da anticorpi.info
“Un giorno le macchine risolveranno tutti i problemi,
ma mai nessuna di esse riuscirà a formularne uno.”
A. Einstein
Molti di noi sono a conoscenza dell’esistenza di un gruppo molto agguerrito di ideologi pieni di
soldi e potere, convinti che il futuro dell’umanità debba consistere nella costruzione di un nuovo
‘esemplare’ di essere umano.
Un essere umano plasmato non più da Dio o dalla evoluzione naturale, ma da tutta una serie di
interventi scientifici e tecnologici effettuati dall’uomo sull’uomo, e dettati dalla agenda
sedicente illuminata promossa da tali sedicenti geni incompresi. Evoluzione indotta artificialmente,
quindi, da perseguirsi con una progressiva e radicale induzione alla manipolazione psichica, fisica,
sensoriale, culturale e sessuale (v. correlati).
Secondo alcune correnti di pensiero l’ideologia transumanistica prenderebbe spunto filosoficamente
dallo eudemonismo, dottrina morale che pone il raggiungimento della felicità quale fine naturale
della esistenza umana. Fu su tali basi filosofiche che il biologo Julian Huxley nel 1957 coniò il
termine ‘transumanesimo’, definendolo come ‘l’uomo che restando uomo trascende se stesso,
realizzando nuove potenzialità di e per la sua natura umana.’ (v. correlati)
Il problema è che, in quanto forma egregorica, l’ideologia transumanistica non poteva che essere
destinata a trascendere i suoi iniziali propositi filantropici per sfociare in una serie di azioni
non più controllabili dai singoli propugnatori. Tra i concetti fondanti del primo transumanesimo un
posto di rilievo spettò alla cosiddetta eugenetica, o ‘igiene razziale’, la quale è lo studio e la
pratica dello allevamento selettivo applicato agli esseri umani, al fine di migliorare la specie. A
tali propositi quantomeno discutibili andarono ad aggiungersi nuove ‘sfaccettature’ che finirono per
sconfessare il proposito huxleiano del ‘restare umani.’ In particolare dalla nascita della rete
internet e del web 2.0 – il transumanesimo iniziò a dare prova di non avere alcuna intenzione di
fermarsi al mero miglioramento delle facoltà individuali, ma di puntare dritta a quella
‘realizzazione di nuove potenzialità’, le quali in sostanza si tradurrebbero nel perseguimento di un
estremo collettivismo tecnocratico; in altre parole, gli individui che rinunciano alla loro
identità, al libero arbitrio, alla riservatezza, per interconnettersi formando una sorta di enorme
alveare al servizio di un’ape regina, in questo caso incarnata da un apparato informatico invadente
e tentacolare capace di impartire ‘suggerimenti’, in predicato di diventare direttive cogenti.
Apparato amministrato da chi? Nel migliore dei casi dalla stessa oligarchia, in quello peggiore da
una intelligenza artificiale.
E allora ben si comprenderà come a questo punto l’eudemonismo vada a farsi friggere. Come è
possibile infatti raggiungere la felicità umana trasformando l’essere umano in qualcosa di non più
umano? Ricercare la felicità umana manipolando i tratti essenziali della natura umana è uno dei
concetti più insensati che abbia mai udito. Il paravento dell’eudemonismo è andato via via
scomparendo, soppiantato da una filosofia basata sulle idee di una manciata di individui influenzati
dal mai comprovato evoluzionismo darwiniano, oppure, per chi ci crede, da una intelligenza non umana
e non benevola.
