Una riflessione sul cancro
redazione ECplanet.net
Tratto dal libro Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia.
Il cancro come non l’ha mai visto nessuno
Innanzitutto, bisogna prendere coscienza del fatto che ogni globalità (unità tra le unità) da noi
sentita o definita è composta da un lato da molte altre globalità e dall’altro partecipa di una
globalità molto più grande. Un uomo fa parte dell’umanità e consiste lui stesso di organi, che sono
parte di lui e al tempo stesso consistono di molte cellule, che a loro volta rappresentano le parti
dell’organo. L’umanità si aspetta dal singolo uomo che si comporti in modo tale da essere utile
all’evoluzione ed alla sopravvivenza dell’umanità. L’uomo si aspetta dai suoi organi che funzionino
in modo tale da consentirgli la sopravvivenza. L’organo si aspetta dalle proprie cellule che
facciano il loro dovere, come è indispensabile per la sopravvivenza dell’organo stesso.
In questa gerarchia, che potrebbe essere prolungata da entrambi i lati, quella globalità individuale
(cellula, organo, uomo) è sempre in conflitto tra vita personale e subordinazione agli interessi
dell’unità superiore. Ogni struttura complessa (umanità, stato, organo) fa in modo che possibilmente
tutte le parti siano subordinate all’idea comune e la servano. Ogni sistema di norma tollera la
fuoriuscita di alcuni (pochi) membri senza essere messo in pericolo come globalità. C’è però un
limite superando il quale la totalità viene minacciata nella sua esistenza. Il cancro non è un
evento isolato che si presenta soltanto nelle forme patologiche note a tutti e che da lui prendono
il nome: nel cancro troviamo un processo intelligente e molto differenziato, che occupa l’uomo su
tutti i piani.
In quasi tutte le altre malattie, il corpo cerca di fronteggiare con mezzi adatti le difficoltà che
minacciano una funzione. Nel caso del cancro ci troviamo però di fronte a qualcosa di
fondamentalmente diverso: il corpo assiste al progressivo cambiamento del comportamento delle
proprie cellule, le quali iniziano un processo di divisione che in sé non porta ad alcuna fine, ma
che trova una fine nell’esaurimento del terreno di coltura. La cellula cancerosa non è, come un
virus o un batterio, qualcosa che viene da fuori, ma è una cellula che finora ha messo tutta la sua
attività al servizio dell’organo e quindi dell’intero organismo, in modo da aiutarlo nella sua
sopravvivenza. Poi di colpo questa cellula ha cambiato i suoi intendimenti e abbandonato
l’identificazione comune. Comincia a perseguire scopi propri e a realizzarli senza preoccuparsi
d’altro. Pone fine alla sua normale attività di servizio specifico ad un organo e mette in prima
linea la propria moltiplicazione. Non si comporta più come membro di un essere vivente dalle molte
cellule, ma regredisce al livello precedente di esistenza. Prende le distanze dalle cellule, sue
simili e si diffonde rapidamente e senza riguardo alcuno con una caotica moltiplicazione,
trascurando tutti i confini morfologici (infiltrazione) ed edificando ovunque basi proprie
(metastasi).
Dunque, perché mai la brava cellula agisce in questo modo ?
Come membro obbediente di un organismo pluricellulare, non doveva far altro che eseguire un’attività
prescritta e ben definita, utile alla sopravvivenza dell’organismo stesso. Era una cellula come
tante altre, che doveva svolgere un compito poco attraente per conto di un altro. E per molto
tempo l’ha fatto. Tuttavia, ad un certo punto l’organismo ha perso le sue attrattive come spazio
nell’ambito del quale compiere la propria evoluzione. Un organismo unicellulare è libero e
indipendente, può fare quello che vuole, può anche rendersi importante attraverso un interminabile
meccanismo di riproduzione e moltiplicazione. Come organismo multicellulare la cellula è divenuta
mortale e non più libera. C’è da stupirsi che rimpianga la precedente libertà e desideri tornare
alla sua esistenza di organismo unicellulare per realizzare personalmente la propria immortalità ?
