Uno psichiatra parla della psichiatria e di Sai Baba – di S. Sanweiss

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LA SFIDA DI SAI BABA ALLA PSICHIATRIA MODERNA

di S. Sandweiss – Psichiatra di Los Angeles

Sono ormai passati tre anni e mezzo dal mio primo incontro con Sai Baba. Io sono uno psichiatra
nordamericano; ero andato in India con l’intenzione di studiare di prima mano la psicologia delle
religioni . . . ed eccomi di ritorno, sconvolto dall’atmosfera di mistero della quale avevo sentito
circondata una personalità che sfuggiva ad ogni mia comprensione. Sentivo in Sai Baba un’immensa
sfida sia contro le mie convinzioni di uomo, sia contro i concetti basilari della scienza su cui si
fonda la mia professione. Mi trovavo davanti ad una contrapposizione di fondo a tutti i miei valori
ed al mondo delle mie convinzioni scientifiche; davanti a qualcosa di diametralmente opposto al modo
con il quale ero stato abituato a considerare la realtà. Come psichiatra, influenzato da
quell’insieme di concetti che dà forma alla psichiatria moderna, sentivo che Sai Baba costituisce
un’imponente ricusazione di tutti i fondamenti teoretici delle scienze in generale e della mia
professione in particolare.

Quali furono le cause di questa mia reazione? La prima e più ovvia era la ferita al mio ben radicato
senso della realtà che è poi quello dell’uomo comune, sia o no uno psichiatra.

I miracoli di Sai Baba, gli incredibili poteri che possiede, sono qualcosa di inammissibile secondo
il concetto che noi abbiamo della realtà.

Per la scienza moderna sono reali e degni di studio solo i fenomeni che possono essere percepiti dai
sensi, pesati e misurati con gli strumenti; ma davanti alla realtà di Sai Baba lo scienziato
occidentale si trova in dimensioni che travalicano smisuratamente la sfera dei sensi, alla deriva in
mari del tutto ignoti.

È terribilmente difficile, almeno per molti di noi, credere che Egli possa creare oggetti, traendoli
dal nulla; che possa materializzare della Vibhuti (la Sua misteriosa e fragrante cenere sacra) su di
un suo ritratto appeso alla parete della casa di un Suo devoto, in California, a 20.000 chilometri
dal luogo dove Egli si trova. Non riusciamo ad ammettere i Suoi poteri di chiaroveggenza; la
guarigione istantanea di ogni genere di malattie per mezzo della sola espressione della Sua Volontà.
Non è facile pensare che Egli possa assumere a volontà altre forme, o abbia la facoltà della
bilocazione, anche a grandi distanze. Di fatto si ritiene che Egli sia onnipresente, onniveggente o
onnipotente. Si tratta di casi ampiamente documentati, che includono financo la resurrezione di
persone morte. Tutto ciò sfida in modo totale l’intero concetto della ‘realtà’ sul quale si basa
tutta la scienza occidentale moderna.

La nostra visione moderna e scientifica della realtà esclude, nella maggior parte dei casi, la
credenza e la fede in un ordine divino cosciente ed amoroso, con il quale noi possiamo sviluppare
una relazione personale ed intima. Molti di noi sono del tutto incapaci di vedere ciò che i saggi ed
i santi di tutte le epoche hanno insegnato: che tutto il creato è una grandiosa e miracolosa
manifestazione della volontà divina, e che Dio è presente in ogni nome ed in ogni forma. In effetti,
oggi, in questa nostra distorta “dies novissima” delle tenebre, il darsi l’etichetta di agnostico, o
di ateo, è una specie di “status symbol” e si suppone dimostri che si possiede una visione chiara e
moderna della realtà.

Oggi la psichiatria, così come ce la propinano nei corsi di insegnamento e di pratica, è confinata
in questa ristretta visione della realtà.

Molti psichiatri prendono le loro distanze dall’argomento della religione e spesso ritengono che i
principi e le pratiche religiose siano nocive alla salute mentale. Forse, anche a causa di
quest’oscurità, di questa limitazione della coscienza, Sai Baba è venuto, proprio in questi tempi, a
palesare al mondo, con la più audace chiarezza, l’immensa realtà della vita spirituale, e per
infonderci fede affinché ci dirigiamo verso mete più alte.

