Verso il Tempio 5
di ANNIE BESANT
< VERSO IL TEMPIO >
(parte quinta e fine)
(PURIFICAZIONE – CONTROLLO DEL PENSIERO
LA FORMAZIONE DEL CARATTERE
ALCHIMIA SPIRITUALE
SULLA SOGLIA)
Traduzione di GINA MIGNANI
SULLA SOGLIA
Eccoci giunti davanti alle Porte d’Oro, quelle porte che ognuno può aprire,
quelle Porte che una volta attraversate, lasciano penetrare l’uomo in questo
Tempio grandioso, dal quale – una volta entrati – non si esce piú. Questa
sera cercheremo di farci un’idea dello stato dell’aspirante che si avvicina
alla Soglia, che spera di entrare ben presto nel Tempio e di unirsi alle
file di coloro, che si sono appartati nell’intento di servire il mondo e di
portare aiuto all’evoluzione della razza per affrettare il progresso
dell’umanità.
Se per un momento gettiamo uno sguardo su coloro che si affollano in quella
Corte Esterna, di cui abbiamo parlato nelle quattro confereuze precedenti,
notiamo in tutti una caratteristica comune. Essi differiscono moltissimo
nelle loro qualità mentali e morali, come pure nel progresso compiuto;
differiscono inoltre, come si può facilmente vedere osservandoli,
nelle qualità da essi conseguite e nella loro capacità di proseguire
ulteriormente; ma tutti sembrano avere in comune una cosa, e cioè «la
serietà di proposito». Essi hanno davanti a sè uno scopo ben definito e
comprendono nettamente e chiaramente a che cosa aspirano: essi considerano
il mondo alla luce di una serietà di propositi che ispira tutta la loro
vita; e mi sembra che questa sia la caratteristica piú notevole, proprio
quella che – come ho già detto – è comune a loro tutti. Coloro che conoscono
a fondo la letteratura sacra di altri paesi, sapranno quanta importanza
venga data a questa serietà di propositi, e cioè al fatto di avere nella
vita uno scopo ben definito da realizzarsi in un determinato modo.
Se voi consulterete qualche libro antico delle religioni indiane, vi
troverete che la noncuranza viene stigmatizzata come un difetto dei piú
pericolosi, mentre l’intensità di propositi viene considerata come una
conquista delle piú importanti; e, qualunque sia la religione da voi
esaminata, troverete sempre su questo punto una perfetta unanimità. Chiunque
ha raggiunto lo stadio di cui stiamo parlando, ha superato le barriere che
separano una religione dall’altra, ha compreso che tutte le religioni
contengono gli stessi grandi insegnamenti e che tutti gli uomini religiosi
tendono alla stessa meta sublime.
Quindi non vi è da sorprendersi se constateremo che le scritture delle
differenti religioni – essendo queste tutte emanazioni della stessa grande
Fratellanza dei Maestri – attribuiscono all’aspirante le medesime
caratteristiche e se parlano tutte della serietà di propositi, come di una
delle qualità piú importanti per chi aspiri al discepolato. Nel secondo
capitolo del Dhammapada troverete espressa chiaramente questa qualità, forse
anche in modo piú particolareggiato che in altri testi: «Se l’uomo sincero
si è risvegliato all’azione, se non dimentica, se le sue azioni sono pure,
se agisce con discernimento, se sa frenarsi e vivere conforme alla legge,
allora la sua gloria aumenterà.
«Mediante l’attività, l’intensità di proposito, l’austerità e
l’auto-controllo, l’uomo saggio si creerà un’isola che nessuna marea potrà
mai sommergere.
«Sono gli stolti che corrono dietro alla vanità, gli uomini privi di
discernimento. Il savio considera la serietà d’intenti come il piú prezioso
dei gioielli.
«Non perseguire ciò che è vano, nè i godimenti sensuali, nè i vili amori.
L’uomo sincero e dedito alla meditazione raccoglie un’ampia messe di gioia.
«Quando l’uomo sapiente scaccia ogni vanità mediante la serietà di
propositò, egli – il savio – inerpicandosi su per la gradinata che conduce
alle alte vette della sapienza, getta uno sguardo in basso sugli stolti;
egli guarda serenamente la moltitudine che si affanna, come colui che,
dall’alto di una montagna, getta lo sguardo su coloro che si trovano in
pianura. «Con intensità di proposito fra gli spensierati, ben desto fra i
dormienti, il saggio procede come il cavallo da corsa che lascia indietro il
ronzino. Mediante la serietà d’intenti Maghavan divenne il sovrano degli
Dei. Gli uomini apprezzano la serietà d’intenti; la spensieratezza è sempre
oggetto di biasimo.
