Testimonianza di pre-morte: La storia di Anna
di Lucia Pavesi
da Oltre la vita. Testimonianze di pre-morte.
De Vecchi Editore
…
LA STORIA DI ANNA
Nome: Anna Carpin-Weiss
Nata a : Trento il 23/10/1955
Stato civile: Coniugata, madre di due figli
Professione: Puericultrice
Data dell’evento: 2/8/1983
Causa: Emorragia da parto
Località: Roma
Conseguenze: Isterectomia
La prima cosa che riuscii a vedere, quando le tenebre in cui mi trovavo immersa si dirararono, fu il mio corpo disteso sul lettino della sala operatoria e ciò mi dava una sensazione molto curiosa.
I dottori chini su di me erano piuttosto agitati e si davano un gran daffare, impartendo secchi comandi alle due infermiere che li assistevano.
….Presto altro sangue, l’emorragia non si arresta.. Dobbiamo procedere immediatamente all’isterctomia: è l’unica speranza…Occorre l’autorizzazione del marito; qualcuno vada immediatamente da lui…Ogni minuto è prezioso…
Non avverto più il polso, il cuore è debolissimo, la paziente è in stato di shock…Non riprende…La perdiamo.. Arresto cardiaco!.. Vedevo tanto sangue sgorgare dal mio corpo ferito, ma non avveertivo né dolore, né emozioni particolari, solo un certo imbarazzo per la disposizione die lenzuoli verdi, che mettevano in evidenza la nudità delle mie parti intime.
..Perchè non la fanno finita?.. pensai in quell’istante. ..Dovrebbero corpirmi e lasciarmi in pace, tanto ormai sono morta…
Che strano! Riuscivo ad accettare una cosa così grave senza provare niente di particolarmente sconvolgente, eppure ero sempre stata una “fifona” convinta, che sveniva alla vista di un piccolo taglio.
Invece, in quel momento, mi sentivo tranquilla e serena, consapevole ormai di aver compiuto il gran passo che mi divideva dalla vita.
Senza bisogno che qualcuno mi fornisse istruzioni o spiegazioni, sapevo di potermi recare ovunque, volando più leggera dell’aria, a osservare e ascoltare mentre nessuno poteva vedermi. Cominciai a volteggiare beandomi del mio stato di spirito e, senza bisogno di aprire porte, mi trovai presto fuori da quella stanza impregnata dello sgradevole odore di disinfettante.
Attraversai una piccola sala color crema, dove vidi due donne sdraiate su lettini identici. Indossavano lunghi camici bianchi di tela ruvida e, dalle enormi dimensioni del loro addome, compresi che stavano per partorire.
Sul lato sinistro si apriva un’alta porta bianca che conduceva verso un locale più grande. Perfettamente allineate, c’erano delle file di culle, che ospitavano dei neonati urlanti.
Guidata dall’istinto, mi diressi immediatamente verso mia figlia. L’avevano lavata e vestita e ora dormiva beata, coperta da lenzuolini rosa.
Era bellissima e come tutti i bambini nati con il taglio cesareo, non presentava le tracce degli sforzi sostenuti per entrare in questo mondo. La sua carnagione era lattea e perfetta e una peluria bionda le ricopriva la testina squisitamente modellata.
Non somigliava per niente al mio primogenito: Guido, già alla nascita, sembrava un piccolo zingaro con la pelle olivastra e la testa piena di riccioli scuri. Marina, avevamo deciso di chiamarla così, sarebbe stata identica a Franz. Come suo padre avrebbe avuto gli occhi azzurri e come lui avrebbe dovuto stare molto attenta alle scottature solari. Cercai di afferrare i pugnetti chiusi di mia figlia, di accarezzarle una guancia piena, ma la mia mano ghermiva solo l’aria.
Ero consapevole di non petermi fermare più a lungo, di dover seguire l’onda d’aria calda pronta a trascinarmi verso il mio destino, ma non riuscivo a staccarmi da quella culla: sapevo che se l’avessi fatto mon l’avrei più vista.
Lottai con forza, cosciente di avere un’unica possibilità per comunicare con Marina. Desideravo farle sapere che era nata in un giorno molto importante: il 2 agosto, che oltre a essere il compleanno di Franz, era anche l’anniversario del nostro primo incontro.
Ci eravamo conosciuti in Sardegna, sull’assolata e magica spiaggia di Budelli, la piccola isola dell’arcipelago della Maddalena, famosa per la sabbia dai perlacei riflessi rosa.
Facevamo parte di un piccolo gruppo di turisti che avevano osato sfidare il mare grosso per raggiungere il piccolo paradiso terrestre sperso nell’azzurro del Mediterraneo.
