12 febbraio 2010
La capacità di immergersi nella meditazione, fino al punto di pensare di essere in un altro mondo e
non rendersi conto del tempo che passa, la disponibilità a sacrificarsi per un ideale, la sensazione
di far parte di un tutto, la fede nel trascendente e nelle esperienze extrasensoriali.
Uno studio italiano, pubblicato sulla prestigiosa rivista Neuron, ha individuato le aree del
cervello il cui funzionamento potrebbe spiegare la tendenza alla spiritualità ovvero l’attitudine
dell’uomo a superare i confini spazio-temporali del corpo. La ricerca è stata condotta da Salvatore
Maria Aglioti (Università La Sapienza di Roma e Irccs Fondazione Santa Lucia), da Cosimo Urgesi e
Franco Fabbro (Irccs ‘E. Medea’ – Polo Friuli Venezia Giulia e Università di Udine), in
collaborazione con Miran Skrap (Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di
Udine).
I ricercatori hanno esaminato un campione di persone colpite da lesioni cerebrali notando un
cambiamento di quei tratti di personalità specificamente associati alla spiritualità e al senso di
trascendenza. In particolare, il confronto tra la sede della lesione e i cambiamenti di personalità,
ha mostrato che le aree maggiormente associate all’aumento di autotrascendenza, identificate con le
aree temporo-parietali dell’emisfero sinistro e destro che sono anche associate alla tendenza a
sentirsi fuori dal proprio corpo e di poter osservare sé stessi da un punto esterno dello spazio.
I risultati dello studio evidenziano come la spiritualità sia strettamente legata alla percezione
neurale del corpo. Di qui la considerazione che le differenze individuali nella spiritualità
potrebbero essere collegate a differenze nei livelli di attivazione di circuiti nervosi nei quali le
regioni lobo temporo-parietale rivestono fondamentale importanza. I ricercatori hanno ipotizzato che
alcune alterazioni patologiche nel funzionamento di tali circuiti potrebbero contribuire
all’insorgenza di disturbi del comportamento, legati alla rappresentazione del sé.
Questo aprirebbe la strada a nuovi trattamenti basati sulla modulazione di attività di specifiche
regioni cerebrali, per esempio tramite stimolazione magnetica transcranica, volti a ridurre le
alterazioni delle rappresentazioni del sé nei disturbi neuropsichiatrici.
Fonte: salute.agi.it
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