Questo è un discorso molto breve sull’approccio alla meditazione che, nonostante la brevità, può
essere molto utile.

Altre due qualità necessarie alla meditazione sono la fiducia nei risultati e lo sforzo gioioso,
che è, esso stesso, un risultato della fiducia riposta sull’efficacia della concentrazione. Queste
due qualità sono un rimedio, l’antidoto alla pigrizia che è uno dei principali ostacoli della
meditazione. Ci sono quattro modi per eliminare la pigrizia:

1) essere convinti dei benefici derivanti dalla meditazione; 2) l’aspirazione alla meditazione,
generata dalla convinzione; 3) lo sforzo profuso nella meditazione: uno sforzo gioioso; 4) un
risultato qual è il benessere psico-fisico.

La pigrizia è qualcosa di molto semplice da comprendere ma è uno degli ostacoli più tenaci da
affrontare durante tutto il processo della meditazione; ci sono infatti livelli grossolani di
pigrizia ma anche livelli più sottili. E’ una battaglia molto difficile. Anche la meditazione sulla
concentrazione su un singolo punto è una lotta contro la pigrizia. Se non ci fosse la pigrizia noi
procederemmo spediti verso l’Illuminazione. Questa è l’essenza di ciò che è scritto nei testi
canonici. Essendo a conoscenza di ciò possiamo poi leggere, studiare, praticare la meditazione e
tutto sarà più chiaro.

Fino ad ora abbiamo parlato di come fare per praticare la meditazione formale nella vita
quotidiana, in qualsiasi periodo della nostra vita quotidiana, mattino, sera, durante le vacanze.
Quando abbiamo tempo. Abbiamo discusso soprattutto della meditazione su un determinato punto e non
abbiamo parlato molto della meditazione di tipo analitico. Nella meditazione analitica si scende in
dettaglio, si riflette, sugli elementi fondamentali della pratica: la presa di rifugio, le Paramita,
la Bodhicitta. In termini di Buddhismo Vajrayana la Vipassana è intesa come comprensione della reale
natura dei fenomeni. Sono argomenti davvero specifici di cui si può parlare molto a lungo. Vorrei
discutere ora di quello che abbiamo detto fino ad ora e poi possiamo meditare.

Domanda: nella precedente esperienza ho fatto meditazione su un oggetto particolare, cioè sul
respiro; poi bisognava lasciare che tutte le cose che venivano in mente svanissero da sole, senza
contrastarle. Può essere un metodo ancora valido? Era una meditazione senza oggetto?

Risposta: era una meditazione sul respiro? Cosa intendi esattamente per non-oggetto? Osservare il
processo della respirazione fa parte della meditazione di concentrazione su un oggetto. Non credo
sia sufficiente per sviluppare una piena concentrazione ma è utile per portare all’interno lo
sguardo interiore. E’ efficace, specie per i principianti. Penso che sia molto utile conoscere e
praticare tutte le differenti tecniche di meditazione e, quando si ha a disposizione un po’ più di
tempo, utilizzare quella tecnica che si ritiene più adatta a se stessi. Il punto fondamentale è
ridurre la pigrizia. Se non riusciamo a vincere la pigrizia vuol dire che quella tecnica meditativa
non va bene.

Domanda: quando si analizzano i pensieri negativi c’è qualche tecnica per allontanarli? Non mi
sembra che li si possa superare solo osservandoli.

Risposta: osservare le proprie negatività è già una tecnica. E poi dipende dal tipo di afflizione
mentale: ci sono rimedi per ciascuno di essi. Abbiamo fatto un discorso generico quando ho detto
che, osservando dentro di sé, riflettendo sui problemi, non trovando un “dove” questi problemi
effettivamente siano, può darsi che essi svaniscano. Per esempio: se ci relazioniamo con una persona
che ci è nemica la relazione favorisce l’insorgenza di sentimenti di odio, anche al solo pensarla.
Allora bisogna cercare dentro di noi dove questo odio effettivamente sia. Da questa rabbia nascono
instabilità e sconforto. In tal caso bisogna sviluppare la compassione e, quindi, la tolleranza
verso quella persona. Questa potrà essere un soluzione al fine di ridurre lo sconforto che il
pensiero di questa persona genera in noi. Anche l’attaccamento ci causa difficoltà: attaccamento ai
nostri oggetti, alla casa, alla persona cara. Tutto questo produce preoccupazione, ansia, disagio.
Per estinguere questo disagio dobbiamo assolutamente ridurre l’attaccamento; l’attaccamento è una
pulsione che ci sovrasta. Per ridurre questo desiderio insaziabile dobbiamo sviluppare il senso di
appagamento. Quindi sviluppare compassione e appagamento dentro la nostra pratica.

Domanda: i mantra possono aiutare la meditazione?

Risposta: dipende dal temperamento dell’individuo. Ci sono persone per le quali i mantra possono
essere utili per sviluppare la concentrazione, la compassione. Il popolo tibetano recita i mantra
abitualmente. Però nei monasteri, nelle scuole di Buddhismo tibetano, i monaci, i maestri non stanno
sempre a recitare mantra o girare la ruota delle preghiere come fa la gente comune. In genere è la
gente semplice che usa queste tecniche. Non so perché ma c’è questo divario.