Essa sottopone allora la comunità ai propri interessi e comincia a realizzare la propria libertà con
un comportamento totalmente privo di riguardo.
Una mossa di successo, il cui errore diviene evidente solo molto tardi, quando si nota che il
sacrificio dell’altro ed il suo utilizzo come terreno di coltura porta con sé anche la propria fine.
Il comportamento della cellula cancerogena è coronato da successo finché la persona funge da
nutrimento, la sua fine significa anche la fine dell’evoluzione del cancro stesso. Così, ci si
libera della vecchia comunità e ci si accorge troppo tardi che se ne ha ancora bisogno. La persona
non è entusiasta di offrire la propria vita per la vita della cellula cancerogena, però neppure la
cellula cancerogena era entusiasta di offrire la sua vita per l’uomo. Essa ha argomenti altrettanto
buoni dell’uomo, solo la loro ottica è opposta. Entrambi vogliono vivere e concretizzare i loro
interessi e le loro idee di libertà. È l’antico conflitto della natura: divorare o essere divorati.
L’uomo si rende conto della prepotenza e anche della miopia delle cellule cancerogene: si rende però
anche conto del fatto che noi uomini cerchiamo di assicurarci la sopravvivenza agendo esattamente
come le cellule cancerogene ?
Questa è la chiave delle malattie cancerogene. Il cancro è espressione del nostro tempo e delle
nostre concezioni collettive del mondo. Noi sperimentiamo in noi sotto forma di cancro ciò che noi
stessi viviamo. La nostra epoca è caratterizzata da irriguardosa espansione e realizzazione dei
propri interessi. Nella vita politica, economica, religiosa e privata la gente cerca di dilatare
oltre ogni limite i propri fini e i propri interessi senza riguardo per nessuno, cerca di creare
ovunque basi per i propri tornaconti e vuol far valere soltanto le proprie idee e le proprie mete,
mettendo tutti al servizio del proprio personale vantaggio.
Tutti noi ragioniamo come le cellule cancerogene. La nostra crescita è così veloce che non riusciamo
quasi a rifornirci di materia prima come nutrimento. I nostri sistemi di comunicazione raggiungono
ogni angolo del mondo, però la comunicazione col nostro vicino o col nostro compagno di vita è
ancora assai carente. L’uomo ha tempo libero, ma non sa come utilizzarlo. Produciamo e distruggiamo
prodotti alimentari per poter manipolare i prezzi. Possiamo viaggiare comodamente per tutto il
mondo, ma non conosciamo noi stessi. La filosofia del nostro tempo non conosce altra meta che la
crescita ed il progresso.
E che scopo ha il progresso ? Un progresso ancora maggiore ! L’umanità si è imbarcata in un viaggio
senza meta. Deve quindi porsi sempre nuove mete, per non cadere nella disperazione. La cecità e la
miopia dell’uomo del nostro tempo è pari a quella delle cellule cancerogene. Per portare ancora
avanti l’espansione economica, si è utilizzato il mondo per decenni, lo si è usato come terreno di
coltura, per constatare oggi con stupore che la morte di questo terreno significa la morte anche
per noi. La gente considera il mondo intero come il proprio terreno di coltura: piante, animali,
materie prime. Tutto esiste solo perché noi possiamo espanderci senza limiti sulla terra.
Chi si comporta così, dove trova il coraggio e la sfacciataggine di lamentarsi del cancro ? Esso è
semplicemente il nostro specchio, ci mostra il nostro comportamento, i nostri argomenti e anche la
fine della nostra strada. Il cancro non ha bisogno di essere vinto, esso deve soltanto essere
capito, così che poi possiamo capire anche noi stessi. Ma gli uomini vogliono sempre distruggere gli
specchi se il loro viso non pare loro piacevole a vedersi. La gente ha il cancro perché essa stessa
è cancro !
