Upanishad secondo Sri Aurobindo 2

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Upanishad secondo Sri Aurobindo 2

Upanishad secondo Sri Aurobindo

– Seconda parte –

Le Upanishad sono la creazione di una mente rivelatrice e intuitiva e della sua illimitata
esperienza; la loro sostanza, la struttura, l’espressione, il linguaggio figurato e le dinamiche
sono determinanti e contrassegnati da questo carattere originale.

Queste verità supreme e onnipervadenti visioni di unità, del Sé e di un essere divino universale
sono proiettate in frasi concise e monumentali che le portano immediatamente di fronte alla visione
dell’anima e le rendono presenti e imperative per la sua aspirazione e la sua esperienza e sono
espresse in brani poetici pieni di potere rivelatore e di una concezione suggestiva che scopre
l’intero infinito attraverso un’immagine finita.

L’Uno è la rivelato ma ha anche dischiuso i suoi innumerevoli aspetti, e ciascuno guadagna pieno
significato attraverso l’ampiezza dell’espressione e trova, come in una spontanea autoscoperta, il
suo posto e la sua coordinazione attraverso l’illuminante esattezza di ogni parola e dell’intera
frase.

Le più vaste verità metafisiche e le più sottili distinzioni dell’esperienza psicologica sono
raccolte all’interno del movimento ispirato e rese immediatamente chiare per la mente che osserva e
colmate di infinite suggestioni per lo spirito che conosce.

Esistono frasi particolari, singoli distici, brevi passaggi che contengono in se stessi l’essenza di
una vasta filosofia e tuttavia ciascuno di essi viene pronunciato come un lato, un aspetto, una
parte dell’infinita autoconoscenza.

Tutto è di una concisione raccolta e ricca di idee e tuttavia perfettamente lucida e luminosa, tutto
di una infinita compiutezza.

Un pensiero di questo genere non può seguire il lento, prudente e prolisso sviluppo
dell’intelligenza logica.

Il brano, la frase, il distico, il verso e persino il mezzo verso segue quello che procede con un
significato inespresso, un silenzio che echeggia tra loro, un pensiero che viene trasmesso in una
suggestione totale ed è implicito alla cadenza stessa ma che la mente è lasciata libera di elaborare
a proprio vantaggio, e questi intervalli di silenzio significante sono ampi, la cadenza di questo
pensiero come i passi di un Titano che cammina tra rocce distanti su acque infinite.

Si trova una perfetta totalità, una estesa correlazione di parti tra loro armoniche nella struttura
di ogni Upanishad; ma il tutto è trattato al modo di una mente che vede in uno sguardo messe di
verità e si arresta per estrarre solo la parola necessaria da un silenzio compiuto.

Il ritmo ne verso o la cadenza della prosa scolpiscono l’idea e l’espressione.

Le forme metriche delle Upanishad sono costituite da quattro semiversi ciascuno chiaramente
definito, versi che sono generalmente completi e dotati di senso, semiversi che presentano due
pensieri o parti distinte di un pensiero che sono unite o si completano reciprocamente, e la cadenza
sonora segue un principio corrispondente, ciascun passo conciso e marcato della chiarezza del
proprio intervallo, colmo di ritmi echeggianti che permangono a lungo vibrare nell’ascolto
interiore; ciascun passo è come un’onda dell’infinito che porta in se stessa interi la voce e il
suono dell’oceano.

E’ un genere di poesia, parola della visione, ritmo dello spirito, che non è più stato scritto, ne
prima ne dopo.

Il linguaggio figurato delle Upanishad si è in larga parte sviluppato dal genere di linguaggio
figurato dei Veda e sebbene esso solitamente preferisca la svelata chiarezza di una immagine
direttamente illuminante, a volte esso usa gli stessi simboli in un modo che è profondamente simile
allo spirito e all’aspetto meno tecnico del metodo di quel simbolismo più antico.

E’ in larga misura questo elemento non più afferrabile dal nostro modo di pensiero che ha
sconcertato certi studiosi occidentali e li ha fatti affermare che queste scritture sono una
combinazione delle più alte speculazioni filosofiche con i primi goffi balbettii della mente bambina
dell’umanità.

Le Upnaishad non rappresentano uno scostamento rivoluzionario dalla mente vedica, dal suo
temperamento e dalle sue idee fondamentali, piuttosto una continuazione e uno sviluppo e in una
certa misura un ampliamento nel senso di una resa in aperta espressione di tutto ciò che fu tenuto
nascosto nel discorso simbolico dei Veda come un mistero segreto.

Esse iniziano a raccogliere il linguaggio figurato e i simboli rituali dei Veda e dei Brahmana e a
trasformarli in modo da esprimere un senso interiore e mistico che serve come una sorta di punto di
partenza psichico per la propria filosofia, più evoluta e più puramente spirituale.

