Vacuità dell’esistenza inerente

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Vacuità dell’esistenza inerente

del Dalai Lama

Tratto da: Dalai Lama: “La mente illuminata” – Sperling & Kupfer

(Forse il più complesso principio della dottrina di Buddha [La
coproduzione condizionata], qui spiegato in modo superbo e semplice dal
Dalai Lama)

Qualsiasi fenomeno che appare reale e possibile, sia nel samsara sia nel
nirvana, ci sembra esistere di per sé ed essere effettivamente esistente.
Ma in tal caso potremmo riscontrare almeno una qualche base per il suo nome
o definizione. Inoltre dovrebbe esserci continuità tra il modo in cui i
fenomeni appaiono e quello in cui sono realmente. Invece non è così.
Infatti, una volta che li indaghiamo scopriamo che non sempre sono come
appaiono e questo dimostra che, sebbene si manifestino, sono del tutto
vuoti di natura inerente.

Quindi vuoti significa «vuoti di ogni esistenza intrinseca». Da questo
punto di vista allora si capisce perché ci riferiamo all’ultima verità,
quella in cui riconosciamo i fenomeni come privi di una loro propria
natura, con il termine di vuoto o vacuità.

Ma, come abbiamo visto, noi invece percepiamo le cose come se esistessero
in quanto tali. Sia che si tratti di esperienze interiori o di oggetti del
mondo esterno, ogni fenomeno ci sembra esistere proprio nel modo in cui lo
etichettiamo. Ma, se fosse così, più approfondiremmo la conoscenza dei
fenomeni più la loro vera natura ci apparirebbe chiara. Però accade
esattamente il contrario e alla fine del nostro esame dobbiamo addirittura
ammettere che non vi è nulla che possa essere esaminato. Ed ecco la prova
che le cose non sono quelle che ci appaiono.confutando, non è mai stata
trovata. I.a vera natura delle cose le fa apparire in quel determinato
posto, ma non si possono considerare come concretamente reali. E non perché
esistono fino a quando non le prendiamo in esame e diventano non esistenti
dopo che le abbiamo investigate!

C’è un verso ne «L’Ornamento della Chiara Realizzazione» di Maitreya che
recita: «In questo non vi è una sola cosa da rimuovere». Vale a dire che
quello che deve essere rifiutato, la vera esistenza dei fenomeni, non è una
proprietà presente all’inizio ma che in qualche modo sparisce attraverso il
ragionamento. Significa piuttosto che i fenomeni sono, e sempre sono stati,
dipendenti dalla loro autentica natura, cioè privi o «vuoti» di autonomia o
indipendenza. Se così non fosse non potrebbero nascere, dal momento che lo
fanno grazie a determinate cause e condizioni. Solo entità del tutto
autonome non dipendono da condizioni esterne.

Quindi l’autentica esistenza non è qualcosa che esiste e a un certo punto
viene eliminata. Le cose sono prive di una natura inerente, quello che
definiamo vacuità o aspetto ultimo non è qualcosa di nuovo che è stato
imposto dalla mente.

Il verso successivo del testo che abbiamo appena citato dice: «Né vi è la
minima cosa da aggiungere». Vale a dire che i due livelli di realtà,
relativo o convenzionale e assoluto o ultimo, non sono il risultato
dell’attività illuminata del Buddha o del karma di un individuo.
Semplicemente è il modo in cui le cose esistono.

Inoltre la mente che analizza cosa è reale, quando non si accontenta delle
mere apparenze, è una mente impegnata in una ricerca al livello assoluto o
ultimo. La potremmo chiamare mente assoluta. E una mente del genere
troverà la verità assoluta.

Tra i fenomeni che appaiono a una mente ordinaria, quello che sembra essere
reale a un livello ordinario lo chiamiamo verità relativa.

Quindi le cose, nonostante il modo in cui le percepiamo, sono vuote di una
propria intrinseca esistenza. Di conseguenza definiamo ogni fenomeno vuoto
(o privo) di natura inerente.

Ne «Il Sutra della Discesa al Lanka», il Buddha parla di sette diversi
modi in cui una cosa può dirsi vuota. Il settimo è quello in cui un
fenomeno è vuoto di tutto. L’esempio che porta è quello di un tempio senza
monaci. La «vacuità» del tempio è differente da ciò che è assente, vale a
dire i monaci. Il Buddha descrisse questa condizione come un’istanza di
vacuità inferiore.

Deve essere chiaro che non usiamo il termine vuoto nel senso che una
colonna è vuota al suo interno, come un vaso. Piuttosto intendiamo dire che
una colonna è priva di una sua intrinseca natura. A volte per descrivere
questa condizione si usa il termine vuoto di sé (in tibetano rang tong). Questa
parola significa appunto privo di natura inerente o intrinseca in contrasto
con l’essere vuoto di qualsiasi cosa oltre se stesso. Quando diciamo che un
fiore è privo di natura inerente non stiamo negando la realtà del fiore. Se
non esistesse ci sarebbe solo un’assenza: nessun seme per germogliare,
nessuna crescita e nessuno sbocciare, niente che ci comunichi il piacere di
vedere o annusare le sue foglie.