La diffusa, e per molti versi dogmatica fiducia nutrita oggi nei confronti del progresso
tecno-scientifico, le cui implicazioni si traducono nel rigetto della spiritualità e nella
magnificazione del materialismo, non è che il frutto velenoso della opera persuasiva mediatica
allestita nei decenni dall’ideologismo transumanistico. Gli osceni interventi di chirurgia
‘estetica’ con cui oggi parecchie persone si illudono di nascondere i segni dell’età, trasformandosi
in caricature di se stesse, ognuna uguale all’altra come in una epidemia di tumefazioni, stiramenti
ed inserti sintetici, sono l’emblema di questa ideologia basata sulla falsità. Così come
indirettamente lo sono l’auto-manipolazione psichica e sensoriale ottenute tramite l’abuso di droghe
e farmaci, la neonata patologia nomofobica (‘no mobile fobia’, cioè terrore di rimanere disconnessi
dalla grande rete) ed il sabotaggio delle tradizioni culturali di cui le consorterie progressiste
stanno rendendosi artefici. E’ la mostruosità spacciata per bellezza; il delirio spacciato per
benessere, l’isolamento spacciato per socialità; l’innaturalità spacciata per evoluzione.
A questo punto è necessario fare un distinguo. Ben venga qualsiasi ritrovato scientifico e tecnico
che sia utile a migliorare le condizioni di vita dell’umanità, ed in particolare quelle delle
persone malate o disabili, cioè dotare o restituire efficienza ad organismi menomati delle normali
funzionalità. Il problema sollevato in questo e altri articoli critici nei confronti della ideologia
transumanistica non attiene il progresso scientifico in se, ma solo quegli ambiti che in ossequio ad
una mania apoteotica si sono prefissati la ‘sacra missione’ di ‘costruire’ una nuova normalità la
quale rischia di compromettere la individualità umana e la facoltà di crescita ed evoluzione
spirituale ed intellettuale del singolo individuo.
“Quando la mente (coscienza) sta per aprirsi a nuove prospettive, è fondamentale che il suo
proprietario sia un individualista indipendente. Questo è il primo requisito, in assenza del quale,
non accade nulla.”, J. Rappoport
Ciò premesso, come sappiamo, di questi tempi non esistono mezzi di persuasione di massa più
efficaci di televisione e cinema. Gli input ascrivibili al transumanesimo nella comunicazione di
massa non si contano. Basta prendere atto di tutti i programmi televisivi di ‘divulgazione
scientifica’ in cui non si fa altro che inculcare l’idea di un futuro in cui la gente si impianterà
dei microchip per essere più ‘intelligente’ e ‘protetta’; gli spot pubblicitari in cui l’uomo
stanco, una volta vitaminizzato diventa forte come un robot, le trasmissioni satiriche in cui si
pubblicizza la chirurgia estetica in maniera più o meno diretta; i videoclip musicali che
propagandano occultamente la mentalità da ‘alveare’ (v. correlati) e più in generale i prodotti
televisivi rivolti ad un pubblico giovane in cui ci si adopera per demolire ogni tradizione
culturale e normalità sessuale, in ossequio ai ‘nuovi orizzonti’ di un supposto ‘progresso
umanistico.’
Tuttavia, prima ancora che con la informazione e la musica è attraverso le opere di fiction che i
burattinai piantano i semi di tale mentalità nelle giovani menti, in modo tale che da adulte siano
predisposte ad accogliere con gran entusiasmo gli ‘stravolgimenti filantropici’ propinati dal grande
fratello.
In questo post citerò una serie di opere di fiction mediante cui le recenti generazioni sono state
indirizzate verso il dogmatismo transumanistico. Naturalmente molti titoli mi sfuggiranno, ma per
fortuna c’è il modulo dei commenti a disposizione di chiunque voglia integrare la lista.
“La filosofia materialistica implica che la libertà non esista. Che non esista una cosa come il
libero arbitrio. Implica che niente in realtà sia davvero vivo. Implica inoltre che qualsiasi
sperimentazione sia effettuata sugli esseri umani, non importa quanto odiosa possa essere, sia da
considerarsi ammissibile, dato che tu ed io non siamo che insiemi di particelle che quello specifico
esperimento si limiterà a riorganizzare. Ecco l’ideologia del totalitarismo. La visione di una
società inanimata, robotizzata.” J. Rappoport
Frankenstein
Diretto nel 1931 da James Whale, e tratto dall’omonimo romanzo di Mary Shelley, cinematograficamente
parlando può considerarsi il capostipite del cinema a sfondo transumanistico. Interessante notare
come la seconda pellicola che rese celebre Whale sia stata L’uomo Invisibile (1933) altro racconto
dalle sfumature palesemente transumanistiche.