Quale dimostrazione più evidente può occorrere, per dimostrarci che l’universo non è che una
manifestazione della volontà divina, che vedere la Vibhuti fluire liberamente ed inesauribilmente
dalla palma della mano di Sai Baba? In qual modo più concreto può essere data una tale lezione? Con
John Hislop, un devoto della California, Baba parlò così dei Suoi poteri creativi:

“Essi appartengono all’illimitata potenza di Dio e non sono affatto poteri siddhici, come quelli di
uno Yogi, o di un mago. Il potere di creare non è affatto il prodotto di una facoltà sviluppatasi
con l’esercizio, o in qualche altro modo: è connaturata. Lo Swami crea un oggetto nello stesso modo
col quale ha creato l’universo. Talora, oggetti sono portati qui, dal luogo dove si trovano; e qui
non c’è collaborazione di entità invisibili. Il Suo Sankalpa, la Sua volontà divina, porta
quell’oggetto in un istante. Egli è dappertutto”.

Anche se Sai Baba traduce queste verità essenziali in esperienza chiara e concreta, la psichiatria
in generale può trovar difficile accettarle. Anche se questa nostra scienza ha portato un po’ di
pace e di felicità ad innumerevoli vite, essa mostra la sua più lampante debolezza nell’incapacità
di vedere nella vita una dimensione spirituale e nella sua riluttanza ad includere i principi
spirituali nel suo corpo di conoscenze. In effetti, il più della teoria e della pratica psichiatrica
riflette una visione della realtà che esclude quasi del tutto la possibilità che la nostra vera
identità possa trovarsi oltre il tempo e lo spazio e che il nostro vero centro si trovi in uno stato
incorporeo di puro amore e felicità.

Nella psichiatria moderna non riesco a trovare alcun concetto che possa essere identificato con
quello di atma (San Paolo apostolo distingueva tra ‘corpo’, ‘anima’ e ‘spirito’; quest’ultimo può
farsi corrispondere ad atma ma la teologia posteriore al tomismo ha tralasciatolo ‘spirito’ e ormai
parla solo di ‘anima’).

La maggioranza degli psichiatri, infatti, identificano la persona, l’Io, con il corpo, le emozioni e
la mente. Sai Baba insegna che queste sono solo le componenti dell’io minore.

Gli psichiatri invece affermano volentieri che “Dio è fabbricato dall’uomo e la fede in un sé
superiore è una difesa contro le emozioni”.

Generalmente, gli psichiatri non credono in un ordine di realtà spirituale che trascende i sensi; di
conseguenza, nei loro obiettivi terapeuti ci danno un’importanza esclusiva ai sensi ed alle
emozioni. Secondo loro, certi elementi ovvi del sé inferiore vengono esaltati e diverrebbero la
struttura dell’adorazione. Questa posizione è estremamente pericolosa ed in questo articolo desidero
mettere a fuoco i rischi che essa comporta.

Anzitutto, vorrei che fosse ben chiaro che non ho alcuna intenzione di distruggere o di negare la
psichiatria. Rispetto molto questa scienza, che considero una gran parte della mia mentalità, e
ritengo che il voler bene alla gente e prenderne cura, che è compito di questa professione, ha dato
pace a moltissime anime turbate. Può darsi che qualche collega mi criticherà perché dipingo un
quadro tanto deprimente, ma non è questa la mia intenzione. La mia intenzione è piuttosto quella di
mettere in evidenza ciò che di troppo debole vedo nei principi-base della psichiatria moderna e nel
modo di praticarla, affinché sia più pronto ed efficace il loro riesame.

Cerco di aiutare e non solo di criticare. Mi permetto di criticare in base ad un’affermazione che
Sai Baba fa nel Suo Prema Vahini: “Il combustibile di prem (Amore) porta il dono di shanthi
(Pace)… e perciò prem dev’essere coltivato. Come? Con due metodi: anzitutto considerate sempre
minimi e trascurabili gli errori altrui. Secondo: considerate i vostri difetti ed errori, per
piccoli che siano, come grossi, e siatene dolenti e pentiti.” È con questa disposizione d’animo, e
sentendomi uno con la psichiatria, che mi prendo la libertà di ingigantire i miei difetti.

