In vista della maturità una preziosa panoramica su trucchi e consigli per concentrarsi e memorizzare
meglio, basati sul proprio tipo di memoria e su tecniche scientificamente provate.
15 giugno 2024 – Focus.it
Maturandi, l’esame di maturità si avvicina e la domanda “Ma come faccio a studiare tutto?” vi ronza
in testa?!? Non preoccupatevi, questo articolo di Elisa Venco, tratto dal numero 380 di Focus, offre
preziosi consigli. Scoprirete che non esiste un metodo di studio universale, ma che la chiave sta
nel capire il vostro tipo di memoria: visiva, uditiva o… cinestesica. Inoltre, l’articolo svela
l’importanza della regolarità e… un metodo che vi aiuterà a ottimizzare il tempo e a evitare
distrazioni!
“Non si finisce mai di imparare”, recita un detto comune. Nessuno però insegna a farlo, illustrando
quali tecniche siano più efficaci nel memorizzare ed elaborare informazioni in vista, per esempio,
di un esame. Forse succede perché in realtà un metodo valido per tutti non esiste. Molto dipende
dalla motivazione e dalle caratteristiche di ogni studente. Per questo, innanzitutto va capito qual
è il tipo di memoria che contraddistingue ognuno di noi.
NON C’È UN SOLO SISTEMA. Chi ama guardare serie tv, film, o mostre è molto probabile che abbia una
buona memoria visiva, come del resto il 65% della popolazione. In questo caso schemi, mappe,
diagrammi e foto aiutano a imparare. E incide anche come è impaginato il libro di testo (titoli,
sottotitoli e caratteri evidenziati). Chi invece predilige la musica e ama sentirsi raccontare
storie invece di leggerle, ha una memoria prevalentemente uditiva, come il 30% della popolazione.
Meglio allora metterla a frutto ascoltando le spiegazioni e le interrogazioni e ripetendo le lezioni
ad alta voce da soli o con un compagno. Infine, chi non sta mai fermo, ama lo sport e le attività
manuali, è probabile che abbia una memoria cinestesica, cioè legata al movimento, come si verifica
nel 5% della popolazione.
L’ideale allora può essere prendere appunti, fare schizzi, o ripetere passeggiando. Come è stato
appena scoperto da alcuni neuroscienziati della Perelman School of Medicine dell’Università della
Pennsylvania, esistono poi differenze individuali nella capacità di restare attenti nonostante le
distrazioni. Poiché i neuroni che si occupano di mantenere concentrate le persone in questi casi (e
che si trovano nella corteccia prefrontale laterale) non hanno la stessa efficienza in tutti gli
individui. Non mancano gli studi che evidenziano l’utilità, a questo scopo, di attività…
insospettabili, come masticare una chewing gum.
SERVONO DUE COSE. Ciò premesso, per superare indenni le prove scolastiche o universitarie servono
due cose: la prima è la regolarità nello studio, perché le ricerche dimostrano che gli studenti che
si preparano affannosamente nei giorni prima di un esame o di un compito in classe ottengono voti
più bassi di chi si prepara più lentamente. E anche chi si propone semplicemente di superare la
sufficienza ha bisogno di un secondo elemento: un metodo.
Una fase che inizia dando la priorità alla materia che crea più problemi.
Altrimenti, relegandola all’ultimo posto delle materie da affrontare, si rischia che da sola affossi
la media dei voti. Poi: occorre darsi i tempi giusti. Per esempio segnare sul diario quando è
prevista l’interrogazione (o la data dell’appello universitario). Bisogna dividere le pagine per i
giorni a disposizione in modo da trovare il numero di pagine da studiare ogni giorno. Si può
studiarne di più, non di meno. E il procedimento va ripetuto per tutte le materie barcollanti, senza
però abbandonare quelle in cui non ci sono grosse difficoltà.
LA TECNICA DEL POMODORO. A questo punto, sempre a proposito di tempo per lo studio, serve un timer.
Ci sono varie ipotesi sulla durata ideale della sessione di apprendimento, ma tutte concordano sul
fatto che andare avanti per ore non è produttivo. Una tecnica consigliata da alcune università
americane, come la Cornell University, è quella detta “del pomodoro”, dalla forma del timer da
cucina presente in molte abitazioni.
Consiste nello svolgere un’attività senza distrarsi per 25 minuti di fila, prima di fare 5 minuti di
pausa per scarabocchiare, sgranchirsi le gambe, o fare la pipì. Ogni 4 “pomodori”, ovvero dopo 100
minuti di studio, la pausa può allungarsi fino a 15-30 minuti. Almeno il 50% del tempo dello studio,
però, deve essere dedicato alla rielaborazione attiva di quanto si è letto: il libro va chiuso e
occorre cercare di ripetere mentalmente il senso delle pagine. E se più del 20% dei punti principali
sfugge alla memoria, vuol dire che il materiale letto prima di richiamarlo alla mente era troppo.
TENTAZIONI… E finché il programma di studio giornaliero non è terminato, bisognerebbe resistere
alla tentazione di controllare il telefono, le mail o di andare sui social, perché questa prassi
genera quella che Larry Rosen, professore di psicologia della California State University, chiama
“attenzione parziale continua”. In pratica, anche se si ha l’impressione di restare attenti,
spostare l’attenzione avanti e indietro tra lo studio e varie forme di tecnologia fa perdere la
concentrazione in media dopo circa tre minuti. Vietato anche studiare con la tv accesa o ascoltando
podcast. Il motivo è che «il cervello semplicemente non può svolgere due compiti complessi
contemporaneamente», spiega David Meyer, professore di psicologia dell’Università del Michigan
(Usa). «Ascoltare il dialogo di una serie tv mentre si scrive, o fare i compiti e stare su
Instagram: ognuna di queste azioni utilizza la stessa area del cervello, la corteccia prefrontale.