«Il Bikshu che gode nel praticare la serietà d’intenti, che si preoccupa di
non cadere nella spensieratezza, procede come il fuoco che brucia, tutti i
legami piccoli e grandi.»
Gettando uno sguardo retrospettivo su tutto il lavoro da noi descritto,
potrete vedere come questa qualità della serietà d’intenti sia sottostante
al lavoro di purificazione della propria natura, al controllo dei pensieri,
alla formazione del carattere, alla trasmutazione delle qualità inferiori in
quelle superiori; tutto questo lavoro presuppone una natura ferma nei suoi
propositi, che abbia riconosciuto il proprio scopo e stia cercando di
raggiungere definitivamente la propria meta.
Questo dunque, può essere considerato come la caratteristica comune a tutti
coloro che si trovano nella Corte Esterna; e forse sarà interessante
rilevare che questa caratteristica si manifesta fortemente in coloro i cui
occhi sono aperti.
Saprete certamente che il carattere di una persona appare chiaramente nella
così detta aura che la circonda; ed alcuni di voi ricorderanno che,
occupandomi dell’evoluzione dell’uomo e soffermandomi su diversi punti di
tale evoluzione, ho accennato che, all’inizio della sua crescita, l’anima è
qualche cosa di assai indefinito e si potrebbe paragonarla ad nua nebulosa
dai contorni indecisi. Ora, man mano che l’anima progredisce, la nebulosa
prende una forma sempre piú definita e l’aura dell’individuo assume di
conseguenza contorni sempre piú definiti; anziché finire in modo vago,
sfumando gradatamente nel nulla, essa si distacca sempre piú nettamente con
contorni ben decisi, a misura che procede la formazione dell’individualità.
Quindi, se poteste guardare coloro che si trovano nella Corte Esterna,
questa caratteristica vi apparirebbe visibile; le loro aure si
presenterebbero ben definite; esse, non solo manifesterebbero delle qualità
ben marcate, ma le mostrerebbero in modo chiaro anche esteriormente, essendo
questa nitidezza di contorni nell’aura il segno esterno della nitidezza
interiore che l’anima individuale va assumendo. Vi dico questo per farvi
comprendere che l’Anima si manifesta con segni sempre piú marcati man mano
che progredisce, e su questo non può sorgere alcun malinteso. Il posto
occupato dall’Anima non le è stato assegnato arbitrariamente nè a caso, e
non dipende da alcun incidente; è questa una condizione chiara e definita
che manifesta qualità definitivamente acquisite, poteri definitivamente
conseguiti, e questi sono nettamente delineati in modo da riuscire
visibili ad ogni osservatore che abbia sviluppato in sé i poteri di veggenza
al di là della materia fisica. La qualità di serietà d’intenti ha il
risultato di sviluppare l’individualità e di conferire in tal modo all’aura
questi nitidi contorni; l’atmosfera distintamente marcata che avvolge l’uomo
può essere considerata come l’indice esterno dello stato interno, comune a
tutti coloro che si trovano nella Corte Esterna; e sebbene questa
caratteristica sia piú marcata negli uni che negli altri, tuttavia essa si
riscontra in oguno di essi.
In quel meraviglioso trattato La Luce sul Sentiero è detto giustamente che,
finché gli aspiranti si trovano nella Corte Esterna, le iniziazioni sono
quelle della vita; non sono le vere e proprie iniziazioni che verranno piú
tardi, non sono quel gradi determinati che si trovano entro il Tempio, il
primo dei quali segna il passaggio della Porta d’Oro. Ma esse sono
iniziazioni continue che il candidato trova sulla propria via man mano che
procede lungo il sentiero della vita quotidiana; cosicché, nel vero senso
della parola, si può dire che la Vita è la grande Iniziatrice e tutte le
vicende che il candidato attraversa in questa vita servono a provare la sua
forza ed a sviluppare le sue facoltà. Se voi consultate il trattato La luce
sul Sentiero, troverete che vi sono specificati certi determinati requisiti,
che – secondo i «Commenti» pubblicati successivamente nella rivista
Lucifer – si trovano scritte nell’anticamera di ogni Loggia della vera
Fratellanza.
