di Lorenzo Acerra, autore del libro Mal di glutine
Sei anni fa ho avuto la fortuna di incontrare ad Avellino un ricercatore in pensione, il prof.
Francesco Iaccarino, che mi ha parlato di studi suoi mai pubblicati secondo cui gli aumenti di
glutinosità del frumento delle colture hanno portato ad un peggioramento qualitativo del contenuto
di aminoacidi del glutine, la proteina che il frumento contiene (14).
Il fatto che il glutine possa causare problemi di salute, posto in termini biochimici, deriva dal
suo contenuto di un particolare frammento di questa proteina in cui gli aminoacidi prolina e
glutenina sono ad una certa distanza tra di loro (molto vicine) per cui non riescono ad essere
deamidate dall’enzima specifico (Arentz-Hansen 2000, Vader 2002, Sollid 2002). Detto in un
linguaggio molto tecnico, l’apparato digestivo dei mammiferi non ha una capacità infinita di
idrolizzare i legami ammidici quando sono adiacenti a residui di prolina. Questo non e’ un problema
col riso, con l’orzo antico, con il grano saraceno, con il miglio, con l’amaranto e la quinoa, ma lo
e’ col frumento.
Gli studi effettuati da Muller e Stadler (1927) dimostrarono che con il frumento, c’era la
possibilità di sottrarre la semenza dall’esposizione radioattiva poco prima del danno irrimediabile,
riuscendo ad ottenere materiale genetico “mutante”. Questo fruttò a loro il premio Nobel (1946) e
alla comunità agricola il passaggio finale di un progetto commerciale già esistente dall’inizio del
secolo volto ad intensificare la glutinosità del frumento (vedi
www.disinformazione.it/segreti_della_celiachia.htm)
Il fallimento progressivo degli enzimi addetti a digerire la proteina del frumento crea una tempesta
di detriti infiammatori che non è circoscritta solo a livello intestinale, ma innesca un fenomeno
autoimmune a carico di vari apparati e organi.
Malattie da glutine? Vediamo quelle della tiroide che scompaiono quando si sospende il consumo di
glutine. Ebbene si, le anomalìe alla tiroide si normalizzavano con due mesi di dieta senza glutine
secondo i seguenti ricercatori: Magazzu (1983), Collin (1994), Borg (1994), Batge (1998), Ventura
(1999), Sategna-Guidetti (2001), Barera (2001), La Villa (2003), Jiskra (2003), Berti (2000),
Kowalska (2000), Counsell (1994).
Valentino (1999) descrive una 23enne con diagnosi di ipotiroidismo dovuto a tiroidite di Hashimoto
che coesiste con morbo di Addison e blocco ovarico. A distanza di tre mesi dalla sospensione del
glutine fu registrato un notevole miglioramento clinico, la riduzione progressiva dei farmaci per la
tiroide e per l’insufficienza surrenale.
Stimolato da ciò l’autore riesce a trovare altri cinque pazienti in cui la tiroidite autoimmune
guariva sospendendo il glutine.
Se le tiroiditi autoimmuni sono resistenti al trattamento, tanto più bisogna sospettare una
celiachia latente (Jiska 2003). d’Esteve-Bonetti (2002) riporta il caso di una 68enne con tiroidite
resistente al trattamento farmacologico che è completamente asintomatica dal punto di vista
intestinale ma che risulta positiva alla prova allergica al glutine, ovvero la presenza ematica di
anticorpi celiaci antigliadina.
Secondo Konopka (1976) il consumo di glutine determinerebbe un’interferenza cronica a livello
cellulare che pone sotto stress la tiroide (c’è una normalizzazione della capacità di buffer c-AMP
dei tessuti della tiroide dopo 7 mesi di adozione di un regime senza glutine.)
La persona con problemi alla tiroide, e magari con altre malattie, che legge queste informazioni
forse appartiene a quel 90% di celiaci in Italia, che si sa che non sono ancora stati trovati e
diagnosticati. Infatti i celiaci riconosciuti in Italia sono solo 60.000, contro i 560.000 stimati
da ricerche campione fatte su ampi gruppi rappresentativi della popolazione.
Oltre a queste 500.000 persone celiache che ne sono inconsapevoli e che faranno altri percorsi
travagliati e inconcludenti messe di fronte a disturbi cronici, ci sono un 15% degli italiani,
quindi 7-8 milioni di persone che non risulteranno mai positive al test celiaco ematico ma che hanno
una grossa percentuale di anticorpi celiaci nelle feci. Queste persone notano che eliminando il
glutine scompaiono mal di testa, scompare nervosismo, stanchezza, fibromialgia, dolori articolari.