La storia del dottor Frankenstein è ben nota, dunque inutile dilungarsi nella descrizione della
trama. Ciò che vale la pena sottolineare è la scena in cui i cittadini del villaggio, dopo avere
appreso delle strane attività aventi luogo nel laboratorio di Frankenstein si presentano sotto il
palazzo dello scienziato, torce e forconi alla mano, con l’intenzione di distruggere ogni cosa. E’
proprio quello il punto in cui il transfert emotivo impartisce il condizionamento nello spettatore:
l’uomo comune è retrogrado ed ignorante, dunque non è in grado di comprendere i ‘miracoli’ della
scienza. Di conseguenza, tutte le volte che ci si ritrovi di fronte a un dibattito circa
l’opportunità di avallare o meno una qualsiasi attività scientifica ‘rivoluzionaria’, ecco che
nell’inconscio riemerge l’immagine dei bifolchi inferociti ritratta dal film di Whale e da
moltissime altre opere basate sullo stesso impianto narrativo. E dal momento che nessuno ha voglia
di percepirsi come un bifolco retrogrado, la reazione pavloviana si concretizza nel supporto
incondizionato verso ogni ‘discutibile’ nuova tecnica o scoperta scientifica.
L’uomo da 6 milioni di dollari
Il colonnello Steve Austin, a causa di un incidente durante una missione perde le gambe, il braccio
destro e l’occhio sinistro. Su di lui viene effettuata una ricostruzione bionica all’avanguardia,
che sostituisce gli organi danneggiati con arti bionici. La serie prende il titolo dal costo
dell’intervento, appunto di sei milioni di dollari.
Grazie agli organi bionici, Steve Austin acquisisce delle capacità eccezionali: le gambe gli
consentono di correre a velocità altissime, il braccio è dotato di una forza fuori dal comune, e
l’occhio permette una visione ravvicinata di oggetti molto lontani. (fonte)
Da questa serie televisiva targata ABC (1974) fu poi tratto lo spin-off La Donna Bionica (1976) in
cui il tema dell’essere umano trasformato in un superuomo dalle facoltà fuori dal comune fu
riproposto in salsa femministica.
Successivamente lo stesso tema fu sfruttato da diversi altri soggetti cinematografici, ad esempio
quello del film Robocop (Paul Verhoeven, 1987), il cui remake è da poco uscito nelle sale.
Se un giorno qualche geniaccio se ne uscisse con l’idea di infilarvi un microchip da qualche parte,
saprete da quali ‘incontestabili’ fonti abbia attinto il proprio background filosofico e culturale.
Guerre Stellari
Tra le saghe cinematografiche più apprezzate di tutti i tempi vi è l’esalogia di Guerre Stellari
(1977), creata da George Lucas. Ciò che più conferisce alla storia un carattere transumanistico sono
le personalità di C-3PO e R2-D2, i due robot co-protagonisti che gli autori dotarono di sentimenti e
senso dell’umorismo. Attributi tipicamente umani che nessun robot potrà mai sviluppare, con buona
pace dei cultori del transumanesimo, i quali sognano il giorno in cui in ossequio alle idee di
Darwin, l’uomo dovrebbe cedere il passo ai robot, esattamente come i primati agli albori della
storia avrebbero ceduto il passo al genere umano. Ecco un buon esempio di come basandosi su una
sfilza di presupposti errati o quantomeno non comprovabili, si possa giungere a conclusioni distorte
che producono ideologie tanto degradanti quanto pericolose.