Quelle regole sono formulate in un linguaggio, che, per quanto di carattere
mistico, è ancora abbastanza intelligibile, sebbene – come avviene in ogni
linguaggio mistico – possono sorgere delle difficoltà se si prendono le
pavole troppo alla lettera, anziché cercare di comprendere le verità
intrinseche che esse vogliono esprimere. Le quattro, grandi verità che si
trovano scritte nel Vestibolo sono le seguenti:
«Prima che gli occhi possano vedere, essi devono essere incapaci di lacrime.
«Prima che l’orecchio possa udire, esso deve aver perduta la sua
sensibilità.
«Prima che la voce possa parlare in presenza dei Maestri, essa deve aver
perduto il potere di ferire.
«Prima che l’anima possa stare alla presenza dei Maestri, i suoi piedi
devono esser lavati nel sangue del cuore».
Ora lo stesso autore, mediante il quale la Luce sul Sentiero fu resa
pubblica, scrisse piú tardi alcuni Commenti esplicativi. Questi meritano uno
studio accurato, poiché spiegano gran parte delle difficoltà che lo studioso
può incontrare nel trattato stesso e possono forse aiutarlo ad afferrare il
significato intrinseco di queste quattro Verità, anziché dar loro
un’interpretazione troppo letterale.
Essi spiegano che questa prima frase: «Prima che gli occhi possano vedere,
essi devono essere incapaci di lacrime», significa che l’Anima deve
ritirarsi dalla vita delle sensazioni per entrare in quella della
conoscenza; non deve piú restare là dove essa è continuamente scossa da
quelle violente vibrazioni che le pervengono attraverso i sensi; che deve
passare da queste regioni instabili in quella della conoscenza in cui
regnano la fermezza, la calma, la pace; che gli occhi sono le finestre
dell’anima e queste finestre possono essere, per così dire, appannate dalle
nebbie esalate dalla Vita, e cioè le intense sensazioni, piacevoli o
dolorose, producono una nebbia che appanna ed oscura queste finestre e
quindi l’anima non può piú vedere chiaramente attraverso ad esse. Questa
nebbia proviene dal mondo esterno e non dall’interno; proviene dalla
personalità e non dall’anima; è il risultato soltanto di sensazioni intense
e non della comprensione della vita. Essa perciò viene simboleggiata con la
parola lacrime, considerate queste come simbolo di una violenta emozione,
sia dolorosa
o piacevole. Finché gli occhi non si saranno resi incapaci di tali lacrime,
finchè le finestre dell’anima non avranno cessato di essere appannate dalla
nebbia esterna, finché non avranno lasciato trasparire chiaramente la luce
della conoscenza, gli occhi dell’Anima non potranno vedere la Realtà. Ciò
non significa, come ci viene spiegato, che il discepolo debba perdere la sua
sensibilità; vuol dire soltanto che nulla di ciò che proviene dall’esterno
deve poter turbare il suo equilibrio. Non è che egli debba cessare di
soffrire o di gioire, anzi è detto che egli soffrirà e gioirà ancora piú
fortemente degli altri, ma nè la sofferenza nè la gioia potranno piú
scuoterlo dal suo proposito; non potranno piú fargli perdere questo stato di
equilibrio, risultato della fermezza che solo la conoscenza può conferire.
Questa conoscenza è la comprensione di tutto ciò che è permanente, per cui
il transitorio e l’irreale non possono piú frapporre alcun velo alla visione
dell’anima.
Lo stesso possiamo dire della seconda verità: Prima che l’orecchio possa
udire esso deve aver perduto la sua sensibilità. Deve aver raggiunto il
luogo del silenzio; la ragione di questo fatto, come è detto piú oltre, è
che, sebbene la voce dei Maestri risuoni sempre nel mondo, gli orecchi degli
uomini non potranno udirla finché saranno assorditi dai suoni della vita
esterna.
Non è che il Maestro non parli, anzi Egli parla sempre; non è che la Sua
voce non risuoni, anzi risuona sempre; ma i suoni che circondano piú da
vicino il discepolo sono così forti che questa armonia tanto piú dolce e
delicata non può essere percepita dal suo orecchio attraverso i suoni piú
grossolani provenienti dai sensi e dalle emozioni inferiori. Perciò il
silenzio è necessario; il discepolo che si trova ancora nella Corte Esterna,
dovrà raggiungere un luogo di silenzio per poter udire il suono della
Realtà. Tale silenzio da lui raggiunto dovrà dargli all’inizio quasi un
senso di mancanza di sensibilità, a causa della
grande quiete ebe vi regna e della imperturbabile tranquillità di cui
l’anima diviene cosciente.