Io ritengo che le malattie abbiano sempre più di una causa. Quindi uno deve continuare a cercare e
magari agire su più fronti. Per esempio quello dei denti devitalizzati che fanno infezione di
nascosto nell’osso. Ma comunque, perché no, facciamolo questo dossier super-approfondito sul
glutine.
Le conseguenze, per tutte queste persone con intolleranza al glutine non diagnosticata, sono di
avere una vita strana, piena di farmaci, piccole difficoltà inspiegabili, problemi ricorrenti.
Stiamo parlando di problemi che ogni volta prendono una forma diversa: difficoltà nervose, al
cervello, dolori reumatici, ferro basso, problemi a carico del fegato dell’apparato riproduttivo,
tumori, problemi alle ossa, insomma.. di tutto.
Una persona senza disturbi di salute cronici e senza celiachia che legga queste informazioni
sceglierà di proseguire il proprio consumo di glutine in modo più rispettoso e prudente,
scegliendosi le forme più leggere di glutine, ovvero orzo in chicchi, farro in chicchi e farine di
farro, magari concedendosi 2-3 giorni a settimana senza glutine.
Di certo questo discorso che ora andiamo a fare mostra che quando un certo sistema enzimatico
addetto alla digestione inizia ad incepparsi, segue una situazione di metaboliti infiammatori che
finiscono per contribuire, con varie gradazioni di gravità, alle malattie più svariate.
Il glutine
I cereali, sebbene vengano visti prevalentemente come una fonte di carboidrati (complessi), sono
costituiti anche da un 10- 16% di proteine.
Come si vede dalla tabella che segue, frumento, segale e orzo contengono elevate quantità di due
aminoacidi particolari, prolina e glutamina. La loro proteina si chiama proprio “prolamina”.
Sono proteine generalmente riconosciute di qualità scarsa, per lo squilibrio relativo tra le varie
quantità di aminoacidi (alcuni aminoacidi essenziali sono assenti o quasi).
Le prolammine tossiche che nella celiachia causano l’atrofia dei villi intestinali prendono il nome
di “glutine”. Esse sono la gliadina (presente nel frumento), l’ordeina (presente nell’orzo), la
secalina (presente nella segale), l’avenina (presente nell’avena).
Riso, miglio e mais, avendo proteine con una distribuzione di aminoacidi diversa dagli altri cereali
(elevato contenuto in alanina e leucina, basso in glutamina e prolina), non hanno prolammine o, nel
caso del mais, non quelle tossiche nella celiachia.
Perché le prolamine del mais (zeina) non sono tossiche per il celiaco, l’avenina è solo debolmente
tossica e la gliadina ha la massima tossicità? Recenti studi hanno messo in relazione i vari gradi
di tossicità per il celiaco delle diverse prolammine con la crescente concentrazione, a partire
dall’avena via via fino al frumento, di un particolare segmento (di cui è molto ricco la
alfa-gliadina, molto molto meno l’avenina, la zeina non lo contiene affatto) in cui prolina e
glutenina sono ad una certa distanza tra di loro (molto vicine) per cui non riescono ad essere
deamidate dall’enzima specifico (Arentz-Hansen 2000, Vader 2002, Sollid 2002).
Le complesse glutamine del glutine si differenziano da ogni altra forma di cibo per la loro
particolare composizione e perché il loro consumo determina un’aumentata attività enzimatica del
pancreas (come se il suo smaltimento rappresentasse una sfida impegnativa, uno stress fisiologico
(Ikegami 1975, Camus 1980, Rabsztyn 2001), seguita da una progressiva riduzione della funzione degli
enzimi proteolitici (lisi delle proteine) e degli enzimi di degradazione dei peptidi (Carroccio
1997).
È così che matura la situazione in cui l’organismo non arriva più in fondo al suo lavoro e, invece
di avere solo aminoacidi come prodotti finali della degradazione del glutine, ci sono anche
frammenti indisciolti, i peptidi oppioidi, ovvero lunghissime catene di aminoacidi non liberati.
Chiameremo questa situazione “peptidìa”.
Ad un certo punto dell’assedio glutinoso (la peptidìa può avere durata anche pluri-decennale prima
di maturare in autoimmunità), si raggiunge la fase di iper-attivazione della transglutaminasi, un
enzima presente sulla lamina propria di numerosi tessuti, programmato per rimanere tranquillo quanto
più a lungo possibile. Controvoglia la transglutaminasi è chiamata ad iniziare un lavoro di
smantellamento delle proteine glutinose: tutti gli altri principali avamposti di difesa sono rimasti
sguarniti e la transglutaminasi rappresenta l’ultimissima linea di difesa per barricare il cromosoma
dall’assedio glutinoso. Però questa situazione significa malattia o disturbo cronico di un organo.