Esiste un grande numero di passaggi specialmente nelle Upanishad in prosa che sono interamente di
questo genere ed azione, in un modo recondito, oscuro e persino incomprensibile per il pensiero
moderno, con il senso psichico di idee allora comuni nella mente religiosa vedica, la distinzione
tra i tre generi di Veda, i tre mondi e altri soggetti simili; ma, conducendo come fanno nel
pensiero delle Upanishad a più profonde verità spirituali , questi brani non possono essere scartati
come infantili aberrazioni dell’intelligenza privi di senso e di ogni rintracciabile rapporto con il
più alto pensiero nel quale essi culminano. Al contrario troviamo che essi possiedono un significato
sufficientemente profondo quando riusciamo a penetrare il loro significato simbolico.

Questo significato si mostra in una ascesa psicofisica a una conoscenza psicospirituale per la quale
noi useremmo oggi termini più intellettuali, meno concreti e immaginativi, ma che è ancora valida
per coloro che praticano lo yoga e riscoprono i segreti del nostro essere psicofisico e
psicospirituale.

Passaggi tipici di questo genere di espressione peculiare di verità psichice sono la spiegazione di
Ajatashatru del sonno e dei sogni o i brani della Prashna Upanishad sul principio vitale e le sue
azioni, o ancora quelli in cui l’idea vedica della lotta tra dèi e demoni è ripresa e guadagna il
suo significato spirituale e le divinità vediche, più chiaramente che nel Rig o nel Sama Veda, sono
caratterizzate e invocate per la loro funzione interiore e per il loro potere spirituale.

*

Le Upanishad abbondano di passaggi che sono ad un tempo poesia e filosofia spirituale, di chiarezza
e bellezza assolute, ma nessuna traduzione priva delle suggestioni e dei solenni e sottili e
luminosi echi di senso delle parole e dei ritmi originali, può dare alcuna idea del loro potere e
della loro perfezione.

In altri le più sottili verità psicologiche e filosofiche sono espresse in modo completamente
sufficiente senza mancare di una perfetta bellezza nell’espressione poetica e sempre in modo tale da
vivere nella mente e nell’anima e non essere semplicemente offerte alla comprensione intelligente.

C’è in alcune delle Upanishad in prosa un altro elemento di vivido racconto e tradizione che ci
restituisce, sebbene solo in brevi fugaci, il quadro di quella animazione e di quel movimento di
ricerca spirituale e di passione verso la più alta conoscenza che hanno reso possibili le Upanishad.

Le scene del mondo antico rivivono davanti a noi in alcune pagine, i saggi che siedono nei boschi
pronti ad ammaestrare chi si presenta, prìncipi e dotti Bramini e grandi proprietari terrieri alla
ricerca della conoscenza, il figlio del re nel suo carro e il figlio illegittimo della serva,
ricercando ogni uomo che avrebbe potuto portare in se stesso l’idea della luce e la parola della
rivelazione, le tipiche figure simboliche e personalità, Janaka e la sottile mente di Ajatashatru,
Raikwa del carro, Yoinavalka soldato della verità, calmo ed ironico, che prende con entrambe le mani
senza alcun attaccamento i beni del mondo e le ricchezze spirituali e lascia alla fine tutti i suoi
averi per peregrinare come un asceta senza casa, Krishna figlio di Devaki che udì una sola parola
del Rishi Gora e conobbe immediatamente l’Eterno, gli Ashram, le corti di re che furono anche
ricercatori e conoscitori spirituali, le grandi assemblee sacrificali dove i saggi si incontravano e
confrontavano la loro conoscenza.

Così noi vediamo come nacque l’anima dell’India e come scorse questo grande canto delle origini nel
quale essa si levò in volo dalla terra verso i supremi cieli dello spirito.

I Veda e le Upanishad non sono solo la bastevole sorgente della filosofia e della religione indiana,
ma di tutta l’arte e la letteratura indiana.

Fu l’anima, il temperamento, lo spirito ideale in essi formato ed espresso che costruì in seguito le
grandi filosofie, edificò la struttura del Dharma, testimoniò la sua eroica gioventù nel Mahabharata
e nel Ramayana, si intellettualizzò infaticabilmente nell’epoca classica della sua maturità,
produsse così tante intuizioni originali nella scienza, creò un così ricco fervore di esperienze
estetiche, vitali e sensibili, rinnovò la sua essenza spirituale e psichica nei Tantra e nei Purana,
si gettò nella magnificenza e nella bellezza delle linee e del colore, scolpì e fuse il suo pensiero
e la sua visione nelle pietre e nel bronzo, si riversò in nuovi canali di autoespressione nei
linguaggi successivi e ora dopo una lunga eclissi riemerge sempre identico nella diversità e pronto
per nuova vita e nuova creazione.

*

La fissata concezione fondamentale del Vedanta è che là esiste in qualche luogo – e non potremmo non
trovarla – accessibile all’esperienza o all’autorivelazione anche se negata alla ricerca puramente
intellettuale, una verità sola onnicomprensiva e universale nella luce della quale l’intera
esistenza si trova rivelata e chiarita nella sua natura e nel suo fine.