La psichiatria moderna tende a sopravvalutare le emozioni. Nel campo della spiritualità è invece ben
noto che l’attaccamento ai sentimenti porta sempre più in basso nel mondo della dualità e quindi
nella sofferenza. Eppure molti psichiatri confondono le pratiche spirituali monistiche
(non-dualistiche), che implicano un distacco dalle emozioni, secondo un codice morale di
autocontrollo e di disciplina che include l’abbandonarsi a Dio, con qualcosa di repressivo, che
sarebbe, di fatto, un diniego patologico della propria identità di base. Identità che per
definizione sarebbe da ritenersi primariamente emozionale.

È qui che la Presenza di Sai Baba assume il valore di una sfida e può far luce nel campo della
psichiatria. In questo campo occorre eliminare ogni confusione ed ogni malinteso sulla spiritualità
e sulle verità fondamentali. La nostra professione, che si distingue per la consapevolezza dei
pericoli rappresentati dai sentimenti repressi, deve anche arrivare a riconoscere i pericoli di un
attaccamento smodato ai sentimenti, ed il fatto che tali attaccamenti giungono a troncare ogni
possibilità di crescita spirituale.

È facile a tutti noi vedere il caos che risulta dall’identificazione che la gente fa di se stessa
con i propri sentimenti e con le proprie emozioni, e dal compiacimento che essa ha per il solo mondo
dei sensi. Sono eccessi troppo largamente osservabili nella psichiatria attuale, in tanti modi, e
perfino nella vita privata degli stessi psichiatri. Come ho detto poc’anzi, in un certo strano modo
gli psichiatri sono praticamente istruiti a diventare agnostici od atei.

Forse, a questo atteggiamento irreligioso, ed al conseguente senso di profondo vuoto interiore, può
esser imputata la proporzione di suicidi, eccezionalmente alta fra gli psichiatri, nonché le
depressioni, le difficoltà matrimoniali ed i divorzi, tanto comuni nel nostro gruppo. Si nota anche
spesso tra di loro l’apparizione di idee e di teorie insulse, strane ed in certi casi del tutto
strampalate, che paiono sfidare la ragione ed il buon senso più ovvio.

Che dire dei pazienti? Anche loro, spesso, si danno a venerare le emozioni. Ho visto più di un
paziente farsi coinvolgere in gruppi sensativistici, o in altri metodi di psicoterapia e arrivare
ben presto alla convinzione che è più che mai importante vivere di sensazioni. Capita che una donna,
reduce da una di queste sedute, dichiari al marito, tornato a casa dopo aver lavorato otto o dieci
ore, che lo trova noioso (perché non può star dietro al nuovo io avventuroso che si è ritrovata), e
gli dice chiaro e tondo che ne ha abbastanza di restare legata al suo lavoro di moglie e di madre di
quattro figli. “Io me ne vado con il capogruppo”, disse una moglie al marito, e, prima di essersene
accorta, ebbe la sua avventura con il seguito di un divorzio . La rottura dell’unità familiare, con
il dolore ed il vuoto che ne conseguono per la vita dei figli giovani, sono traumi che indeboliscono
la nostra società, la quale non è in grado di porvi un freno.

Esiste nella società un settore il cui principio morale centrale è “che vada un po’ tutto come deve
andare”, e “fa quello che ti pare”. Quando udii per la prima volta Sai Baba dire: “Non è importante
che facciate quello che desiderate, ma invece che impariate a fare quello che dovete”, sulle prime
ne fui urtato perché questo mi pareva colpisse qualcuna delle mie credenze più importanti e
indiscusse. Come mi trovavo lontano dal giusto per sentirmi urtato da una simile verità! E quanto
lontana né è tanta parte della società americana e della comunità degli psichiatri !