Ci sono otto enzimi della famiglia delle transglutaminasi e a seconda di quale di essi sia coinvolto
in primo piano ne derivano diverse patologie della famiglia delle reazioni di suscettibilità al
glutine
I reni anch’essi presentano un enzima transglutaminasi e infatti sono ben noti nella letteratura
medica casi di nefropatia gravi resistenti a terapia che scomparivano con la sospensione del
glutine.
Hanno parlato di artriti in remissione a seguito della sospensione del consumo di glutine
Chakravarty (1992), Cottafava (1991), Pinals 1986), Carli (1995), Falcini (1999), Slot (2000), Young
(1993), Tasanen (1997). Secondo Lubrano il 41% dei pazienti celiaci a dieta libera (con glutine)
presentano sintomatologie di tipo artritico.
Pazienti con morbo di Sjogren ottenevano un sollievo immediato dalla malattia con l’adozione del
regime senza glutine (Kaufmann 1998). Altri autori che hanno trattato questo tema sono Fracchia
(2004), Iltanen (1999), Pittman (1965), Teppo (1984), Whitehead (1998).
Pazienti con lupus eritematoso sistemico hanno una risposta clinica molto favorevole alla
sospensione del glutine secondo le osservazioni cliniche dei seguenti autori: Amoroso (2003), Boyer
(1982), Casteneda (1985), Chase (1982), Chiurazzi (1987), Courtney (2004), Delbrel (2003), Feighery
(2003), Houman (1997), Kobayashi (1989), Komatireddy (1995), Lee (2002), Marai (2004), Markusse
(1998), Marteau (1990), Mercie (1999), Meulders (1992), Molina (1996), Monballyu (1985), M’Rad
(1990), Murao (1994), Mukamel (1994), Pena (1987), Rensch (2001), Roberts (1988), Romano (1997),
Rustgi (1988), Tsukahara (1980), Varkel (1989), Viallard (1998), Yazici (2002), Wood (1984), Zitouni
(2004).
La tempesta di mediatori infiammatori (peptidi oppioidi) causata dall’intolleranza subclinica al
glutine è in grado di interferire con numerose secrezioni neuro-ormonali (Amoroso 1988). Ognuna di
queste secrezioni è un messaggero altamente multi-funzionale.
Vediamo l’ormone della crescita. Modan-Moses [2003] riporta le osservazioni su 12 adolescenti maschi
con ridotta crescita in altezza in cui il problema veniva superato con la sospensione del glutine.
Nella celiachia infantile si registrano spesso ridotti livelli di ormone della crescita che si
normalizzano con la sospensione del glutine (Malcom 1969, Leveque 1979, Bianchi 1980, Fanciulli
2001, Luciano 2002).
Tanto più lungo è il periodo in cui si eccede nel consumo di farine di frumento, tanto maggiore sarà
la possibilità per le persone inconsapevolmente intolleranti di sviluppare una serie di danni.
Per esempio Kagnoff [1992] ricostruisce la storia celiaca di due gemelli: sono di bassa statura, il
ché indica una crisi celiaca durante l’infanzia; in effetti all’età di 7 anni era stata loro
diagnosticata anemia ferropenica. Però nessuno dei medici era veramente mai arrivato a consigliare
di sospendere il glutine.
Questi due gemelli cadono in una crisi acuta di intolleranza al glutine solo all’età di 40 anni in
quanto sviluppano sintomi intestinali. Sono questi due esempi di come la celiachia va e viene nel
corso della vita, e nel periodo in cui rimane celata o almeno non riconosciuta nelle sue multiformi
caratteristiche, il paziente ha una non buona qualità della vita dovuta proprio alla presenza del
fattore glutine.
La precoce sospensione del consumo di glutine previene la progressione cronica di malattie
autoimmuni e altri danni.
A rinnovare questo monito è stato Borg (1994): il regime senza glutine apporta un notevole sollievo
in un paziente con monoartrite anche se, sottolinea l’autore, il fenomeno autoimmune alimentato
dall’intolleranza al glutine ha lasciato irreversibili danni erosivi tipici della malattia cronica,
evidenziabili sul legamento talo-navicolare.
Altri possibili danni apportati dal consumo di glutine nell’intollerante sono calcificazioni
cerebrali, demineralizzazione ossea, disturbi del mestruo, alterazioni ormonali e della funzione
fertile femminile.
È stato dimostrato che l’aumentato livello di peptidi oppioidi causato dalla difficoltà
dell’organismo di fronte al glutine può alterare i livelli cerebrali e le funzioni della serotonina
interferendo con il locale enzima decarbossilasi. Pedersen (1999) ha trovato elevati livelli di un
tripeptide glutinoso nelle urine del 60% dei pazienti autistici. Questo peptide stimola siti
oppioidi attivati dalla serotonina.