Tron
Nel lontano 1982 la vezzosa e disinteressata Disney produsse Tron (Steven Lisberger) il primo film
che descriveva i prodigi della realtà virtuale. Il protagonista Kevin viene digitalizzato dal
mega-computer Master Control Program (MCP) grazie ad un laser sperimentale, e il suo organismo
ricomposto in forma digitale all’interno dei circuiti integrati che costituiscono l’universo del
cervello elettronico. A quel punto – scoperta delle scoperte – Kevin si rende conto con grande
sorpresa che i programmi realizzati da lui e dai suoi colleghi formano un universo parallelo in cui
è possibile sfidarsi in gare di motociclismo digitale e roba simile. Tra i molti spettatori che si
lasciarono condizionare dalla pellicola non è da escludere che vi fosse Gianroberto Casaleggio (v.
correlati) e tutti coloro i quali oggi credono che la soluzione migliore per il futuro degli esseri
umani sia quella di connettersi ad un computer mediante delle interfacce bioniche e vivere una vita
virtuale fatta di tante cose belle e finte.
In questa tipologia filmica tecno-onanistica meritano citazione Il Tagliaerbe (1992, B. Leonard),
Existenz (1999, D. Cronenberg), Total Recall (1990, P. Verhoeven), Fino alla Fine del Mondo (1991,
W. Wenders) e l’italiano Nirvana (G. Salvadores, 1997).
Tornando all’idea ossimorica dei robot dotati di sentimenti, dunque di coscienza, è necessario
citare qualche altro film che contribuì a indirizzare l’immaginario collettivo verso l’idea secondo
cui riversando i ‘dati’ immagazzinati nel cervello umano all’interno di computer molto potenti,
sarebbe possibile ‘replicare’ degli esseri intelligenti e sensibili (v. correlati).
Blade Runner
Ispirato al romanzo Il Cacciatore di Androidi di Philip K. Dick, Blade Runner (Ridley Scott, 1982) è
una intrigante detective story fantascientifica, però è anche il tipico esempio di programmazione
predittiva (v. correlati) applicata alla cinematografia. Nel 1982 Scott dipinse un mondo
tecnocratico, cupo, inquinato, cinico. Vi ricorda qualcosa? Per inciso, il valore poetico attribuito
dalla critica al celebre monologo declamato da Rutger Hauer nei panni del replicante Roy Batty non
solo è un insulto alla vera poesia, ma è anche il momento in cui lo spettatore è indotto ad
attribuire sentimenti umani ad una macchina. Stesso discorso valido per la replicante Rachael, la
cui sensibilità risulta estremamente incompatibile con la sua essenza sintetica. Il finale originale
della storia prevedeva perfino che lo stesso protagonista della storia, il detective Rick Deckard,
scoprisse di essere a propria volta un replicante; se non fosse stato tagliato in fase
post-produttiva quel finale forse sarebbe riuscito a infondere al film il senso filosofico /
esoterico che in molti gli attribuiscono, a mio avviso senza alcuna valida ragione.
Tra gli altri film che mi sovvengono al momento, dediti alla rappresentazione delle macchine sotto
forma di esseri dotati di sentimenti, troviamo la commedia Corto Circuito (1986, J. Badham), in cui
il robot Numero 5, colpito da una scarica elettrica acquisisce intelligenza e sentimenti umani al
punto da innamorarsi di una ragazza umana.
In Wall-E – film a cartoni animati della cara e disinteressata Disney (2008, A. Stanton) – il
protagonista è il robot Wall-E, unico superstite di un pianeta Terra ormai devastato
dall’inquinamento prodotto dalla follia umana. Genere umano che infatti ha finito per
auto-condannarsi all’estinzione di massa. Stranamente, il robot Wall-E, riesce a provare emozioni
come sospinto da una umana ed innata ‘evoluzione’ spirituale. Un giorno scende dal cielo un robot
femmina di nome EVE che lo farà innamorare. In realtà c’è ben poco da fantasticare: i robot non
potranno mai provare sentimenti. I sentimenti non sono riducibili ad una reazione chimica, come
qualcuno vorrebbe dare ad intendere. Sono il prodotto di qualcosa di esterno alla mente, la quale al
limite innesca la reazione chimica di cui sopra. Anima, spirito, scintilla divina o come vi pare. La
cosa importante da stamparsi in testa è l’equazione: No spirito = no sentimenti. Lo spirito non è un
insieme di dati replicabili col copia-incolla, cara Disney e cari cervelloni ho-capito-tutto-io.