Qui l’autore parla molto efficacemente delle difficoltà e delle lotte che
sopravvengono quando si percepisce il silenzio per la prima volta. Abituati
come siamo a tutti i suoni che ci circondano, quando il silenzio avvolge per
un attimo l’anima, esso porta con sè un senso di annientamento; è come il
penetrare in un abisso in cui non vi sia alcun appoggio, come entrare in una
oscurità simile ad un drappo funebre che avvolga l’anima, un senso di
assoluta solitudine, di vuoto assoluto come se tutto fosse sparito, come se
tutta la vita si fosse annientata col cessare dei suoni delle cose viventi.
Si dice che allora, benché il Maestro stesso si trovi presente e tenga la
mano del discepolo, questi abbia l’impressione che la sua mano sia vuota,
che gli sembri di aver perduto di vista il Maestro e tutti coloro che lo
hanno preceduto. Gli sembra di essere abbandonato nello spazio infinito,
senza nulla al di sopra o al di sotto o accanto a sè. E in quell’istante di
silenzio sembra che la vita sia sospesa; che ogni cosa, la vita stessa
dell’anima sia cessata.
Ed è attraverso quel silenzio che risuona la Voce dell’al di là, la Voce che
udita una volta nel silenzio verrà poi udita sempre in mezzo a tutti i
rumori del mondo, poichè l’orecchio dopo averla udita una volta resterà
sempre sensibile alla sua armonia e nessun suono terrestre sarà piu capace
neppure per un solo istante di sommergere quell’armonia che una volta ha
parlato all’anima.
Queste due verità, si è detto, devono essere sentite, sperimentate prima di
poter toccare la vera Porta d’Oro; queste due verità devono esser realizzate
dall’aspirante prima che egli possa stare in piedi sulla Soglia ed attendere
il permesso di entrare nel Tempio.
Dalla descrizione che ci viene data delle altre due verità, sembra che
queste appartengano piuttosto alla vita interna del Tempio anziché a quella
esterna, sebbene siano scritte nel vestibolo, poiché molto è scritto in quel
vestibolo di ciò che deve poi venire elaborato sull’altra riva; precetti
scritti per servire da guida all’aspirante, affinché egli sappia in qual
senso indirizzare i suoi sforzi per iniziare la preparazione del lavoro da
compiersi nel Tempio stesso. Da tale descrizione sembrerebbe che queste
altre due grandi verità – concernenti il potere di parlare in presenza dei
Maestri, e di stare Loro di fronte – vengano solo realizzate, per lo meno
nella loro pienezza, sull’altra riva, benchè il neofita possa già nella
Corte Esterna tentare di farle fiorire nella sua anima.
Ed i primi germogli possono infatti cominciare a mostrarsi già al di là
della Porta d’Oro, poiché si dice che questo potere di parlare alla presenza
del Maestro costituisca l’appello dell’anima alla grande potenza che è a
capo del Raggio al quale appartiene l’aspirante; quest’appello si dirige
verso l’alto e poi riecheggia di nuovo in basso verso il discepolo, e da lui
si propaga nel mondo. E’l’appello dell’aspirante verso la conoscenza, e la
risposta proveniente dall’alto conferisce il potere di diffondere questa
conoscenza. Gli viene concesso di parlare in presenza dei Maestri solo a
condizione che egli, a sua volta, trasmetta ad altri la conoscenza
acquistata, divenendo così egli stesso un anello di quella grande catena che
unisce l’Essere piú elevato al piú basso, trasmettendo a coloro che si
trovano al di sotto di lui la conoscenza che la sua posizione gli permette
di ricevere.
Per ciò è detto che colui che chiede di divenire un neofita deve, in primo
luogo, diventare un servitore, poiché non potrà ricevere se non è disposto a
dare. Questo potere della parola, non il potere di parole esteriori
appartenenti piuttosto ai piani inferiori, ma il potere di parlare da anima
ad anima, che indica la via a coloro che la cercano, non solo con semplici
parole, ma facendo loro sentire la verità che le parole esprimono tanto
imperfettamente; quel potere di parlare da anima ad anima è accordato al
neofita solo quando egli desidera, usarlo per il servizio, quando desidera
di divenire una delle lingue del fuoco vivente che si muovono nel mondo
degli uomini e che palesano loro il segreto che stanno cercando.