La psichiatria nel suo insieme ha una sua responsabilità verso la società. Per molti essa è
diventata una specie di religione e, in generale, i principi della psichiatria sono diventati quasi
un codice morale. Qui sta il grande pericolo; certi atteggiamenti psichiatrici, utili in certe e ben
definite situazioni patologiche, sono erroneamente accettati come norma di condotta da estendersi a
tutte le circostanze ed a tutte le persone. Per esempio, nella sua situazione di terapeuta, lo
psichiatra può dover rinunciare ad una parte dei suoi giudizi di valore e di morale, al fine di
creare un ambiente di permissività quasi totale, nel quale il paziente possa rendersi cosciente ed
esprimere tutti i suoi sentimenti e desideri repressi. Fino ad un certo punto ciò può essere utile a
livello terapeutico, ma se si adotta questo codice etico di permissività e di eccesso di indulgenza
nella società in generale, si corrono pericoli enormi.

Non mancano certo le prove che dimostrano come questo eccesso di indulgenza porta al caos sociale.
Le distorsioni morali, sempre latenti nella società, finiscono con l’esaltare, per esempio, ogni
desiderio ed ogni fantasia relativi al sesso, alla promiscuità, alla pornografia, alla prepotenza,
all’aggressività ed alla violenza.

Il mondo pare oggi sull’orlo della pazzia. Una metà della sua popolazione muore di fame; ogni giorno
assistiamo a sparatorie nelle strade, a suicidi e ad attacchi terroristici. Le più grottesche
ferocie e la rapina della terra sono praticate da noi come sistema di vita. Ci troviamo assurdamente
presi dalla passione per le armi e per la guerra, eppure siamo preoccupati della nostra sicurezza.
Invece di diventare padroni di noi stessi in modo da facilitare l’ordine e lo sviluppo della
coscienza umana, diventiamo sempre più schiavi delle nostre energie emozionali e mentali, e siamo
spinti da ogni parte dalla bramosia di gratificare i nostri sensi. Sono convinto che la psichiatria
deve prendere le sue gravi responsabilità in questa situazione tumultuosa.

Benché molti psichiatri diranno che una visione così distorta e generalizzata dei principi della
psichiatria da parte dell’uomo della strada è un grossolano errore di comprensione, ritengo che la
psichiatria stessa ha contribuito a questa distorsione, in quanto per principio non crede in una
dimensione della realtà che trascende i sensi e, come risultato, spinge alla sopravvalutazione dei
sensi e delle emozioni.

La scienza psichiatrica dovrebbe sviluppare un maggior senso di responsabilità in questo campo, e
contribuire a stabilire un codice morale chiaramente definito e dei modi di comportamento giusti, se
vogliamo che la società e l’uomo sopravvivano. Concetti morali e spirituali che ci impongano di
dirigere la nostra vita con disciplina, senso di responsabilità e valutazione dell’importanza di
superare i nostri desideri e le nostre voglie egoistiche al fine di raggiungere mete superiori per
noi e per il bene dell’umanità: questi concetti devono essere proclamati a gran voce dalla scienza
psichiatrica. Troppi psichiatri si sono coperti troppo a lungo della maschera dell’osservatore
impassibile che non giudica.

Sai Baba sfida questo atteggiamento egoico che molti di noi psichiatri sviluppiamo in noi stessi: la
convinzione di poter veramente comprendere la natura umana e curare il prossimo con le nostre sole
forze. La Sua sfida è volta contro l’opinione distorta che quello che agisce è il nostro piccolo
‘io’, e contro l’identificazione errata del nostro ‘vero’ io con la mente.

Per fare un esempio, io rimanevo colpito, nei primi anni della professione, dal fatto che tanti
psicoanalisti fossero così cerebrali ed apertamente intellettuali nei loro scritti e nei discorsi ai
congressi, da pretendere di comprendere e definire la natura umana mediante concetti meccanici, come
se si trattasse di un’automobile.

Già dall’inizio dei miei studi dubitavo di questa capacità della mente di conoscere, di sapere.

