8 aprile 2016
Le scansioni cerebrali eseguite mentre una persona non fa nulla variano da soggetto a soggetto e la
loro analisi permette di prevedere come si attiveranno i circuiti neurali di un individuo quando
svolge un certo compito, come leggere o fare una scommessa
di Simon Makin
Il cervello di ognuno di noi è diverso. Fino a poco tempo fa le neuroscienze tendevano a sorvolare
su questo aspetto facendo la media dei risultati di molte scansioni cerebrali per arrivare a verità
generali sul modo in cui funziona il cervello. Ma alcuni importanti sviluppi hanno cominciato a
documentare come varia l’attività cerebrale da persona a persona.
Queste differenze sono state ritenute in gran parte transitorie e di scarso interesse, ma diversi
studi iniziano a mostrare che sono proprietà innate del cervello di ciascuno di noi, e che
conoscerle meglio potrebbe contribuire alla terapia dei disturbi neurologici.
L’ultimo studio, pubblicato su “Science”, ha scoperto che l’attività cerebrale di alcuni soggetti
sottoposti a scansione mentre non facevano nulla conteneva informazioni sufficienti per prevedere
come funzionava il loro cervello nel corso di una serie di attività ordinarie.
I ricercatori hanno usato queste “firme” dell’attività cerebrale in stato di riposo per prevedere
quali aree si sarebbero attivate – quali gruppi di cellule cerebrali si sarebbero “illuminate” –
quando giocavano, leggevano o svolgevano qualche compito che gli era stato chiesto di eseguire
mentre erano sottoposti a scansione. Un giorno questa tecnica potrebbe essere usata per valutare se
alcune zone del cervello delle persone paralizzate o in coma sono ancora funzionali, dicono gli
autori.
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La prima colonna indica la media delle scansioni cerebrali di un gruppo di soggetti. Le colonne
successive mettono a confronto, per ciascun compito, una scansione effettiva e la previsione fatta
dagli autori sulla base della scansione nello stato di riposo in due differenti soggetti (Cortesia
I. Tavor et al./Science/AAAS)
Lo studio sfrutta un metodo relativamente nuovo di imaging cerebrale che guarda a quello che sta
succedendo quando una persona non sta facendo praticamente nulla. La tecnica deriva da un lavoro
della metà degli anni novanta dell’ingegnere biomedico Bharat Biswal, ora al New Jersey Institute of
Technology. Biswal notò che le scansioni effettuate mentre
i partecipanti riposavano dentro uno scanner per risonanza magnetica funzionale (fMRI) mostravano
regolari oscillazioni a bassa frequenza. All’inizio cercò di rimuovere il rumore di fondo dai
segnali fMRI, ma presto si rese conto che quelle oscillazioni non erano affatto un rumore. Il suo
lavoro aprì la strada a un un nuovo approccio noto come fMRI in stato di riposo.
Questo tipo di scansione rivela molte cose su un particolare cervello. Permette di analizzare le
lente fluttuazioni del segnale neurale che avvengono normalmente e che riguardano reti di cellule
cerebrali che fluttuano in sincronia; queste reti spesso somigliano a quelle che il cervello
mobilita quando si è attivamente impegnati a fare qualcosa. “Sappiamo da tempo che le reti cerebrali
che emergono nello stato di riposo sono simili alle mappe che otteniamo dall’attività indotta da un
compito”, dice la dottoranda in neuroscienze Emily Finn della Yale University. Lo scorso ottobre
Finn e colleghi hanno pubblicato uno studio che mostra che le reti cerebrali contengono abbastanza
informazioni da identificare gli individui con una precisione fino al 99 per cento. “Questo studio
fa un ulteriore passo avanti”, dice Finn.
I ricercatori diretti da Ido Tavor e Saad Jbabdi dell’Università di Oxford hanno condotto il nuovo
studio usando i dati dello Human Connectome Project (HCP) – a cui partecipano i National Institutes
of Health, la Washington University a Saint Louis, l’Università del Minnesota e l’Università di
Oxford – che sta cercando di mappare il cablaggio del cervello umano. Il team ha analizzato i dati
relativi a 98 giovani adulti sani ottenuti con scansioni eseguite mentre i partecipanti svolgevano
compiti che coinvolgono la memoria, le funzioni motorie, il processo decisionale (gioco d’azzardo),
il linguaggio (lettura) e così via, ma anche quando si stavano solo riposando. In particolare, hanno
analizzato le relazioni tra l’attività cerebrale in stato di riposo e le oscillazioni emerse mentre
erano impegnati nei vari compiti.