Il cancro è quindi la nostra grande chance di scoprire finalmente i nostri errori di pensiero e di
azione. Il cancro si pone di fronte ai due poli Io o la Comunità, vede soltanto questo aut-aut e
decide alla fine per la propria sopravvivenza, accorgendosi troppo tardi che essa non è possibile
senza quella del terreno che lo nutre. Gli manca la consapevolezza di un’unità più grande, capace di
tutto abbracciare. Vede l’unità soltanto nei suoi limitati confini. Questo malinteso dell’unità è
proprio anche dell’uomo. Anche lui si chiude nella propria coscienza, ed in questo modo sorge la
spaccatura tra Io e Tu. Si pensa per unità, senza rendersi conto della insensatezza di un simile
modo di pensare. L’unità è la somma di tutto ciò che è, e non conosce nulla al di fuori di se
stessa.
Più un’Ego si chiude, più perde il senso del tutto, di ciò di cui esso è soltanto una parte.
Nell’Ego sorge l’illusione di poter fare qualcosa da solo. In realtà però non esiste possibilità
di separazione vera dal resto dell’universo, solo il nostro Io può immaginare che esista. Via via
che l’Io si incapsula, l’uomo perde la religio, l’unione con l’origine della sua esistenza. L’Ego
cerca ora di soddisfare le proprie esigenze e ci indica la via. L’Io apprezza tutto ciò che è utile
ad un ulteriore isolamento, perché più i confini vengono tracciati più l’Io prende coscienza di se
stesso. Ha paura soltanto di essere solo, perché questo significherebbe la sua morte. L’Io difende
la sua esistenza con molta tenacia, intelligenza e buoni argomenti, e pone al proprio servizio le
più sacre teorie e le più nobili intenzioni: la cosa fondamentale è poter sopravvivere.
Si creano così anche mete che non esistono. Porsi come meta il progresso è assurdo, in quanto il
progresso non ha fine. Un’autentica meta può consistere soltanto nella trasformazione della
situazione attuale, non nella sua semplice prosecuzione. Se però la meta si chiama unità, può
essere raggiunta solo se si sacrifica l’Io, perché fintanto che c’è un Io, c’è un Tu e noi restiamo
quindi nella polarità che ci divide tutti. La rinascita nello spirito presuppone sempre una morte,
e questa morte riguarda l’Io.
Fintanto che il nostro Io tende alla vita eterna, falliremo esattamente come le cellule cancerogene.
La cellula cancerogena si distingue dalla cellula del corpo per la sopravvalutazione del proprio Io.
Nella cellula il nucleo cellulare corrisponde al cervello della cellula stessa. Nella cellula
cancerogena il nucleo acquista costantemente importanza ed aumenta anche il suo peso ( il cancro
viene diagnosticato anche in base alla trasformazione morfologica del nucleo cellulare). Questo
cambiamento del nucleo corrisponde alla sopravvalutazione del pensiero cerebrale egocentrico, di cui
anche il nostro tempo è affetto. La cellula cancerogena cerca la propria vita eterna nell’espansione
materiale. Sia il cancro che l’uomo non capiscono che stanno cercando nella materia qualcosa che lì
non si trova, cioè la vita. Si confonde contenuto e forma e si cerca di trovare il desiderato
contenuto moltiplicando la forma. Ma già Gesù insegnava: Chi vuole conservare la propria vita, la
perderà.
Il cammino è pertanto inverso: rinunciare all’aspetto formale per trovare il contenuto, ovvero l’Io
deve morire, per poter rinascere in se stesso. Sia ben chiaro, il Sé non è se stessi, ma il Sé: il
centro che si trova ovunque. Il Sé non ha natura sua propria e particolare, perché comprende tutto
ciò che è. Qui finalmente cade la domanda: Io o gli Altri ?. Il Sé non conosce gli altri, perché è
UNICO. Una simile meta risulta giustamente pericolosa per l’Ego, e anche poco attraente. Per questo
non dovremmo meravigliarci del fatto che l’Io cerchi in tutti i modi di sostituire la meta
dell’unione con quella di un Ego grande, forte, saggio ed illuminato. Ma l’Io, col quale la maggior
parte di noi si identifica, non potrà mai essere illuminato o redento.