Già in barca avevo notato il giovanotto biondo e alto che, attraverso gli occhiali di tartaruga, fissava con ammirazione le mie lunghe gambe abbronzate.
Mi sono sempre considerata un tipo deciso e poco amante delle convenzioni: mi rivolsi a lui con decisione e iniziammo a
conversare.Mi disse di essere tedesco e di essere stato mandato in Italia dalla sua ditta due anni prima perchè seguisse un corso di perfezionamento. Ora, però, dopo aver vissuto nel paese del sole e del mare, non aveva alcuna intenzione di rientrare nella nativa ma fredda Dresda.
Era ingegnere e da qualche mese aveva trovato un impiego fisso presso una multinazionale con sede a Roma.
Quando finalmente sbarcammo, non ci fu bisogno di parole.Tenendoci per mano, ci allontanammo dagli altri in cerca di un luogo solitario per noi due.
Fu una giornata indimenticabile: la natura selvaggia del luogo e il cielo azzurro sembravano dipinti dalla mano di un compiacente Cupido: fu subito amore!
Eravamo talmente persi uno negli occhi dell’altra da non sentire il richiamo della sirena che segnalava la partenza. La piccola
imbarcazione riprese il mare e la notte ci trovò addormentati e tanto felici.
La mattina fui svegliata da un grido di dolore: Franz, disperato, saltellava intorno cercando un pò di refrigerio alla scottatura che gli deturpava le larghe spalle. Ci eravamo addormentati sotto i raggi dell’ultimo sole e il mio amore aveva commesso l’errore di togliersi al maglietta: la sua carnagione di nordico ora lo faceva assomigliare a un’aragosta bollita.
Cercammo riparo all’ombra degli arbusti dell’isola: purtroppo fino alle diciassette non ci sarebbe stata alcuna imbarcazione in partenza per la Maddalena.
Fortunatamente dalle provviste del giorno precedente era avanzato dello yogurt che gli spalmai sulle spalle brucianti.
..Sei proprio l’ottava meraviglia del mondo; mi hai ridato la vita!.. disse e mi sorrise lui, abbracciandomi.
Mentalmente ringraziai mia nonna, per le sue lezioni di pronto soccorso con metodi naturali.
Come mi confessò tempo dopo, fu proprio in quel momento che Franz decise di legarmi a sè per tutta la vita.
A causa della lontananza e dei rispettivi impegni di lavoro, il nostro fu un fidanzamento lampo, neanche tre mesi tardi entravo, al braccio di mio padre, in Santa Maria Maggiore per sposare il mio biondo teutonico.
Quel giorno di fine ottobre Trento aveva indossato il suo abito più bello: il cielo era limpido e sereno e le foglie degli alberi secolari sembravano torce accese dalla mano di un dio benigno per festeggiarci.
Adoravo la mia generosa città, immersa nell’aria pura delle montagne che la circondano, piena del ricordo di eroiche imprese, di allegria. Nel lasciarla mi sentivo stringere il cuore, ma sentivo già di amare Roma dove avrei iniziato la mia nuova vita di moglie.
Grazie all’interessamento di un amico di Franz non faticammo a trovare un grazioso appartamento sul “Lungotevere”, che acquistammo con i nostri risparmi.
Erano solo due piccole stanze con bagno e cucina, piuttosto malconce e piene di spifferi, ma per noi erano meglio di una reggia e il paesaggio che ammiravamo dalle finestre era di una bellezza tale da togliere il fiato.
Impiegammo circa due mesi per riparare tubi rotti, riverniciare persiane e tinteggiare pareti: ci eravamo ripromessi di fare tutto da soli. Eravamo molto gelosi del nostro piccolo paradiso e decidemmo di non ricorrere all’aiuto di alcun artigiano.
Per noi fu un impegno dolcissimo e il risultato fu davvero spettacolare.
Avevamo entrambi una grande passione per i mobili di antiquariato, ma il nostro conto in banca non ci permetteva di acquistare nulla di troppo costoso.
Così, come deu ragazzini, la domenica mattina ci recavamo al mercatino di Porta POrtese, dove potevamo acquistare oggetti vecchiotti, ma incredibilmente romantici.
Eravamo molto felici: la vita per noi era tutta una sorpresa meravigliosa da scoprire, giorno dopo giorno, insieme.
Anche i miei genitori, dapprima perplessi per il mio trasferimento, quando vennero a Roma in occasione della nascita di Guido, il loro primo nipote, dovettero ammettere di essere stati troppo pessimisti.
Quando mio figlio compì tre anni, rimasi incinta di Marina. Fin dall’inizio la gravidanza si presentò difficile e dovetti rimanere a letto parecchi mesi.