L’ultima verità, infine, c’insegna che alla presenza dei Maestri possono
stare coloro i cui piedi sono stati lavati nel sangue del cuore. Ciò
significa che, come le lacrime rappresentano la rugiada della vita prodotte
dalle vivide sensazioni, così il sangue del cuore è il simbolo della vita
stessa, cosìcchè, quando si parla del sangue del cuore in cui devono essere
lavati i piedi del discepolo, ciò significa che egli non considera piú la
propria vita come un bene personale, ma che è pronto a riversarla sul mondo
intero. E siccome la vita è la cosa piú preziosa che l’uomo possiede, è
proprio questa che egli deve donare prima di poter stare in presenza di
Coloro che tutto hanno dato; egli non desidera piú la vita per sè stesso,
non cerca piú di rinascere per i benefici e le esperienze che nuove
esistenze potrebbero fornirgli; egli ha lavato i piedi nel sangue del cuore,
ha rinunziato al desiderio della vita per sè stesso e l’accetta solo per il
bene della razza, per il servizio della umanità: solo quando egli darà così
tutto ciò che possiede, potrà stare alla presenza di Coloro che tutto hanno
dato.
Adesso capirete perché dico che quelle due ultime verità sembrano riferirsi
piuttosto all’interno del Tempio che alla Corte Esterna; poiché quel
sacrificio assoluto di tutta la vita, quel liberarsi da ogni desiderio, quel
possedere solo allo scopo di dare, è nella sua ultima perfezione il lavoro
riservato a coloro che si trovano sulla soglia dell’Adeptato, è uno degli
ultimi trionfi dell’Arhat che sta per raggiungere quel punto in cui ogni
conoscenza è conseguita, dove non vi e piú nulla da imparare, piú nulla da
guadagnare.
Ma anche la conoscenza che tale verità deve divenire una realtà vivente,
offre un aiuto ed una guida nella vita, e perciò ritengo che sia stata
scritta nel vestibolo, benché in esso non vi sia ancora nessuno che possa
sperare di raggiungerla perfettamente.
Considerando questi diversi stadi che ci conducono alla soglia del Tempio,
cominceremo a comprendere ciò che devono essere coloro che sono sulla Soglia
pronti ad attraversare le Porte d’Oro. Essi hanno ancora da superare quattro
grandi stadi prima di poter raggiungere la sublime condizione di Adepto.
Vediamo però che si tratta di individui dalla volontà ferma, dal carattere
ben determinato, dalla vita pura e le cui passioni sono già estinte od in
via di estinguersi. Essi sono capaci di controllarsi ed ardentemente
desiderosi di servire: hanno aspirazioni intense verso la purezza e verso i
piú nobili scopi della vita. E adesso, giunti sulla Soglia, osiamo gettare
uno sguardo nell’interno, sia pure per un solo istante, onde poter
comprendere piú chiaramente perché siano richiesti tali requisiti e perché
nella Corte Esterna l’aspirante debba mettere in pratica le lezioni che
abbiamo studiato.
Lasciamo che i nostri occhi si posino per un momento, benché non possano
farlo che imperfettamente, sui quattro Sentieri, o quattro stadi dell’unico
Sentiero che si trovano entro il Tempio; ciascuno con la propria porta, e
ciascuna porta è una delle grandi Iniziazioni. La prima che troverete così
spesso descritta come l’iniziazione di colui che «entra nella corrente», –
espressione usata nella Voce del Silenzio ed in molti altri libri
esoterici – segna il passaggio chiaro e definito attraverso la Soglia del
Tempio, dal quale – una volta entrato – il discepolo non ne uscirà piú per
ricadere nella vita del mondo. Egli non uscirà mai piú, poiché è nel Tempio
anche quando lavora fra gli uomini.
Questo entrare nella corrente, rappresenta dunque un passo ben definito e
vedrete nei libri esoterici che, giunto a questo punto il candidato ha
davanti a sè ancora sette vite. In una nota della Voce del Silenzio è detto
che un Chela entrato nella corrente raggiunge molto raramente il proprio
fine nella stessa vita; generalmente sono sette le vite che si stendono
davanti a lui e che egli deve attraversare prima di raggiungere il grado
supremo. Ma sarà anche bene ricordare leggendo tutti questi libri, che
queste parole non devono essere prese troppo alla lettera; poichè le vite
sono effetti e non sono sempre misurate da nascite e da morti terrestri;
forse esse sono stadi di progresso piuttosto che vite umane, per quanto
siano spesso comprese fra la culla e la tomba, benché ciò non sia
necessario.