Comunque, molti analisti ci provavano; ed io rimpiango la fatica ed il tempo perduto per digerirmi
tante pagine di arido materiale di letteratura professionale. Mi misi a cercare invece notizie sui
mistici, sul Buddhismo Zen ed altre dottrine spirituali nelle quali ricorre la ferma asserzione che
i livelli superiori di realtà non possono assolutamente essere raggiunti dalla mente. La mente, per
queste dottrine, è un ostacolo da superare e trascendere per poter vedere più a fondo entro la
propria natura. La mia attrazione per alcuni concetti orientali, quale quello di atma (il vero Sé,
l’anima, il Divino di ognuno; immortale, immutabile, infinito, eterno) e quello di moksha
(liberazione dall’illusione, dal ciclo delle nascite e delle morti), rifletteva la mia speranza e la
mia intuizione che il sé si estende oltre la mente, che la nostra vera natura si estende al di là
dello spazio e del tempo.

Un confronto tra il processo psicoanalitico della libera associazione (che viene in mente senza
censurare nulla) e la pratica della meditazione, che è di origine Orientale, mette in evidenza in
modo concreto le differenze tra l’oriente e l’occidente nell’atteggiamento e nell’approccio verso la
mente ed il sé. Entrambi i procedimenti hanno per scopo la conoscenza della nostra più profonda
natura, ed in tutti e due l’elemento centrale è il nostro renderci consci di essere osservatore e
testimone; ma per ragioni differenti.

Nella libera associazione ci si mette nella posizione di osservatore con una finalità ben
determinata, quella di osservare i pensieri e le emozioni al loro germinare nella coscienza. Si
ritiene che questi pensieri e questi sentimenti abbiamo importanza perché finiscono per mettere in
evidenza dei conflitti sotterranei, i quali, una volta trovati, possono esser risolti; perciò si
cerca di osservarli e di seguirli. La meditazione, invece, che è solo un renderci consci del proprio
sé in qualità di testimone, può essere fine a se stessa. L’esperienza di focalizzarci nella piena
consapevolezza dell’ora e qui (dell’Eterno Presente) ci può portare in una più profonda esperienza
della nostra vera natura. Si crede che la meditazione ci conduca oltre la mente, fino al punto dove
possiamo vedere passare pensieri e sentimenti senza essere indotti a prestar loro attenzione ed a
seguirli.

Se della mente si deve fare qualche uso, sarà solo perché la volontà dell’osservatore la diriga
verso un’esperienza spirituale interiore, come quella che ci dà lo sgomento davanti al l’immensità
del creato, oppure un sentimento di amore e di pace che tutto abbraccia. Le tecniche sono molte: la
ripetizione del nome di Dio, il cercare di visualizzare la luce, e molte altre; ma sono tutte
tecniche volte a controllare la mente e che portano alla convinzione che al centro della nostra
identità si trovi il divino.

Restando in contatto con il proprio ‘io’ come testimone, e con un aspetto del divino, si raggiunge
finalmente quello stato nel quale chi osserva e l’oggetto osservato, l’io ed il ‘quello’, si fondono
a formare una sola cosa. A questo punto il significato profondo del grande detto Orientale asi (Quello sei tu)> può finalmente divenire un’esperienza pratica, e si entra in quella pace ed in
quella calma che è propria della ‘comprensione’ . Per contro, se il paziente che sta facendo ‘libera
associazione’ sul lettuccio dello psicoanalista cade in uno spazio di grande pace e quiete, lo
psicoanalista pensa che si è creata un’ostruzione al libero flusso del materiale psichico, e cerca
di riportare il paziente all’osservazione di pensieri e sentimenti .

Sai Baba ha detto: “Lo scienziato guarda al di fuori, e dice sempre: ‘Che cos’è questo ? ‘ (questo,
ciò che può essere percepito dai sensi, o che esiste nel mondo delle emozioni e può essere afferrato
dalla mente). Invece il santo sta sempre guardando verso l’interno, e la sua domanda è ‘che cosa è
Quello ? ‘ (ciò che sta oltre i sensi, oltre le emozioni, oltre l a presa della mente)”.

