Uscite dalla “pozza” che vi siete scavati

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Uscite dalla “pozza” che vi siete scavati

Tratto da:
Jiddu Krishnamurti. LA RICERCA DELLA FELICITA’.

Traduzione di VINCENZO VERGIANI

Non so se, nel corso delle vostre passeggiate, avete notato uno stagno lungo e stretto accanto al
fiume. Deve essere stato scavato dai pescatori e non è collegato al fiume. Mentre quest’ultimo
scorre incessantemente, largo e profondo, lo stagno è torbido, perché non è collegato alla vita del
fiume e non contiene pesci. Le sue acque sono ferme, mentre il fiume, che scorre rapido, lì accanto,
è pieno di vita e di movimento.

Non pensate che gli esseri umani siano anch’essi così? Si scavano una piccola pozza separata dalla
corrente rapida della vita e in quella piccola pozza ristagnano e muoiono; ma, è proprio quella
stagnazione, quel declino, che chiamiamo esistenza. In altri termini, noi tutti desideriamo uno
stato di permanenza; vogliamo che certi desideri durino per sempre, vogliamo che i piaceri non
abbiano mai fine. Scaviamo una piccola tana e ci barrichiamo dentro con le nostre famiglie,
ambizioni, culture, paure, divinità, forme di culto, e lì moriamo, lasciando che la vita ci scorra
accanto – quella vita che è impermanente, in perenne mutamento, che è così rapida, ha insondabili
profondità, un’eccezionale vitalità e bellezza.

Avete notato che, se sedete in silenzio sulla riva del fiume, ne udite il canto – lo sciabordio
dell’acqua, il rumore della corrente? C’è sempre un senso di movimento, uno straordinario movimento
verso ciò che è più ampio e più profondo.

Ma, nella piccola pozza non c’è alcun movimento, la sua acqua è stagnante. E se osservate, vedrete
che è questo che la maggior parte di noi desidera: piccole pozze stagnanti di esistenza lontano
dalla vita. Affermiamo che questa nostra esistenza stagnante è giusta e abbiamo inventato una
filosofia per giustificarla; abbiamo sviluppato teorie sociali, politiche, economiche e religiose in
suo sostegno e non vogliamo essere disturbati perché, in definitiva, siamo alla ricerca di un senso
di permanenza.

Sapete cosa significa ricercare la permanenza? Significa volere che le cose piacevoli durino
indefinitamente e che quelle spiacevoli cessino al più presto. Vogliamo che il nome che portiamo sia
conosciuto e tramandato attraverso la famiglia e la proprietà. Vogliamo un senso di permanenza nei
rapporti, nelle attività, il che vuol dire che cerchiamo una vita durevole e continua nella nostra
pozza stagnante; non desideriamo alcun vero cambiamento, così abbiamo edificato una società che ci
garantisce la permanenza di proprietà, nome e fama.

Ma, vedete, la vita non è affatto così; la vita non è permanente. Come le foglie che cadono da un
albero, tutte le cose sono impermanenti, niente dura; il cambiamento e la morte sono inevitabili.
Avete mai notato quanto è bello un albero spoglio che si staglia contro il cielo? Tutti i rami sono
perfettamente delineati, e nella sua nudità c’è una poesia, un canto. Tutte le foglie sono cadute ed
esso attende la primavera. Quando questa arriva, riempie nuovamente l’albero della musica di molte
foglie, che a tempo debito cadono e vengono spazzate via dal vento; e questo è il cammino della
vita.

Ma, noi, non vogliamo niente del genere. Ci aggrappiamo ai nostri figli, alle tradizioni, alla
società, al nome che portiamo, alle nostre piccole virtù, perché desideriamo la permanenza; ecco
perché abbiamo paura di morire. Abbiamo paura di perdere le cose che conosciamo. Ma, la vita non è
quella che vorremmo; la vita non è affatto permanente. Gli uccelli muoiono, la neve si scioglie, gli
alberi vengono tagliati o abbattuti dalle tempeste, e così via.

Noi, però, vogliamo che tutto ciò che ci dà soddisfazione sia permanente; vogliamo che la nostra
posizione sociale e l’autorità che abbiamo sulle persone durino. Ci rifiutiamo di accettare la vita
così com’è veramente.