Queste vite si succedono una dopo l’altra senza interruzione; e il discepolo
passa dall’una all’altra progredendo incessantemente e conservando la
propria autocoscienza. Quindi, alla prima segue una seconda porta: un’altra
Iniziazione; e man mano che queste vite vengono vissute, alcune delle
rimanenti debolezze umane sono abbandonate una ad una, per sempre e
completamente; non piú il lavoro incompleto della Corte Esterna, non piú gli
sforzi incompleti. Qui ogni lavoro che viene intrapreso è portato
perfettamente a termine, ogni compito iniziato viene ultimato perfettamente
e notiamo che in ciascuno di questi stadi vengono eliminati certi
determinati legami, certe determinate debolezze, man mano che il discepolo
procede verso la perfezione, verso la totale manifestazione del Divino
nell’uomo. Della seconda Iniziazione è detto che colui che la supera non
dovrà rinascere che una sola volta. Egli sarà obbligato a ritornare una sola
volta prima che abbiano termine i suoi cicli di nascite e di morti.
Egli potrà incarnarsi volontariamente piú e piú volte, ma ciò avverrà per
sua libera e spontanea volontà, per il servizio e non per il legame alla
ruota delle nascite e delle morti, e quando passa attraverso a quello stadio
e raggiunge la terza porta, la terza grande Iniziazione, egli diventa «
colui che non dovrà piú rinascere»; poiché proprio in quella nascita egli
passerà attraverso il quarto stadio che lo porterà alla soglia del Nirvana,
e là nessuna legge lega piú l’anima, poiché tutti i legami sono spezzati e
l’anima è libera; il quarto stadio è quello dell’Arhat, nel quale gli ultimi
residui dei legami vengono completamente eliminati.
Possiamo noi tentare di descrivere questi ultimi stadi, questi quattro gradi
di Iniziazione? Possiamo comprendere, per quanto vagamente, quale sia il
lavoro che rende possibile il passaggio di queste quattro Porte e che
trasforma la vita al di là di esse?
Abbiamo visto che il candidato non è affatto perfetto. In quei libri nei
quali rifulge la luce che risplende nell’interno del Tempio, ci vien detto
che vi sono tuttora dieci legami di debolezze umane che devono essere
eliminati uno ad uno. Io non intendo spiegarli qui dettagliatamente, poiché
in tal modo ci inoltreremmo troppo nell’interno del Tempio stesso e questo
mio lavoro si riferisce solo alla Corte Esterna. Ma come sapete, essi
possono essere indicati ed io credo che molto probabilmeute vi saranno
indicati ben presto uno ad uno, da una mano competente. Quindi per il
momento lasciamoci guidare da essi e cerchiamo di comprendere come mai per
oltrepassare la soglia i requisiti richiesti siano così rigidi; come mai sia
necessario tanto lavoro prima di ottenere il permesso di entrare nel Tempio;
prima che Coloro che tengono le chiavi della porta consentano ad aprirla
all’aspirante. E’facile vedere che le condizioni già esposte devono essere
parzialmente adempiute prima che l’aspirante possa oltrepassare la Soglia.
Ogni passo da lui compiuto dall’altra parte pone dei poteri sempre maggiori
a sua disposizione. Dall’altra parte, entro il Tempio, i suoi occhi saranno
aperti; egli sarà capace di agire e di vivere in un modo che non è
realizzabile all’esterno del Tempio. Il suo modo di vedere, di sentire e di
agire farà di lui un uomo molto differente da tutti coloro che lo
attorniano, un uomo dotato di poteri che gli altri non posseggono, di una
visione e di una conoscenza al di là della loro comprensione; egli deve
muoversi in mezzo ad essi pur non essendo in realtà uno di loro, e per
quanto egli partecipi alla loro vita comune, è interiormente ben diverso da
loro.
Ma se ciò avviene, è giusto che si esiga da lui di essere veramente diverso
dagli altri prima che questi poteri vengano messi a sua disposizione; poiché
una volta che egli li possiede, li tiene e li può usare.