Successivamente hanno cercato di prevedere i profili dell’attività cerebrale di uno specifico
soggetto per ciascuno dei compiti, a partire dalle sole scansioni nello stato di riposo. Le
predizioni corrispondevano all’attività cerebrale di quella persona ben più di quelle di qualsiasi
scansione degli altri partecipanti. “Abbiamo estratto una serie di immagini che mettono in evidenza
le aree del cervello che fluttuano all’unisono durante questo stato in cui la mente è errabonda”,
spiega Jbabdi. “Il nostro studio dimostra che queste co-fluttuazioni contengono informazioni
sufficienti per prevedere come si comporta il cervello quando si sta effettivamente facendo qualcosa
in modo esplicito.”
Questi sono solo i primi passi. Rimane ancora da stabilire quali altre informazioni potrebbero
essere contenute nelle scansioni in stato di riposo, e in che modo potrebbe cambiare il rapporto tra
stato di riposo e stati attivi in alcune circostanze. “Sarà interessante vedere se e in che modo
questa mappatura si riferisce a prestazioni effettive nei compiti”, dice Finn. “E come cambia in
funzione di fattori come l’età o la malattia neuropsichiatrica.”
Tavor dice che il suo gruppo è giunto a condurre questo studio a partire da un problema che i
neuroscienziati si trovano di fronte molto spesso. In molti studi, i ricercatori hanno bisogno di
sapere esattamente quali aree del cervello si attivano durante alcuni compiti, così da poter
osservare, per esempio, che cosa succede quando bloccano o stimolano quell’attività. La nuova
tecnica potrebbe consentire ai ricercatori di prevedere dove sono queste regioni senza dover
effettuare una scansione separata per ciascuna attività, risparmiando tempo e denaro.
“E’ un risultato molto pratico”, dice Finn. “Lo stato di riposo potrebbe servire come ‘scansione
universale’ da cui raccogliere un sacco di informazioni su qualcuno, senza dover effettivamente
eseguire una scansione per ogni compito.”
Uno dei prossimi passi di questa ricerca è determinare se i risultati non valgono solo per i
partecipanti sani usati in questo studio, ma anche per pazienti affetti da varie malattie. “Stiamo
cercando pazienti colpiti da tumore al cervello prima che subiscano un intervento chirurgico”, dice
Tavor. Sapere quali parti del cervello sono responsabili di funzioni sensibili, come il linguaggio,
può essere cruciale per un neurochirurgo, dato che i tumori possono provocare cambiamenti nel modo
in cui vengono eseguite le funzioni cerebrali. “Potendo prevedere questo cambiamento, potremmo
aiutare il chirurgo a decidere il punto da cui entrare per rimuovere il tumore”, spiega Tavor.
Biswal è interessato anche alle implicazioni mediche. “In ambito clinico, se c’è una differenza di
prestazioni rispetto ai controlli sani, lo stato di riposo ci permette ancora di prevedere le
prestazioni dei pazienti?”, si chiede “O è accaduto qualcosa per cui la previsione non vale più? E
questo può dirci qualcosa sui meccanismi alla base della malattia?” L’uso di questa tecnica in campo
diagnostico potrebbe poi consentire ai ricercatori di misurare la gravità della malattia sulla base
della precisione delle previsioni relative alle funzioni del cervello che si sanno essere più
colpite da quella particolare malattia.
Qualunque sia il risultato finale, questo lavoro si aggiunge a un crescente corpo di prove che
suggeriscono che il cervello a riposo è tutt’altro che a riposo. “Durante questo cosiddetto stato di
riposo il cervello non sta realmente riposando”, dice Tavor. “Fa di tutto, per tutto il tempo.”
science.sciencemag.org/cgi/doi/10.1126/science.aad8127
www.lescienze.it/news/2015/10/14/news/schemi_connessioni_cerebrali_individuali-2804511/
(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 13 aprile
2016. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
www.scientificamerican.com/section/news/new-evidence-points-to-personal-brain-signatures1/
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