Ne L’Uomo Bicentenario (1999, C. Columbus) tratto da un lavoro di Asimov, Andrew Martin, uno dei
primi prototipi di robot positronici di servizio, dimostra di possedere emozioni e reazioni del
tutto inaspettate per un robot, acquisendo consapevolezza di se fino al punto di richiedere di non
essere più considerato una proprietà e di lottare per ottenere la libertà. Oltre alla superficie
transumanistica, in questo caso è riscontrabile l’allusione al concetto di trasmutazione alchemica –
negazione per antonomasia della ‘mentalità da alveare’ di stampo transumanistico – dell’essere
inconsapevole che con la forza di volontà ed il coraggio riesce a trasformarsi in una vera persona.
Stessa stratificazione concettuale riscontrabile in A.I. (2001) di Spielberg, basato su un progetto
di Kubrick, rivisitazione in chiave fantascientifica della favola di Pinocchio (v. correlati).
Occhio all’inghippo.
Discorso inverso per sei pellicole che secondo me affrontano la questione in modo più responsabile.
La prima è il celebre 2001 Odissea nello Spazio, firmato nel 1968 da Stanley Kubrick e ispirato a un
racconto di Arthur Clarke. Lo stolido ammutinamento del computer H.A.L. 9000, amministratore della
astronave trasportante equipaggio umano, è senza ombra di dubbio una delle rappresentazioni più
inquietanti e paradigmatiche dei rischi insiti nella eccessiva fiducia riposta nelle intelligenze
artificiali.
La seconda è Il Mondo dei Robot (1973) scritto e diretto da Michael Crichton, ambientato in un’epoca
futura in cui viene costruito una sorta di parco dei divertimenti per adulti denominato Delos. Qui
la gente può divertirsi a sperimentare la vita esistente nell’Antica Roma, nel Medio Evo e nel Far
West grazie ad enormi ricostruzioni ambientali popolate da robot ‘intelligenti’ dalle sembianze
umane. I problemi vengono fuori quando i ‘nuovi modelli’ di androidi manifestano un inatteso
malfunzionamento, mettendo in serio repentaglio l’incolumità degli ospiti del parco.
La terza è La Mosca (originale del 1958 intitolato L’Esperimento del Dottor K.) e remake del 1996
diretto da David Cronenberg) in cui uno scienziato impaziente di verificare le proprie teorie circa
la manipolazione genetica, decide di sperimentarle sulla propria persona, finendo in un brutto
pasticcio.
Ennesimo film ispirato alle opere di Asimov, Io, Robot (2004) di Alex Projas, è la storia del
mega-computer ‘intelligente’ V.I.K.I. (Virtual Interactive Kinetic Intelligence), che un bel giorno
stabilisce autonomamente, nella massima buon fede, che per proteggere in modo efficace gli esseri
umani da loro stessi sia necessario sacrificare l’individualità e la libertà di questi ultimi,
instaurando una dittatura ‘benevola’ dei robot.
Altra pellicola dai connotati spiccatamente anti-transumanistici è il primo episodio della serie
Terminator (1984) diretto da James Cameron, in cui un glaciale Schwarzenegger interpretava un robot
proveniente dal futuro, dedito alla ricerca e distruzione di bersagli politici umani. Il discorso fu
invertito negli episodi successivi, ove fu introdotto il personaggio del robot ‘buono’ impegnato a
difendere i bersagli umani dal robot ‘cattivo’. In tal modo, come è facile capire andando a
riguardare i film, si introdusse anche la nozione di coscienza e moralità applicate alle macchine.
La bontà e cattiveria dei due robot – infatti – non si limitavano a rispecchiare una qualche
programmazione avvenuta a monte, ma in diverse situazioni del film appariva come scaturente da un
improbabile libero arbitrio esercitato dai due automi.