Il fatto è che la vita è come un fiume: procede incessantemente, sempre intenta a cercare,
esplorare, spingere, traboccare, penetrare ogni fessura con la propria acqua. Ma, vedete, la mente
non consentirà che le accada questo. La mente capisce che è pericoloso vivere in uno stato di
impermanenza, di insicurezza, e così si costruisce un muro attorno: il muro della tradizione, della
religione organizzata, delle teorie politiche e sociali. La famiglia, il nome, la proprietà, le
piccole virtù che abbiamo coltivato – sono tutti racchiusi dentro le mura, lontano dalla vita.

La vita è mobile, impermanente, e cerca incessantemente di infiltrare, di abbattere queste mura,
dietro le quali c’è confusione e infelicità. Gli dei all’interno delle mura sono tutti falsi dei, e
i loro scritti e le loro filosofie non hanno alcun significato, poiché la vita è al di là di essi.

Una mente che non abbia mura, che non sia gravata dal peso delle proprie acquisizioni, delle cose
accumulate, della conoscenza, una mente che viva senza tempo, senza sicurezza – per una mente
simile, la vita è una cosa straordinaria. Una mente così è la vita stessa, perché la vita non
conosce rifugio. Ma la maggior parte di noi desidera un rifugio: una casetta, un nome, una
posizione, tutte cose che affermiamo essere molto importanti. Chiediamo permanenza e creiamo una
cultura fondata su tale bisogno, inventando dei che non sono affatto dei, ma semplici proiezioni dei
nostri stessi desideri.

Una mente che ricerchi la permanenza è presto destinata a ristagnare; rapidamente si riempie di
corruzione e di decadenza, proprio come lo stagno lungo il fiume. Solo la mente che non ha mura, né
punti fermi, né barriere o rifugi, che si muove all’unisono con la vita, spingendosi sempre avanti,
incurante del tempo, esplorando, esplodendo – solo una mente simile può essere felice, eternamente
nuova, poiché è intrinsecamente creativa.

Capite di cosa sto parlando? Dovreste capire, perché tutto ciò fa parte di una vera educazione: se
ne afferrate il significato, l’intera vostra vita sarà trasformata, e il vostro rapporto con il
mondo, con il prossimo, con vostro marito o vostra moglie, assumeranno un significato totalmente
differente. Allora non cercherete più di realizzarvi attraverso qualcosa, rendendovi conto che la
ricerca dell’autorealizzazione porta solo dolore e infelicità. Ecco perché dovreste chiedere tutto
questo ai vostri insegnanti e discuterne fra di voi. Se lo comprendete, avrete cominciato a
comprendere la straordinaria verità di ciò che è la vita, e in quella comprensione c’è grande
bellezza e amore, il fiorire della bontà. Ma gli sforzi di una mente che ricerca una pozza di
sicurezza, di permanenza, possono solo portare all’oscurità e alla corruzione. Una volta
installatasi nella pozza, una mente simile ha paura di avventurarsi fuori, di cercare, di esplorare;
ma la verità, Dio, la realtà o quel che preferite, si trovano oltre la pozza.

Sapete che cos’è la religione? Non è nelle preghiere salmodiate, né nel compimento di un rito, né
nell’adorazione di dei di latta, o immagini di pietra, non è nei templi e nelle chiese, né nella
lettura della Bibbia, o della Bhagavadgita, non consiste nel ripetere un nome sacro, o nel seguire
qualche altra superstizione inventata dagli uomini. Nulla di tutto ciò è religione.

La religione è il sentimento di bontà, quell’amore che è simile a un fiume, vivo, eternamente in
movimento. In quello stato scoprirete che arriva un momento in cui ogni ricerca cessa del tutto; e
la fine della ricerca è l’inizio di qualcosa di totalmente differente. La ricerca di Dio, della
verità, il sentirsi completamente buoni – non il coltivare la bontà e l’umiltà, ma il cercare
qualcosa al di là delle invenzioni e dei trucchi della mente, il che significa sentire quel
qualcosa, vivere in esso, esserlo – quella è la vera religione.

Ma ciò è possibile solo se lasciate la pozza che vi siete scavati e vi gettate nel fiume della vita.
Allora la vita vi stupirà prendendosi cura di voi, poiché voi non ve ne prenderete più cura. La vita
vi porterà dove vorrà, poiché ne siete parte; non vi sarà alcun problema di sicurezza, di ciò che la
gente dice o non dice: e questa è la bellezza della vita.

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