Supponiamo allora che egli abbia le debolezze così comuni nel mondo esterno
e che si lasci facilmente irritare dagli errori di coloro che lo
circondano, supponiamo che perda facilmente il proprio equilibrio sotto
l’influsso dei comuni eventi della vita giornaliera, supponiamo che il suo
temperamento non sia ben controllato e la sua compassione non aumenti, che
la sua simpatia non sia molto profonda ed estesa e che al sentirsi offeso
provi piú collera che compassione, irritazioue invece di perdono; che abbia
poca tolleranza e poca pazienza. Quale sarebbe il risultato dell’ammettere
un tale individuo oltre la soglia, concedendogli poteri che appaiono
sovrumani, se prendiamo come tipo l’uomo ordinario? Non vi sarebbe il
pericolo, anzi la certezza che questi piccoli difetti, così comuni agli
uomini di questo mondo, portassero conseguenze di natura catastrofica? Se
egli fosse in collera, questi poteri superiori dell’anima, da lui
recentemente acquistati – la forza di volontà, la potenza del suo pensiero –
non lo renderebbero forse una sorgente di pericolo per i suoi simili, se
queste
forze non fossero da lui debitamente controllate? Supponendo che egli non
abbia tolleranza, che non abbia imparato ad avere compassione, a sentire ed
a conoscere le debolezze da lui già vinte ed a comprendere la facilità
dell’errore, quale sarebbe la sua posizone fra gli uomini quando fosse
capace di vedere i loro pensieri, di comprendere e di scoprire i loro
difetti e quando quegli aspetti del nostro carattere che nascondiamo l’uno
all’altro sotto l’apparenza esterna fossero per lui espressi chiaramente e
facilmente visibili in quell’aura di cui ho parlato e che circonda ciascun
individuo, in modo da fargli vedere quello che è realmente l’uomo invece di
ciò che appare nel mondo esterno?
Non sarebbe certamente nè giusto nè bene che un tale potere – ed è uno dei
minori sul Sentiero, – venisse posto nelle mani di chiunque non abbia ancora
imparato, attraverso le prove, a simpatizzare coi piú deboli e, ricordando i
propri difetti, ad aiutare ed a compatire invece di condannare i fratelli
piú deboli che può incontrare nella vita giornaliera. E’giusto ed è bene
quindi esigere che l’aspirante abbia acquistato tali qualità prima di
permettergli di oltrepassare la soglia e di richiedergli la capacità di
soddisfare a tale necessità. E’giusto ed è bene che egli abbia abbandonato
quasi tutti i difetti comuni agli uomini, prima di entrare in quel potente
Tempio dove non vi è posto che per coloro che aiutano, servono ed amano
l’umanità. Ed il suo compito è così enorme che sembra necessario che egli
abbia fatto un grande progresso prima di intraprenderlo; occorre anche che
l’Adepto si liberi da ogni traccia di debolezza umana, che raggiunga ogni
conoscenza possibile entro i limiti del nostro sistema, che sviluppi i
poteri che pongono tutta quella conoscenza a disposizione della volontà, di
modo che basti volgere l’attenzione in una data direzione per afferrare
istantaneamente tutto ciò che vi è di conoscibile. Poiché questa, e
solamente questa,
è la posizione dell’Adepto. Egli è «colui che non ha piú niente da imparare»
e l’Adeptato non è che l’ultimo passo su questo Sentiero che stiamo
considerando, che si trova nel Tempio e che deve essere varcato in un
brevissimo spazio di tempo; compito così gigantesco, realizzazione così
sublime, che se non vi fossero degli uomini che lo hanno adempiuto e che lo
stanno adempiendo, sembrerebbe al dl là di ogni possibilità. Perchè a che
cosa servirebbe questa breve serie di vite, dal punto di vista dell’uomo
comune, per compiere un tale progresso e passare dallo stadio relativamente
basso che segna la prima Iniziazione a quell’altezza sublime in cui si
trovano gli Adepti perfetti, fiore e perfezione dell’evoluzione umana?
E poichè il compito da esplicarsi entro il Tempio è proprio questo, poiché è
proprio questo il fine che si deve raggiungere, poichè l’Arhat deve essersi
liberato anche dalla piú piccola traccia di debolezza umana e d’ignoranza
per essere pronto all’Iniziazione finale, non vi è da meravigliarsi che si
debba compiere un lavoro enorme prima di potere oltrepassare la Soglia e che
le basi di cui abbiamo parlato e che devono sostenere il peso di un edificio
così potente, debbano essere forti e solide.