Inattesa inversione di rotta che si verificò anche nella saga di Matrix (1999, Wachoski Bros), al
cui primo capitolo del tutto allarmistico nei confronti di ciò che i transumanisti definiscono
‘singolarità’ (il punto di non ritorno in cui le intelligenze artificiali dovrebbero prendere il
sopravvento sugli esseri umani), a distanza di anni, molti anni, seguì un terzo capitolo
dall’epilogo assai più ‘accomodante’, circa una ‘auspicabile’ convivenza paritaria tra macchine ed
esseri umani.
X-Men
Concludo questa breve e necessariamente parziale carrellata con una saga che in un certo senso si
ricollega alla prima pellicola trattata nel post, cioè Frankenstein. Tratta dall’omonimo fumetto
Marvel (1963) a firma dello scrittore Stan Lee, la saga degli X.Men narra delle vicende avventurose
di un gruppo di esseri umani ‘mutanti’, cioè dotati di nuovi e straordinari poteri dovuti in parte
alla ‘naturale evoluzione’ ed in parte alla manipolazione scientifica. Con gli X-Men viene
riproposto il concetto dei bifolchi retrogradi già sfruttato in Frankenstein. Le persone ‘normali’ –
infatti – manifestano diffidenza e repulsione nei confronti dei mutanti, giungendo ad emarginarli in
una sorta di ‘ingrato’ razzismo al contrario. Anche in questo caso sotto un messaggio superficiale
edificante (la tolleranza verso le minoranze giudicate ‘diverse’) si cela lo stesso tipo di
propaganda transumanistica presente nel film di Whale, atta ad indurre negli spettatori il senso di
colpa verso il loro sano istinto finalizzato alla conservazione della specie.
Concludendo.
In questo post ho illustrato come attraverso l’industria cinematografica e televisiva, ad iniziare
dagli anni ’30 del secolo scorso, si siano introdotti alcuni memi culturali finalizzati ad infondere
nell’inconscio collettivo una morbosa propensione nei confronti dei dogmi espressi dalla ideologia
transumanistica, ad esempio l’idea che l’essere umano sia per natura imperfetto e bisognoso di
essere modificato con l’ausilio della scienza e della tecnica, e che la naturale evoluzione umana
debba concretizzarsi in termini materialistici, piuttosto che morali e spirituali; che il futuro
dell’umanità debba consistere in una progressiva trasformazione da esseri biologici dotati di uno
spirito, una mente ed un pensiero individuale, in OGM sintetici privi di identità e spiritualità e
votati al più spinto collettivismo.
Campagna persuasiva risaltante anche in altri campi, come quello dei fumetti (basti ripensare alle
decine di supereroi creati negli USA), della pubblicità e dei videogiochi, settore quest’ultimo
letteralmente invaso da titoli futuristici basati sul potenziamento dei personaggi attraverso una
serie di ‘innesti’ cybernetici oppure la assunzione di pillole e pozioni in grado di potenziare
abilità e doti fisiche. L’intero comparto dei giochi di ruolo si basa su tali meccanismi di
potenziamento o – per usare un lessico più adeguato – ‘livellamento’. I titoli sono davvero molti,
dalla saga videoludica di Deus Ex (Eidos) al gioco di ruolo cartaceo Cyberpunk 2020 (R. Talsorian
Games).
Ciò detto, il mio discorso non si concluderà con un invito al boicottaggio, né con una sfilza di
anatemi lanciati contro le opere elencate in questo post. Dopotutto si tratta di prodotti per lo più
divertenti, grazie ai quali tutti noi abbiamo trascorso, e trascorreremo in futuro qualche piacevole
ora di svago.
Il concetto che invece mi preme sottolineare in questa sede è la differenza abissale che passa tra
un prodotto di intrattenimento e la realtà dei fatti; tra l’ideologia inconsistente ed
irrealizzabile di un gruppo di filosofi e scienziati sprovvisti di coscienza, ed il reale, naturale
destino che attende il genere umano. Potete starne certi: una volta smaltita la sbornia
tecno-scientista torneremo a percorrere i sentieri più consoni alle doti innate che da sempre ci
contraddistinguono: curiosità, creatività, individualità, spiritualità ed amore.
Tratto da www.anticorpi.info
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