Un motivo per sorridere
(di Maneesha James)
E’ da oltre 20 anni che Nirodh non sorride più e non perché non abbia avuto
alcun motivo per farlo. Dopo tutto, Nirodh è pieno di creatività. All’età di
28 anni gli viene diagnosticata la distrofia muscolare. I primi sintomi
della malattia si manifestarono sul suo viso. In questa intervista ci dice
come un handicap può essere vissuto e superato al proprio interno.
Insieme alla sua compagna, Ushma, ha fondato e dirige l’Osho Arihant
Meditation and Creative Arts Center di Varazze, in Italia. Musicoterapista
ed etnomusicologo, è anche direttore della società di servizi musicali e
multimediali “Nostudio”.
Dopo due anni dal matrimonio, all’età di 28 anni e con un figlio che non
aveva ancora compiuto un anno, a Nirodh viene diagnosticata la distrofia
muscolare. Una malattia degenerativa, di origini genetiche (anche sua
sorella ne è affetta), per la quale non si conoscono cure efficaci. I primi
sintomi della malattia si manifestano sul suo viso. Nirodh non può
sorridere, ridere, corrugare la fronte o lasciarsi andare a qualsiasi altra
delle tante espressioni facciali di cui si serve la maggior parte delle
persone per manifestare le proprie emozioni e per comunicare con gli altri.
Dopo essersi dedicato alla meditazione per 30 anni, Nirodh decide di
organizzare seminari per persone disabili. Tema dei seminari: “Come la
meditazione può trasformare uno stile di vita delimitato da confini sempre
più ristretti in un’opportunità per espandere illimitatamente la propria
crescita interiore”.
Nell’intervista che segue, Nirodh spiega alcuni aspetti della sua esperienza
e offre suggerimenti a chi si trova in una situazione simile alla sua.
Per una persona che ha un handicap fisico, come una paralisi per esempio,
diventa quasi naturale spostare lo sguardo all’interno di se stesso, poiché
il ballo, per esempio, e altri movimenti diventano attività impossibili.
Così questa persona può diventare un “osservatore”, che poi è l’essenza
della meditazione. Quando la vita ti obbliga a confrontarti con la caducità
del tuo corpo e i suoi limiti, il fatto che tu ti focalizzi sulla tua
interiorità è una sorta di compensazione, quasi naturale.
Maneesha James: Cosa intendi per “osservare?
Per me, osservare significa sedermi all’interno di me stesso, come se fossi
di fronte a un lago molto tranquillo, piatto. senza che alcun sasso venga
gettato dentro. A questo punto posso vedere molto più chiaramente cosa sta
succedendo nella realtà.
Se, invece, ti fai prendere dalla rabbia, per esempio, allora il lago
diventa agitato e tu non riesci a vedere niente. E a quel punto, poiché non
sei in grado di guardare serenamente, l’acqua ti travolge.
L’osservare non accade nello spazio del pensiero ma in quello del
non-pensiero, perché se tu pensi, ti muovi. Può essere un movimento appena
percettibile, ma si tratta sempre di un movimento; è un’increspatura sulla
superficie di quel lago interiore.
Maneesha James: Come tutto ciò può aiutare, particolarmente in caso di
malattia?
Aiutandoti a renderti conto che la tua testimonianza non è malata; è solo il
tuo corpo ad esserlo. Se commettiamo l’errore di pensare che la
testimonianza è malata, siamo veramente malati!
Inoltre non dovremmo lasciarci andare al pensiero che se non possiamo fare
yoga, o ballare o se non possiamo fare qualsiasi altra cosa, significa che
non possiamo realizzarci, perché la realizzazione di noi stessi non è legata
esclusivamente al corpo. Il corpo non è un parte intrinseca della crescita
interiore. Al contrario, e questo vale per tutti ad un certo punto della
vita, dobbiamo renderci conto dei limiti del nostro corpo. La nostra
testimonianza è come la musica su un CD. La musica non è il cd di plastica.
La musica è l’essenza del cd.
Maneesha James: E per coloro che sono disabili ma che non sanno niente di
meditazione e di come osservare.?
Essere malato ti costringe a entrare nella tua interiorità, ma se non lo fai
seguendo una prospettiva meditativa, entri nella mente e nella sua
disperazione. Per esempio, mi capita di incontrare persone disabili che sono
molto arrabbiate con la vita e con tutto ciò che è legato ad essa, inclusi
gli altri esseri umani.
Possono usare la loro malattia anche per manipolare gli altri. Per esempio,
quando c’è una discussione, sanno che alla fine vinceranno perché possono
tirar fuori il loro asso nella manica, ossia “Ho ragione perché sono
malato”.
Questo atteggiamento funziona quando si gioca sul senso di colpa e di
imbarazzo degli altri. E’ una forma di potere.