La serotonina è un neuro-trasmettitore altamente multi-funzionale di cui sappiamo che, se alterato a
livello del tronco encefalico, determina uno stato di eccitazione nervosa e può essere coinvolto nel
sonno disturbato o alterati input sensoriali, nella regolazione della temperatura e nel controllo
dell’umore (Tortora 1990, “Principles of Anatomy and Physiology”, 6th Ed., Harper & Row).
Alterazioni della regolazione della serotonina sono state implicate nella patogenesi della
depressione, tanto che il vendutissimo buon Prozac altro non è che un inibitore di un recettore
della serotonina (DeMyer 1981).
Psicosi, depressione, etc.
Ansia e depressione, sintomi psichiatrici comuni in individui celiaci non diagnosticati, scompaiono
dopo la rimozione del glutine (Fera 2003). Questi cambiamenti sono ascrivibili nei pazienti celiaci
ai ridotti livelli di triptofano causati dal consumo di glutine (Hallert 1982, Hernanz 1991).
Ridotti livelli di triptofano sono stati individuati nella patogenesi dei disturbi depressivi anche
in studi che non prendevano in considerazione il ruolo della celiachia (DeMyer 1981). Riferisce
Challacombe (1987): “In ragazzi con celiachia non diagnosticata, che hanno avuto tanto a lungo
un’apparenza infelice, in pochi giorni di regime senza glutine migliorano tantissimo dal punto di
vista dell’umore. Questo miglioramento dell’umore può essere cancellato altrettanto rapidamente
introducendo di nuovo il glutine nella loro alimentazione”.
La dieta senza glutine può correggere fino ad eliminare sintomi psichiatrici: la risoluzione di
depressione o disturbi dell’umore in intolleranti al glutine è riportata da Pellegrino (1995),
Babbini (2001), Potocki (2002), Serratrice (2002), Pynnonen (2004). Rubinstein (1982) riporta una
grave sindrome mentale di natura organica che regredisce completamente con il regime senza glutine
che un paziente adotta a seguito della diagnosi di celiachia.
Vlissides (1986) descrive due pazienti che soffrono di disturbi psicotici. Durante il ricovero in un
centro specializzato iniziano un regime senza glutine che porta alla remissione della patologia,
mentre in un successivo periodo di reintroduzione del glutine hanno una ricaduta. Lo studio fu
replicato da Singh e Kay (1976) che confermarono queste osservazioni sul glutine andando ad
applicare il regime senza glutine in alcuni pazienti di una clinica psichiatrica.
De Santis (1997) riporta che la dieta senza glutine porta alla scomparsa di tutti i sintomi
psichiatrici e la scomparsa di un’area di ipoperfusione precedentemente registrata sulla parte
sinistra frontale della testa in un 33enne con una diagnosi pre-esistente di “disturbo
schizofrenico”.
In ultimo, ma non certo per ordine di importanza, bisogna considerare anche che nel lunghissimo
termine parte dei frammenti oppioidi del glutine finiscono per raccogliersi cumulativamente negli
organi bersaglio. I peptidi oppioidi si possono accumulare nel fluido cerebrospinale di pazienti con
elevati livelli urinari di peptidi oppioidi derivanti da glutine e caseina [Gillberg 1988]. Studi di
follow up su bambini autistici hanno mostrato forti miglioramenti se questi pazienti venivano
trattati con diete senza glutine e caseina [Reichelt 1981, Reichelt 1990]. Anche la gliadina è stata
riscontrata nel fluido cerebrospinale di pazienti con paralisi e problemi neurologici, che andavano
in remissione con la sospensione del glutine [Chinnery 1997].
In un seminario tenuto dal professore emerito Ilya Arshavskii per la ricorrenza del suo 80esimo
compleanno, lo scienziato fisiologo russo spiegò alla platea dell’Anohin Institute of Normal
Physiology di Mosca gli studi della sua vita: la normale funzionalità protettiva del feto viene
degradata da un aumento di acidità dell’ambiente materno. Di conseguenza la placenta si lascia
attraversare da sostanze ad alto peso molecolare. È noto che solo sostanze proteiche al di sotto del
peso molecolare di 12.000 hanno normalmente la possibilità di passare. Il resto vengono tenute fuori
dalla placenta.
Ma quando c’è un aumento di acidità dell’ambiente interno, proteine della madre precedentemente
bloccate e composti ad elevato peso molecolare dall’industria chimica penetrano nel feto. Questo
meccanismo ci dovrebbe ricordare che l’organo di un corpo acidificato è più suscettibile alla
penetrazione di sostanze tossiche di quello di un corpo non acidificato.
Quindi al discorso del glutine bisogna aggiungere anche quello di un’alimentazione semplice che
evita zucchero bianco e troppe proteine animali.
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