Questa identificazione dell’individualità umana con la mente, ed il valore che alla mente dà lo
psichiatra occidentale, porta ad un atteggiamento egoistico rispetto alla propria collocazione nel
processo della terapia. La sua presunta capacità di comprendere appieno la natura umana e di curare
la gente è una forma di illusione ed una fonte di disordine. La presenza di Sai Baba capovolge del
tutto la situazione. Basta vedere la Sua Realtà, che oltrepassa tutto ciò che il nostro livello di
coscienza può comprendere, od afferrare, per sentirci umili, per obbligarci ad ammettere quanto poco
noi sappiamo. Invece di rimanere con il senso del proprio ego, si resta con un’impressione di
sgomento e di mistero nei confronti dell’universo ed un atteggiamento di devozione verso Dio, e si
riconosce che in realtà Colui che ‘fa’ è Dio.

In America si sta diffondendo ovunque, ed anche nel campo della psichiatria, una richiesta di metodi
istantanei, di panacee ad azione immediata che permettano a chiunque di poter andare in samadhi da
un giorno all’altro, mediante una certa pratica mistica o con qualche magia. Ho visto troppe teorie
e pratiche nuove saltar fuori, tutti i giorni, nella psichiatria, ad offrire cose totalmente
contraddittorie. Ciò dimostra che noi speriamo sempre di trovare cure magiche con le quali ottenere
l’impossibile.

È veramente consolante vedere come Sai Baba affronta questa situazione assurda. Non promette affatto
che la strada sarà facile, rapida e indolore; ma vuole che tutti ammettiamo che in fondo alla nostra
anima c’è qualcosa di vero; e che dobbiamo diventare pazienti, perseveranti e costanti. “Chi va
piano va sano e va lontano”; è davvero consolante che Baba ci torni ad insegnare una verità vecchia
quanto il mondo sul giusto modo di vivere, sul dovere e sulla disciplina.

Il sistema morale che Egli propugna è stato insegnato, nei millenni, dai saggi e dai santi, ed è
davvero eterno. È valido ora come lo è sempre stato, e questa stessa caratteristica ne dimostra la
verità: la sua invariabilità nel tempo. Anche se le promesse di cure istantanee e lo stile roboante
di personalità minori ci possono attrarre per un istante, finiamo sempre col capire la verità di
quanto dice Sai Baba: che la Via dello sviluppo spirituale richiede davvero un lungo lavoro e
sofferenza. In un discorso pubblicato in Sanàthana Sàrathi nell’agosto del 1974, Baba diceva:

“Credete che vi metterei davanti al dolore, se non ce ne fosse una ragione? Aprite il vostro cuore
al dolore come ora fate per il piacere. Perché è la Mia volontà che l’ha forgiato per il vostro
bene. Accoglietelo come una sfida, non rifuggite da esso. Cercate dentro di voi e troverete la forza
di sopportarlo e di trarne beneficio. Non date retta alla vostra mente, perché ‘mente’ è sinonimo di
‘bisogno ‘… ed il Mio piano è quello di togliervi dalle pene di bisogni insoddisfatti per
ascoltare la Mia voce, la quale, una volta udita, dissolve l’ego e, con esso, la mente… Vi tratto
come se facessi un dolce: vi impasto, vi torco, vi batto e vi cuocio. Vi faccio annegare in lacrime,
vi brucio di singhiozzi. Vi rendo dolci e croccanti, faccio di voi un’offerta degna di Dio. Sono
venuto per riformarvi; il mio progetto è di trasformarvi in sàdhak vittoriosi, e non vi lascerò
finché l’abbia fatto. Anche se devierete prima di ciò, io non vi lascerò scappare, non vi mollerò. “

Poi c’è il messaggio d’amore di Sai Baba. Troviamo qui forse la sua più grande potenza e il dono più
profondo che fa a noi. Egli dice: “Comincia il giorno con amore, riempi il giorno d’amore, e finisci
il giorno con amore; questa è la via verso Dio. ” E dimostra questo messaggio centrale e più
profondo col viverlo nella Sua vita. “La mia vita è il Mio messaggio”, dice. E la Sua vita è
veramente un’espressione miracolosa di una corrente d’amore costante e senza fine, che prende la
forma della gentilezza, dell’affettuosità e della protettività per tutti. Sai Baba ci assicura che
tutti noi siamo, nel nostro centro, pura gioia ed amore; le stesse identiche qualità che vediamo
costantemente in Lui.