Tempo fa sono stato a Taiwan, dove esistono diverse forme di buddhismo. Il Buddhismo Taoista è molto
simile a quello praticato dal popolo in Tibet, dove le persone hanno tutti fra le mani le mala,
intenti a recitare mantra e preghiere. Una forma di Dharma molto superstiziosa e popolare. I loro
templi sono molto elaborati, pieni di strane raffigurazioni e con una strana atmosfera.

Il Buddhismo Chan, la forma più pura del Buddhismo cinese, non contempla le immagini sacre e la
recitazione di mantra. I monaci posseggono la mala, ma soltanto per indossarla. Come in Tibet, anche
a Taiwan ci sono monasteri nei quali si eseguono le pratiche più elevate nel più totale riserbo:
non si vedono persone a girare la ruota della preghiera in pubblico o intente a recitare mantra.
Queste pratiche vengono eseguite in maniera tranquilla e in privato, senza nessuna forma di
esibizionismo. Anzi, solitamente si viene incoraggiati a praticare in tal modo. La gente comune dona
cibo a queste persone perché li stima e li considera persone speciali e fuori del comune.

Soggiornando a Taiwan ho avuto modo di capire determinate questioni. Perché anche lì si presentano
le stesse difficoltà nella pratica che si riscontrano in occidente o in Tibet. Secondo me è
importante evitare la degenerazione nell’eccessivo ricorso alla recitazione dei mantra. Nei
monasteri tibetani la pratica dei mantra è molto quieta e non è ostentata. Se poi non si conosce il
significato dei singoli mantra è meglio non recitarli, punto e basta. Se però ne conosciamo il senso
appropriato, il significato profondo, allora recitarli diventerebbe efficace anche durante la
meditazione. La recitazione meccanica, senza comprendere il senso di ciò che si recita, non so
quanto possa essere utile: si può dire che finisce per essere né buona né cattiva.

Domanda: mentre meditavo osservavo il respiro ed era così chiara l’azione di osservare che mi
sembrava quasi di essere l’osservatore dell’atto di osservare: come due specchi che si riflettono
l’uno nell’altro. E vedendo questi specchi riflettersi a vicenda provavo un senso di piacere di
essere con me stessa, un senso di profonda intimità. Questo mi capita spesso e mi porta a cercare di
ripetere tale esperienza. Io vorrei sapere: questa è tutta mente, ed è qualcosa che mi può
fuorviare, oppure è qualcosa di positivo?

Risposta: è importante non sviluppare attaccamento nei confronti dei risultati della meditazione.
Basta semplicemente osservare gli ottenimenti della nostra pratica, del nostro sforzo. Questa è la
cosa realmente efficace! E’ importante riconoscere i risultati della propria pratica senza
sviluppare attaccamento per essi; solo così si possono fare ulteriori progressi. Quando si ottengono
risultati nella pratica è importante non aggrapparvisi per non esserne dipendenti. Comunque è un
discorso molto personale, io non so questa tua sensazione cosa può essere per te: è una tua
sensazione personale, non posso giudicarla. Devi applicare il tuo sforzo gioioso per eventuali
ulteriori avanzamenti nella pratica. Non è un bene fermarsi, ma bisogna andare avanti.

Quando osservi un oggetto e arrivi ad un certo risultato devi passare ad un altro oggetto; se fai la
stessa esperienza fatta in precedenza vuol dire allora che hai avuto un’esperienza genuina. Se sei
capace di ottenere questo stesso risultato adottando altri oggetti di pratica o altre tecniche,
tutto questo sarà molto utile per te. E’ un ottimo modo per sperimentare, fare dei test.

Riassumendo i punti:

1) Luogo di meditazione 2) Cuscino 3) Postura 4) Motivazione 5) Tecniche preliminari 5.a)
Respirazione dei nove stadi 5.b) Bilanciamento 5.c) Respirazione dei ventuno cicli 6) Meditazione
7) Dedica

Al termine della sessione di meditazione, come di ogni altra azione che compiamo, è sempre bene
dedicare i meriti acquisiti a qualcuno: è come depositare qualcosa in banca. E’ come fare un
investimento per far accrescere i risultati ottenuti.

h) La Dedica

Ci sono vari tipi di dedica. Intanto decidiamo cosa vogliamo dedicare; nel nostro caso: i meriti
che abbiamo accumulato per aver partecipato a questo corso. Ma possiamo anche dedicare ad altre
persone i meriti accumulati nel passato, nel presente e nel futuro. Prima di tutto dedichiamo i
meriti acquisiti oggi. Non è un’offerta che facciamo a noi stessi, con attitudine egoistica, ma è un
atto che compiamo per il beneficio degli altri affinché raggiungano anch’essi l’Illuminazione, la
liberazione. Così facendo è come se un solo dollaro si moltiplicasse e divenisse un milione di
dollari. E’ come vincere al Superenalotto. Con la dedica dei meriti possiamo vincere un tesoro ogni
giorno della nostra vita!

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