Ed è un errore pensare che la mente possa eseguire due compiti impegnativi allo stesso tempo».
Infatti, aggiunge Annie Murphy Paul, studiosa esperta di apprendimento, gli studenti che fanno
multitasking «in primo luogo, ci mettono più tempo per finire il programma di studio, a causa del
tempo speso in attività che distraggono, dopo le quali il soggetto deve ricominciare a concentrarsi.
In secondo luogo, l’affaticamento mentale causato dall’abbandonare e riprendere ripetutamente un
filo mentale porta a fare più errori. In terzo luogo, dozzine di studi di laboratorio hanno
dimostrato che, quando la nostra attenzione è divisa durante la memorizzazione di un’informazione,
ricordiamo quest’ultima meno bene o per niente». Più controverso è l’ascolto della musica durante lo
studio. Le ricerche dimostrano che molto dipende dai generi preferiti: la classica può aiutare, per
esempio.
LO SCARICO COGNITIVO. A influenzare le prestazioni nello studio non sono solo le distrazioni
esterne, ma anche la preoccupazione per altre cose da fare, come dover fare una telefonata o dar da
mangiare al gatto. «Quando state cercando di tenere a mente qualcosa, come un’email da inviare o una
mansione da svolgere in seguito, siete in difficoltà nel concentrarvi sul libro. Il trucco è
semplicemente scrivere cosa dovete fare e andare avanti con lo studio», afferma lo psicologo
cognitivo Stefan Van der Stigchel dell’Università di Utrecht (Paesi Bassi).
Tecnicamente, si chiama “scarico cognitivo”: togliere il pensiero dalla memoria interna libera il
cervello e lo aiuta a concentrarsi sul resto. Un altro trucco per restare concentrati sta nel
ricordarsi cosa ci si “guadagna” a studiare (un premio per un bel voto o maggiori probabilità
nell’accesso a corsi successivi a numero chiuso) invece di fare attenzione alla fatica richiesta. Il
neuroscienziato Michael J. Frank dell’americana Brown University afferma che la “motivazione
cognitiva” è essenziale per impegnarsi in un’attività, e che la dopamina (non a caso componente dei
farmaci contro l’Adhd, il disturbo da deficit di attenzione) focalizza il cervello sui vantaggi,
piuttosto che sugli svantaggi, di una situazione, spronandolo così a portare a termine compiti
difficili. Un’altra strategia utile sta nello sgombrare la scrivania e la stanza da cose che
distraggono o non servono.
QUANTO DISORDINE! Secondo Sabine Kastner, docente di psicologia a Princeton (Usa), il disordine
attira l’attenzione del cervello, rendendo più difficile concentrarsi su un compito. Quindi più
stimoli visivi si hanno davanti, più difficile diventa lavorare.
E vale la pena di riordinare la scrivania, se si desidera una vita più facile. Detto questo, una
ricerca dell’Università del Minnesota nel 2013 ha scoperto che i volontari che lavoravano in camere
disordinate avevano maggiori probabilità di trovare idee creative rispetto a quelli che sedevano in
uffici ordinati. Quindi, il disordine è uno svantaggio quando si cerca di memorizzare qualcosa, ma
può diventare un’opportunità se si disegna o si punta sulla creatività. Un ulteriore consiglio per
essere più produttivi alla scrivania è quello di… lasciarla. Uno studio pubblicato sulla rivista
Journal of Science and Medicine in Sport e condotto su scolari olandesi ha scoperto che alternare le
lezioni o le ore di studio con 20 minuti di attività aerobica migliora la capacità di attenzione.
Quindi potrebbe essere una buona idea quella di camminare o andare in bicicletta all’ora di pranzo,
per essere produttivi nel pomeriggio. Tuttavia, come suggerisce lo psicologo Van der Stigchel, serve
l’accortezza di non ascoltare un podcast o un programma radio mentre ci si muove: solo così, se non
pone attenzione su altre parole, la mente è libera di vagare in modo che i livelli di concentrazione
possano “ricaricarsi”. E una recente ricerca dell’Università di Sydney dimostra che potrebbe bastare
molto meno: solo 5 minuti di pausa usati per pensare ad altro. Infine, per aumentare la durata della
concentrazione, o ritrovarla quando viene persa, si può fare ricorso a due aiutini. Uno è la
caffeina. Uno studio del 2020 dell’Università dell’Arkansas (Usa) ha rilevato che i partecipanti che
hanno consumato una pillola di caffeina a 200 mg (più o meno equivalente a una tazza di caffè forte)
sono stati in grado di risolvere i problemi molto più velocemente rispetto ai volontari a cui è
stato somministrato un placebo. Il secondo aiuto è fare brevi sessioni di meditazione.
UNO STOP. Daniel Goleman, psicologo statunitense e studioso delle emozioni, sostiene che riportare
l’attenzione sul respiro ogni volta che si sente la mente vagare durante la meditazione aiuta a
rafforzare i circuiti del cervello “per la messa a fuoco”. Tradotto nella vita quotidiana, si
diventa più abili nel tornare rapidamente al compito da svolgere dopo un’interruzione come un
messaggio o un pensiero estraneo allo studio. In più, la meditazione ha anche un effetto sulla
diminuzione dello stress. Cosa che torna buona quando, dopo lo studio, arriva finalmente il momento
di mettersi alla prova.
www.studenti.it/come-trovare-metodo-studio-adatto.html
da focus.it
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