Il vedere ed il partecipare a questo amore fu la massima svolta della mia vita. Già nella mia prima
visita a Baba mi accorsi che la psichiatria moderna è grossolanamente limitata nella comprensione di
questo tipo di amore. L’amore che io percepii in Sai Baba si estende molto oltre i confini della
psichiatria.

Per lo psichiatra, il quale crede che la natura umana sia fondamentalmente animalesca nel suo
nucleo, motivata essenzialmente dal principio piacere-dolore e dalla necessità di qualche forma di
autogratificazione, la specie di amore disinteressato di Baba è una rivelazione impressionante.
Infatti in Sai Baba troviamo verificata l’asserzione che noi, nel nostro centro, siamo
essenzialmente amore . L’amore nella sua forma più pura è ben definito come la scintilla divina che
è il nostro stesso centro; è l’essenza della nostra identità, la manifestazione della nostra più
vera natura la quale, come la coscienza, si può espandere finché abbraccia tutto.

Dopo la mia prima visita a Sai Baba, cominciai a sentirmi risvegliare di dentro, come se un centro –
già un tempo familiare, ma chiuso, -si stesse aprendo, ed io riprendessi conoscenza di una parte di
me dimenticata da tempo. Vidi che era un’esperienza di devozione e cominciai a chiedermi se un tale
centro non si trovi in tutti noi, dormiente, in attesa di un risveglio dovuto a qualche esperienza
spirituale e personale.

Questo risveglio, questo sbocciare, fu per me la fonte di una grande gioia, e con questa venne un
crescente sentimento d’amore per Baba e per tutto il mondo in generale. Mi chiedevo se stessi
assistendo a qualcosa della dinamica dell’amore che non mi era mai stato accessibile prima nel campo
della psichiatria. Da allora compresi che questa esperienza di devozione verso Dio che sgorga nel
cuore dell’aspirante, è la forza più grande nella sua vita, una fonte di immenso e profondo
significato dalla quale sorge la più profonda esperienza d’amore .

In un Suo messaggio agli Americani del 1972, Baba descrive il meccanismo per il quale ci si fonde
con l’assoluto universale. Egli scrive: ” Voi, come corpo, mente e psiche siete un sogno, ma quello
che realmente siete è essenza, conoscenza, felicità (Sat Cit Ananda). Voi siete il Dio di questo
universo. Voi state creando l’intero universo e lo portate in voi. Per riguadagnare l’individualità
infinita ed universale, deve andarsene quella misera e piccola prigione che è l’individualità
limitata.

La Bhakti (la Devozione) non è pianto, né alcun ‘altra condizione negativa. È il vedere il tutto in
ogni cosa che vediamo. È il cuore che giunge alla meta. Un cuore puro cerca oltre l’intelletto;
diviene ispirato. ” Qui Baba addita una verità spirituale centrale riguardo al significato di
devozione che è tanto necessaria affinché nasca l’amore; il suo significato è qualcosa che la
psichiatria moderna sbaglia grossolanamente nel non volerlo interpretare; un significato di cui è
quasi del tutto ignorante. La Presenza di Sai Baba confonde ed infrange codesta ignoranza.

La contrapposizione fondamentale agli scienziati ‘comportamentalisti’ occidentali è la stessa
dappertutto, in ogni caso e per ogni persona. È una sfida all’oscurità, Egli è qui per portare la
luce nelle nostre vite. La Sua missione è di trasformare gli scienziati ed il resto della gente in
ricercatori spirituali che riconoscano la realtà di Dio, e che lavorino per prendere coscienza
pratica di Dio. In risposta alla sfida di Sai Baba, io ritengo che il campo della psichiatria si
farà spirituale. Gli psichiatri saranno consci del fatto che la mèta finale della psichiatria è la
stessa della religione: trovare Dio, l’Atma dentro di noi, e trovarla per mezzo dell’amore.

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