Non possiamo redimere il nostro Io, noi possiamo soltanto liberarci dall’Io, e in questo modo saremo
redenti. La paura che nasce a questo punto di non esistere più conferma soltanto fino a che punto
noi ci identifichiamo col nostro Io e quanto poco sappiamo del nostro Sé. Proprio qui, invece, si
innesta la possibilità di risolvere il problema del cancro. Solo se impariamo a mettere poco per
volta in discussione la fissità del nostro Io ed i nostri confini, solo se impariamo ad aprirci,
cominciamo a vivere una parte del tutto e anche ad assumerci la responsabilità del tutto. Capiamo
allora che il bene del tutto ed il nostro bene sono la stessa cosa, perché noi in quanto parte siamo
una cosa sola col tutto. Ogni cellula contiene infatti tutta l’informazione genetica dell’organismo,
e dovrebbe solo capire che essa in realtà è il tutto! Microcosmo=Macrocosmo.
L’errore di pensiero consiste nella distinzione tra Io e Tu. Sorge così l’illusione che sia
possibile sopravvivere particolarmente bene come Io, che si possa sacrificare il Tu ed utilizzarlo
come terreno di coltura. In realtà non è possibile separare il destino di Io e Tu, della parte e del
tutto. La vera medicina si chiama AMORE. L’amore rende sani perché dilata i confini e fa entrare
l’altro in modo da diventare una cosa sola. Chi ama, sente che la persona amata è se stesso. Questo
non vale solo per gli uomini: chi ama un animale, non può considerarlo qualcosa di inferiore. Questo
non è uno pseudoamore sentimentale, ma uno stato di coscienza che intuisce veramente qualcosa della
comunità di tutto ciò che è.
Il cancro non testimonia di un amore vissuto, è amore pervertito:
L’amore supera tutti i confini ed i limiti.
Nell’amore gli opposti si uniscono e si fondono.
L’amore è unione con tutto, si estende su tutto e non si ferma davanti a niente.
L’amore non teme neppure la morte, perché l’amore è vita.
Se questo amore non vive nella coscienza, corre il rischio di finire nella fisicità e di cercare
qui di realizzare le proprie leggi sotto forma di cancro.
Anche la cellula cancerogena supera tutti i confini e tutti i limiti. Il cancro elimina
l’individualità dell’organo.
Anche il cancro si espande su tutto e non si ferma davanti a niente (metastasi).
Anche la cellula cancerogena non teme la morte.
Il cancro è amore su un piano sbagliato. Perfezione ed unione possono essere realizzate soltanto
nella coscienza, non dentro la materia, perché la materia è l’ombra della coscienza. Nell’ambito del
fuggevole mondo delle forme l’uomo non può realizzare ciò che appartiene ad un piano eterno.
Nonostante ogni sforzo, il mondo non sarà mai sano, senza conflitti e senza problemi, senza tensioni
e lotte. Non esisterà mai l’uomo sano, senza malattia e senza morte, e neppure l’amore che tutto
abbraccia, perché il mondo delle forme vive dei suoi confini. Tuttavia le mete possono tutte essere
realizzate se la coscienza è LIBERA. In questo mondo polare, l’amore porta ad imprigionare,
nell’unità porta ad effondersi.
Il cancro è il sintomo dell’amore frainteso. Il cancro ha rispetto soltanto del VERO amore. Simbolo
del vero amore è il CUORE: e il cuore è l’unico organo che non può essere aggredito dal cancro !
Tratto dal libro Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia.
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