Vuoto di sé in relazione al fiore vuol dire che è privo di natura
inerente. Pensare che il fiore non esista del tutto sarebbe cadere in una
posizione estrema e nichilistica. Invece dobbiamo comprendere che qualsiasi
fenomeno dato si produce in dipendenza da altre condizioni ed è vuoto nel
senso che non possiede alcuna esistenza intrinseca.

Quindi, sia che si tratti di una sensazione o di un oggetto esterno,
dobbiamo sempre distinguere tra come le cose ci appaiono e come sono
effettivamente. Non potremo mai arrivare al cuore di alcun fenomeno che
prendiamo in esame. Non esiste niente di cui possiamo dire: «Eccolo, è
questo!»

Il modo in cui le cose esistono

Allora vogliamo dire che le cose semplicemente non esistono? No, esse
esistono, possono avere su di noi un effetto positivo o negativo. E allora
in che modo esistono? Tutto, a livello convenzionale, esiste nel senso che
svolge determinate funzioni. Ha delle proprie peculiarità e quindi gli
possiamo assegnare un nome. Esiste, ma questa sua esistenza non si basa su
una qualche forma di natura ultima o inerente. Ed è proprio questo il senso
del termine vuoto di sé: i fenomeni non possiedono alcun tipo di natura
inerente e intrinseca.

Vuoto di sé non significa non esistente, dal momento che i fenomeni
esistono nella misura in cui possiedono le loro specifiche caratteristiche.
Non stiamo parlando di mettere in discussione questo fatto. Se non
esistessero per niente non potremmo discutere se abbiano o meno una loro
natura inerente. Ma nonostante le cose possiedano una loro identità
individuale questo non significa che esistano in maniera intrinseca.

Allora potete dire in che modo esistono? Esistono unicamente in quanto sono
collegate a delle condizioni diverse da loro. Esistono solo perché vengono
etichettate o designate dipendentemente da altre cose. Sono
prodotte perché dipendono da altri fattori. Per questo in molti sutra
e tantra il
Buddha affermò che si ritiene che i fenomeni esistano solo in dipendenza da
altre cause e condizioni. E dal momento che non esistono in maniera
indipendente, il Buddha insegnò che tutti i fenomeni sorgono dipendentemente
e sono per natura vacui.

Nulla nell’universo nasce da solo o possiede una sua propria natura
inerente e il fatto che tutto nasca esclusivamente in relazione a
qualcos’altro è la prova che nulla sfugge al gioco delle cause e delle
condizioni che possono determinare i fenomeni in positivo o in negativo. Se
invece le cose possedessero una loro natura intrinseca, le cause e le
condizioni non le influenzerebbero in alcun modo. Ma dal momento che i
fenomeni mancano di una loro natura inerente vuol dire che dipendono da
cause e condizioni.

Secondo gli insegnamenti buddisti qualsiasi cosa, senza alcuna eccezione,
esiste solo in quanto collegata a determinate cause e condizioni. E tutte
le sue trasformazioni avvengono unicamente su queste basi. Lasciate che lo
ripeta ancora una volta: i fenomeni non nascono senza cause e condizioni,
non nascono grazie a un intervento esterno di qualcosa che sia
completamente differente da essi. Questa è la spiegazione che fornisce il
buddismo e che conduce alla conclusione che non vi è alcun Creatore del
mondo.

Gli insegnamenti affermano che dobbiamo investigare su come le cose
cambiano, in accordo a cause e condizioni, attraverso un quadruplice metodo
di ragionamento. In questo modo arriveremo alla fondamentale qualità o
intrinseca natura di ogni fenomeno, sia del mondo materiale sia dell’ambito
della coscienza.

Comunque qui non stiamo parlando della vacuità. Vi farò un esempio.
L’elemento terra è duro e solido mentre l’elemento aria è leggero e mobile.
Ognuno di essi possiede la sua peculiare natura, una serie di
caratteristiche individuali che non condividono tra loro. Ma quando le loro
qualità fondamentali si mescolano, provocano dei mutamenti che si spiegano
come risultato della loro reciproca interazione.

Ogni sostanza materiale ha le proprie potenzialità e quando si combinano
possono produrre cambiamenti, dar vita a differenti potenzialità e
interagire in modo positivo o negativo. La terra è dura e solida e, dal
momento che quella è la sua natura, avrà un particolare tipo di effetto. In
genere *ogni elemento possiede le sue qualità individuali, che gli
consentono di operare in un determinato modo. Quando si combinano insieme
cose che possiedono funzioni differenti, emergono nuovi potenziali.

Ora, quando esaminiamo un particolare oggetto, dovremmo essere ben
consapevoli delle sue caratteristiche. E dovremmo anche comprendere il suo
peculiare modo di funzionare e i cambiamenti che avvengono quando
interagisce con qualcos’altro.

Sulla base di questo approccio, se troveremo qualcosa che può esserci di
beneficio potremo vedere come raggiungerlo e, al contrario, potremo cercare
di evitare quello che pensiamo potrà danneggiarci. Dobbiamo sempre pensare
così. E tutto questo ci riporta al nostro discorso sulla felicità e la
sofferenza.

Naturalmente tutti vogliamo essere felici e non soffrire, tutti ne abbiamo
diritto. È una considerazione razionale; dopotutto abbiamo ogni ragione per
voler essere felici.

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