Può accadere che utilizzino la loro malattia per punire gli altri. Fanno
sentire gli altri in difetto perché non si prendono cura di loro, non li
aiutano a sopportare il dolore e così via. Quindi, ripeto, possono creare un
senso di colpa in coloro che si prendono cura di loro. Alcuni utilizzano la
loro malattia, altri la rinnegano.
Maneesha James: Quali risvolti ha, a livello personale, il fatto di non
poter contare sulla propria indipendenza?
Essere indipendente non significa essere un’isola e sentire che non hai
bisogno di niente da nessuno; significa condividere, senza dipendenza
reciproca, ma con amore. Può succedere che la persona disabile sia di aiuto
agli altri. Gli altri possono aiutarla con il corpo e può succedere che la
persona disabile possa aiutare loro psicologicamente. L’importante è che non
sia uno scambio a direzione univoca.
Maneesha James: Che tipo di atteggiamento hai verso il tuo corpo? Come ti
senti, per esempio, quando non ti permette di fare qualcosa che vuoi fare?
Prima che scoprissi di avere questa malattia, la mia vita era molto intensa.
Come molte menti artistiche ero anche piuttosto auto-distruttivo.
Paradossalmente, la mia malattia mi ha portato ad abbandonare questo
atteggiamento e mi ha obbligato a prestare attenzione al mio corpo. Quello
che mi è successo mi ha fatto tornare coi piedi per terra perché, fino ad
allora, avevo seguito idee, obiettivi, mettendoci tutta la mia energia – e
dimenticandomi di avere un corpo.
Il lento processo di una malattia progressiva offre una buona opportunità
per osservare la mente – perché osservare è qualcosa che devi imparare, un
processo a cui devi essere continuamente richiamato. E’ qualcosa che tutti
noi – non solo chi soffre di una malattia – dimentichiamo e osservare il
proprio corpo può essere una buona base per osservare anche tutti gli altri
aspetti del nostro sistema persona.
Un’altra opportunità che mi si è presentata, attraverso il corpo, è avere
tempo per utilizzare me stesso non per una vita molto dinamica, ma per una
grande espansione interiore – come per esempio la creatività.
Maneesha James: Con la tua compagna, Ushma, hai creato più di 11 CD per la
meditazione e circa 27 CD musicali, tutti reperibili in Italia e negli USA,
vero?
Sì. Per 15 anni ho anche condotto delle ricerche sul suono e la mente,
lavorando simultaneamente su questo tema: mi trovavo sul Lago di Como,
presso un istituto statale per persone psicotiche. Studiando le onde
prodotte dalle frasi, apparentemente senza senso, pronunciate da persone
affette da turbe psichiche, ho scoperto che, in realtà, c’è un modulo, un
ritmo e un significato in ciò che esprimono. Questa scoperta ha
rappresentato la base per una pubblicazione.
Maneesha James: Tutte le persone disabili hanno il potenziale per essere
così creative?
Sì, ma prima di esplorare la loro creatività, devono acquisire la
consapevolezza dei limiti della loro malattia e della libertà di cui
dispongono. Se si lasciano cadere nelle trappole della mente – lamentandosi
o lasciandosi andare alla disperazione – perdono un’opportunità perchè, al
di là di cosa facciano o non facciano, devono comunque vivere!
Maneesha James: Quali sono i metodi utili per la meditazione, quando la
capacità di muoversi è limitata?
Non esiste una situazione ideale per la meditazione; ognuno può iniziare da
dove vuole.
Tutte le tecniche che richiedono la partecipazione del corpo possono essere
utilizzate in modo limitato, quindi chiunque dovrebbe essere consapevole dei
limiti del proprio corpo e muovere ciò che può. Se puoi muovere solo il
collo, per esempio, puoi visualizzare nella tua sfera immaginativa di
ballare molto liberamente. Immaginare di riuscire a muoverti in piena
libertà può procurarti un pò di felicità.
Emettere suoni senza senso è una buona tecnica per schiarirsi la mente
perchè permette di scaricare, in modo del tutto naturale, ciò di cui devi
liberarti.
La considero una tecnica che richiede molto coraggio perchè nella tua voce
c’è molto della tua personalità e inizi ad essere un individuo quando inizi
a usare la tua voce.
Se una persona disabile utilizza questa tecnica insieme ad altri, passa
dalla sfera della solitudine alla sfera della condivisione.
Maneesha James: Come va affrontato il dolore?
Quando abbiamo un dolore molto forte, dovremmo ricorrere alla medicina
perchè non possiamo alleviarlo con l’aiuto della mente o delle emozioni; si
tratta di un disturbo. Il corpo fisico sta inviando un messaggio. Ovviamente
è importante, prima di tutto, cercare di evitare quel dolore, se puoi, per
esempio evitando quei movimenti che sai già che ti procureranno dolore.