Ero scoraggiata, ma il desiderio di avere un altro bambino mi aiutò molto a superare malesseri e noia; inoltre, avevo vicino a me Franz, innamoratissimo e il tempo volò.
All’ottavo mese di gravidanza, il il ginecologo mi comunicò la necessità di intervenire con taglio cesareo, poichè il bambino si presentava podalico e la parete uterina era ispessita.
Alle cinque del mattino del 2 agosto fui svegliata da violenti attacchi di nausea. Subito dopo cominciarono le doglie.
Franz mi tenne la mano fino al momento in cui mi portarono in sala operaroria.
Ero ancora vicina alla culla, quando un’infeermiera con la mascherina sulla bocca e la cuffia candida, da cui sfuggivano riccioli rossi, scostò le coperte e prese in braccio Marina.
Una terribile fitta di gelosia mi colpì in pieno petto, e cercai invano di portargliela via. Volevo stringere mia figlia tra le braccia.
..Dove la porta?.. pensai. Poi la vidi avvicinarsi al vetro al di la del quale scorsi Franz con gli occhi umidi di pianto.
In quel preciso istante mi strapparono lontano e venni proiettata attraverso uno stretto passaggio buio. Il terrore mi attanagliava ma, non potendo fare altro, mi abbandonai alla corrente che mi trascinava.
L’oscurità di quel posto venne squarciata da un fascio di luce giallastra, il cui raggio si faceva più splendente mentre avanzavo nell’ignoto. All’uscita della galleria, fui investita da un’aria profumata e calda, che portava con sè le note di una sublime melodia, cantata da voci dolcissime.
Mi trovai subito circondata da piccoli gruppi di figure dalle sembianze umane, ma totalmente prive di corporeità.
Erano tutti allegri e festosi, e procedevano tenendosi per mano: ebbi l’immediata sensazione che fossero in attesa del mio arrivo.
Pur non conoscendo nessuno di loro, mi sentii completamente a mio agio, come chi torna a casa, dopo un lungo periodo passato lontano.
Continuai ad avanzare in quel paese favoloso, in cui tutto parlava di armonia e di pace: dal verde dell’erba, al colore incredibile degli splendidi fiori, alla calda luce che illuminava l’insieme.
Dopo un periodo imprecisato, fui avvicinata da una figura femminile dai contorni troppo sfumati perchè potessi distinguela chiaramente, ma mi arrestai, commossa, quando percepii il suono delle sue parole:
..Annina mia, non riconosci la tua nonna?…Avvicinati, dunque, e abbracciami. E’da tanto tempo che ti aspetto.
Ora potrò di nuovo raccontarti le favole delle nostre montagne, con cui ti cullavo da piccola…
Immediatamente riconobbi la mia cara e saggia nonna; naturalmente ero molto felice di rivederla, ma non potevo fermarmi altro tempo in quel luogo meraviglioso: io volevo tornare dai miei figli.
..Ma come potrò farlo?.. cominciai a chiedermi, mentre l’angoscia mi attanagliava. ..Nonna, ti prego, dimmi esattamente dove mi trovo. Perchè sono qui? Chi governa questo mondo? Indicami, per favore, a chi posso rivolgermi per tornare dai miei cari…
..Anima mia, ti trovi nel mondo dei puri spiriti, governato dalla Luce divina, che, nella sua infinita sapienza, ha deciso di porre termine al tuo cammino terreno. Hai abbandonato il tuo corpo fisico per raggiungere la pace eterna e l’amore infinito. Presto potrai incontrare il tuo estremo giudice e allora saprai molte più cose. Ora non mi è concesso trattenermi oltre, devo seguire gli altri, devo seguire gli altri. Tu fermati e osserva attentamente cosa accade davanti a te…
Ubbidii e, attraverso una sottile nube di nebbia, rividi tutta la mia vita: ricordai episodi dimenticati, rividi i volti familiari di parenti e amici scomparsi.
Tutto scorreva fliidamente nella mia mente in cui non esistevano più il concetto di passato o di futuro, ma ogni evento era solo presente. ..Dopo aver visto tuto questo, sei ancora decisa a voler tornare indietro?..
Trasalii al suono di quelle parole e fissai sconcertata la Luce onnipotente che, nel frattempo, mi aveva avvolta nel suo abbraccio luminoso e caldo.