Questa esistenza universale, con tutta la moltitudine della sua realtà e la diversità delle sue
forze, è una in sostanza ed origine; ed esiste una quantità non conosciuta, X o Brahman, alla quale
essa può venire ridotta, perché da lui è originata e in lui e attraverso di lui persiste.

Questa quantità non conosciuta è chiamata Brahman.

Ma intanto i veggenti dell’antica India avevano completato, nei loro esperimenti e sforzi di
disciplina spirituale e di conquista del corpo, una scoperta che nella sua importanza per il futuro
della conoscenza umana oscura le intuizioni di Newton e Galileo; persino la scoperta del metodo
induttivo e sperimentale nella Scienza non è risultato così fondamentale; perché essi penetrarono
sino ai suoi processi ultimi il metodo dello yoga e attraverso il metodo dello yoga si elevarono al
culmine di una triplice realizzazione.

Essi compresero dapprima come una realtà l’esistenza, aldisotto del flusso e della molteplicità
delle cose, di quella suprema Unità e immutabile Stabilità che era stata sino ad allora ipotizzata
solo come una teoria necessaria, una inevitabile generalizzazione.

Giunsero a comprendere che Quello è la sola realtà e tutti i fenomeni non sono che le sue apparenze
e le sue sembianze, che Quello è il vero Sé di tutte le cose e i fenomeni non sono che le sue vesti
e i suoi ornamenti.

Essi impararono che Quello è assoluto e trascendente, perciò eterno, immutabile, indiminuibile e
indivisibile.

E guardando allo sviluppo passato del pensiero, compresero che questa era anche la meta alla quale
li avrebbe condotti il puro ragionamento intellettuale.

Poichè ciò che è nato nel tempo deve nascere e morire; ma l’Unità e la Stabilità dell’universo sono
eterne e devono perciò trascendere il Tempo.

Ciò che è nello Spazio deve crescere e diminuire, possedere parti e relazioni, ma l’Unità e la
Stabilità dell’Universo non sono diminuibili, non sono aumentabili, sono indipendenti dalla
modificazione delle proprie parti e non toccate dal mutarsi delle loro relazioni, e devono perciò
trascendere lo Spazio; e se trascendono lo Spazio non possono possedere parti; poiché lo spazio è la
condivisione della divisibilità materiale; la divisibilità deve perciò essere, come la morte,
un’apparenza e non una realtà.

Infine ciò che è soggetto alla Casualità è necessariamente soggetto al Cambiamento; ma l’Unità e la
Stabilità dell’Universo sono immutabili, identiche a ciò che furono negli eoni trascorsi e a ciò che
saranno negli eoni futuri e devono perciò trascendere la Casualità.

Questa fu dunque la prima realizzazione ottenuta attraverso lo Yoga, nityonityanam, l’Eterno Uno
nella moltitudine transitoria.

Allo stesso tempo essi compresero una verità interiore – una verità sorprendente; compresero che il
Sé trascendente e assoluto dell’Universo costituiva anche il Sé degli esseri viventi; anche il Sé
dell’uomo, l’essere supremo tra quelli che abitano il piano materiale sulla terra.

Il Purusha, l’ Io conscio nell’uomo che aveva sconcertato i Sankhyas, si è rivelato nella sua realtà
ultima esattamente identico a Prakriti, la sorgente apparentemente non conscia della realtà, la
non-coscienza di Prakriti, come molto altro, si è dimostrata un’apparenza, non una realtà, perché
dietro ogni forma inanimata una intelligenza conscia all’opera è, agli occhi dello yogi,
luminosamente autoevidente.

Questa fu dunque la seconda realizzazione ottenuta attraverso lo Yoga, cetanascetananam, la
Coscienza Una nella moltitudine delle Coscienze.

Infine alla base di queste due realizzazioni se ne trova una terza, la più importante per la nostra
umanità, cioè che il Sé trascendente in ogni uomo è così completo perché esattamente identico al Sé
trascendente dell’Universo; perché il Trascendente è indivisibile e il senso dell’individualità
separata non è che una delle apparenze fondamentali dalle quali la manifestazione dell’esistenza
fenomenica perpetuamente dipende.

In questo modo l’Assoluto, che sarebbe altrimenti aldilà di ogni conoscenza, diventa conoscibile; e
l’uomo che conosce il suo intero Sé conosce l’intero Universo.

Questa stupenda verità è per noi rinchiusa nelle due famose formule del Vedanta, “so ham”, Egli ed
io, e “aham brahma asmi”, io sono il Brahman, l’Eterno.

Basata su queste quattro grandi verità, nytonityanam, cetanascetanam, so ham, aham brahma asmi, come
su quattro possenti pilastri la suprema filosofia delle Upanishad ha eretto il suo fronte tra le più
lontane stelle.

“su gentile concessione di www.esonet.org

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