C’è una meditazione descritta da Osho – per entrare nel dolore. Il dolore
inizia a dissolversi quando inizia a espandersi da un punto in cui era
concentrato, diminuendo così di intensità. Non cercare di sfuggire al dolore
ma ascoltalo più in profondità; parlagli. A quel punto puoi capire quanta
parte di questo dolore sia frutto della tua mente e quanta parte sia
effettivamente fisica.
La nostra idea mentale del dolore può renderlo più acuto. Di solito la mente
inizia a farne un dramma; ciò porta a disperdere la propria energia e a far
aumentare, di conseguenza, il dolore stesso.
Maneesha James: Come reagisci quando le persone che ti incontrano per la
prima volta rimangono stupite o addirittura impressionate e forse anche
imbarazzate?
Se sei un tipo infelice, trasmetti tale energia e le persone la assorbono.
Se, invece, riesci a ridere di te stesso ed essere gioioso… non succede
che gli altri sentano il mio dolore – il dolore è un problema mio – ma gli
altri possono vedere che sono felice così come sono. Ciò non significa che a
me piaccia essere una persona disabile; non è piacevole essere malati. Ma è
bello essere felici perchè ho scoperto, nella mia condizione, qualcosa per
cui essere felice. Le persone mi parlano delle loro sofferenze psicologiche.
Può darsi che ciò accada perchè vengono attirate da me a farlo –
percepiscono che sono una persona che ha affrontato una grande sfida.
Potrebbero pensare che se io riesco ad essere felice così come sono, forse
la loro situazione non è poi così tanto grave. Il mio suggerimento ai
portatori di handicap è: non permettete che tutta la vostra vita ruoti
attorno alla vostra malattia. Usate il vostro handicap per espandervi. Le
persone monopolizzano la situazione con la loro malattia e questa è un’altra
strategia di potere. C’è altro nella vita! C’è l’essenza, la meditazione,
l’osservazione… sì il tuo corpo scomparirà quando avrai 80 anni o giù di
lì, quindi certamente il corpo è importante – ma non è tutta la tua vita.
Altrimenti, finirebbe per essere un disastro. E a me non piace essere
negativo.
Maneesha James: Non provi alcun risentimento ad essere un portatore di
handicap?
E’ molto importante essere capace di perdonare la madre o il padre che ti
hanno trasmesso la malattia, perdonare la società e te stesso. Inoltre non
devi colpevolizzare nessuno perchè tutti fanno del loro meglio ma, al
contrario, devi usare la situazione in cui ti trovi per tuffarti nell’amore
e nella consapevolezza. Non è piacevole confrontarti con la società perchè
ti fa sentire anormale. Ovviamente non puoi cambiare la società. Vedi
persone che fanno cose che tu non puoi fare. E’ molto pesante da sopportare.
Ciò fa parte del perdono che devi concedere a te stesso. Infine dobbiamo
essere responsabili di ciò che siamo – dobbiamo accettarlo. Se abbiamo un
problema, non dobbiamo crearne un altro!
Puoi essere connesso alla vita in qualsiasi luogo; l’energia non è
concentrata maggiormente in un luogo piuttosto che in un altro. Se riusciamo
a fare nostra questa percezione, allora ogni cosa assume una sua personalità
e possiamo interagire con qualsiasi cosa – per esempio, una pianta in un
vaso. E’ viva; necessita di cure e ogni giorno che passa puoi osservare i
suoi cambiamenti. Persino i sassi, se li guardi da questa prospettiva, ti
parlano dell’esistenza.
Puoi esprimere la tua creatività abbellendo la tua stanza. Puoi decidere di
dipingere le pareti di un nuovo colore, di installare un impianto hi-fi, di
utilizzare fragranze profumate, insomma di renderla più confortevole in
tanti modi diversi.
Non è necessario cercare un posto esterno ideale perchè puoi dimenticarti di
te stesso in qualsiasi posto! Questa verità vale per tutti, e soprattutto
per coloro che possono muoversi solo molto lentamente e con l’aiuto degli
altri.
Di solito le persone senza handicap fisici non prestano alcuna attenzione a
ciò che fanno perchè le normali attività quotidiane sono del tutto naturali
per loro, ma per le persone disabili, invece, queste attività assumono una
grande importanza. Per loro, piccoli eventi o semplici azioni possono
rappresentare un problema grande quanto l’Himalaya.
A volte ci troviamo in un posto che ci sembra brutto, ma dentro di noi c’è
uno spazio bello a cui non tutti possono accedere. Coloro che utilizzano una
porta convenzionale che promette l’accesso alla felicità potrebbero, prima o
poi, scoprire che in realtà non è così. Dipende da noi – da come utilizziamo
le situazioni. Il senso di pienezza e il senso di felicità non sono cose
pre-confezionate
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