..Franz, Giodo e soprattutto la mia piccola Marina hanno tanto bisogno di me. Come posso lasciarli soli ora? Devo tornare. Cosa potrebbero fare altrimenti? Non è giusto che la mia bambina cresca senza sapere quanto le voglio bene. Ti prego, lasciami andare da loro…
..E sia, ti concedo volentieri il permesso richiesto, ma ricorda: la prossima volta dovrai fermarti qui per l’eternità…
Non mi fu lasciato tempo per replicare, perchè immediatamente fui aspirata da un vortice di vento e, con la velocità di un lampo, mi trovai sospesa a pochi centimetri dal mio corpo riverso sul letto della sala operatoria.
Con un tuffo incredibile ne ripresi possesso, sentendomi inghiottire dall’oscurità totale, che ottenebrò tutti i miei sensi.
Riaprii gli occhi qualche ora dopo.
Giacevo in una silenziosa camera d’ospedale, appena rischiarata dalla lampada blu, che viene accesa nelle ore notturne.
Dolori lancinanti straziavano le mie povere membra indolenzite: mi lamentai debolemente, implorando aiuto.
..Amore, cerca di non muoverti; hai l’ago della flebo infilato nel braccio: potresti farti male. Tra poco verrà l’infermiera a misurarti la temperatira; le chiederò di darti un tranquillante. Dammi la mano, sono qui vicino a te e ti amo tanto. A proposito: complimenti! Sei stata proprio brava, sono orgogliosissimo di te: hai dato a Guido la sorellina che aspettava. E’una splendida bambina e domani ti permetteranno di vederla…
Passarono i lenti giorni della convalescenza, le mie condizioni fisiche erano più che soddisfacenti, considerando quanto mi era successo. Io però continuavo a sentirmi preda di angosce senza volto.
Non avevo alcun ricordo dell’incredibile esperienza che avevo vissuto, eppure non mi sentivo più la stessa.
Marina era una bambina sana e tranquilla, cresceva benissimo e diventava ogni giorno più bella. Avevo tuti i motivi per essere felice, eppure non lo ero. Deperivo a vista d’occhio, persa in una malinconia sconfinata, che non mi dava pace.
..Sono i postumi di un parto difficile, ci vuole solo tanta pazienza. L’essenziale per ora è tenere nascosta a sua moglie la gravità di una menomazione che è stata necessaria per salvarle la vita. Cerchi di farla distrarre, la natura farà il suo corso. In questi casi il tempo è la migliore medicina…
Continuavano a ripetere i medici a Franz, che si disperava vedendomi sempre più distaccata da tutto.
Appena riusciva a liberarsi dagli impegni di lavoro, correva al mio fianco. Creava ogni occasione per cercare di distrarmi e per farmi uscire dall’apatia in cui ero caduta, però nulla sembrava sortire alcun effetto.
In occasione delle feste natalizie, prese qualche giono di ferie e partimmo tutti per Trento. Pensava che l’aria della mia città e il calore dei miei genitori potessero compiere il miracolo, ed ebbe ragione. Durante il week-end di Capodanno affidammo i bambini alle cure dei nonni e partimmo per Madonna di Campiglio.
Adoravo sciare e ne avevo espresso il desiderio. Appena depositate le valigie in albergo, corremmo verso le piste innevate e brulicanti di allegri vacanzieri.
Da brava figlia dei monti, sono sempre stata un’espertissima sciatrice, ma quel giorno i muscoli ubbidivano poco ai miei comandi.
A metà della pericolosa discesa “nera” cominciai a ruzzolare miseramente andando a sbattere violentemente contro un alto abete.
Il terribile dolore causato dalla mia tibia fratturata mi strappò imprecazioni colorite contro l’infausto destino; poi urlai:
..Che male, non lo sopporto, non ce la faccio. Voglio morire!.. A quel punto un velo si squarciò nella mia mente e come per incanto ritrovai la memoria. Impovvisamente non avvertii più alcun male, ritirai subito quel che avevo pensato e, mentre mi ingessavano la gamba, raccontai al mio adorato e stupitissimo Franz il viaggio meraviglioso da me compiuto il 2 agosto precedente.
Rimase particolarmente colpito quando gli spiegai il vero motivo del mio “rientro” e mi disse:
..Allora è proprio come penso io: l’amore è un’arma invincibile…
..Si, Franz; in nome di questo sentimento la Luce ha accettato di concedermi un’altra possibilità. Anche se il nostro desiderio di avere quattro figli non potrà più realizzarsi, dovremo essere grati per il meraviglioso dono ricevuto: Poi, caro, non credi che Guido e Marina possano bastare?..
Mio marito mi abbracciò con tanto slancio da farmi rischiare la rottura dell’altra gamba. Il medico ortopedico scosse la testa asciugandosi di nascosto una lacrima di commozione.
Aveva ascoltato tutto ed, essendo un convinto sostenitore
dell’esistenza di certi fenomeni, ci raccontò altri casi simili al mio.
Lascia un commento