E ricordatevi che, una volta aperti gli occhi, il compito sembra maggiore
che non nei giorni di cecità; che a colui che è entrato nel Sentiero, questo
deve sembrare molto più elevato e piú lungo di quello che appare agli occhi
annebbiati di chi non ha ancora oltrepassato la Soglia; poiché il discepolo
deve vedere piú chiaramente Coloro che sono al di là e misurare esattamente
la distauza che lo separa da Loro. E come deve sembrare oscuro il suo
compito nella luce di quella gloria perfetta; come deve apparire povera e
debole cosa tutto ciò che egli può fare, nella luce della Loro forza
perfetta; come smisurata la sua ignoranza nella luce della Loro perfetta
conoscenza; e solo quattro passi sul Sentiero, solo poche vite per
giungere alla fine. Ma quanta differenza nelle condizioni, ed appunto in ciò
consiste la possibilità del raggiungimento, in ciò forse sta la forza, cioè
nella sensazione che coloro che sono riusciti entrarono, dopo avere
oltrepassato la Soglia, in uno stato di vita così differente da quello
precedente, che ciò che sembrava ad essi impossibile in questo mondo,
diventa per loro possibile appena varcata la Soglia e ciò che era difficile
diventa relativamente facile. Poichè, per quanto non sia possibile
comprendere completamente tutte le condizioni che si trovano al di là, ve ne
sono alcune, facili a capirsi e che mostrano quanto diversa sia la vita
all’interno del Tempio da quella al di fuori di esso.
Prima di tutto, in questo cambiamento di condizioni sta il fatto che gli
uomini che si trovano al di là comprendono; ed in questa parola
«comprendono» è racchiuso un gran significato. Voi conoscerete quelle parole
che ho omesso espressamente la settimana passata nel citare il grido di
trionfo che uscì dalle labbra del Buddha quando proclamò la fine della
schiavitù ed il sorgere della libertà; voi sapete che quel grido rivolto a
coloro che si trovano nel mondo esterno, e che rivela la causa del dolore,
parla anche della cessazione del dolore stesso, cessazione derivata dalla
comprensione della realtà:
«Oh voi che soffrite! Sappiate
«Che soffrite per colpa vostra. Nessuno vi costringe,
«Nessuno esige che voi viviate e moriate.»
E l’uomo che ha oltrepassato la Soglia sa che ciò è la pura verità. Gli
uomini soffrono per propria colpa; non sono costretti; la comprensione di un
tale fatto trasformerà il mondo intero agli occhi del discepolo; tutte le
difficoltà del Sentiero cambieranno aspetto. Poiché una volta compreso, una
volta realizzato che tutte queste pene e difficòltà del mondo derivano
dall’ignoranza, che gli uomini soffrono perchè ignorano il loro passaggio di
vita in vita e che progrediscono così lentamente perché non sanno, danno
così poca importanza alla vita perché ignorano, acquistano così poco in ogni
esistenza, perché non sanno che tutta questa ruota di nascite e di morti
alla quale sono legati, li tiene avvinti a causa della mancanza di
conoscenza; non si rendono conto che sarebbero veramente liberi se potessero
comprendere; quando finalmeute è raggiunta la comprensione, per quanto
debole essa sia, non ancora quella comprensione del Saggio Illuminato, ma
pure una convinzione assai profonda, allora il mondo intero cambia aspetto
per il discepolo che ha oltrepassato la Soglia.
E allorchè si volta indietro a guardare la folla umana con tutti i suoi
dolori, con le sue miserie, le sue lacrime ed i cuori infranti, egli sa che
ogni sofferenza avrà fine, ma solo con la morte dell’ignoranza. E in tal
modo la miseria umana si trasforma e non appare piú così tremenda; anche se
la tristezza non è completamente sparita, la disperazione ha abbandonato per
sempre l’anima del discepolo. Questo non è il solo cambiamento di condizione
che si trova al di là della Soglia, che piú che una speranza è una certezza;
non è l’attesa dell’alba, ma piuttosto la visione del Sole levante, la
certezza della luce del giorno che risplenderà per tutti.
Uno dei grandi vantaggi ottenuti nel superare quella Soglia, consiste
nell’acquistare una coscienza che non sarà piú interrotta, sulla quale la
morte non avrà alcun potere e la nascita non potrà passare con la spugna
dell’oblio. La coscienza dell’Adepto attraverso alle vite che l’attendono
sarà continua; un’autocoscienza che, nua volta acquistata, non potrà piú
essere perduta nè oscurata; una volta penetrata nell’uomo la verità, non si
perderà piú completamente, ma non può essere trasmessa nella coscienza
inferiore, durante le esistenze al di qua della Soglia del Tempio.
Dall’altra parte invece, nell’interno del Tempio, l’autocoscienza
costituisce una conoscenza ininterrotta, di modo che l’anima può guardare
davanti e dietro a sé e sentirsi forte nella conoscenza dell’Ego immortale.
E in tal modo tutta la vita sarà modificata. Infatti, quali sono i due
grandi dolori della vita che gli uomini non possono evitare?
I due grandi dolori che tutti hanno provato e provano tuttora sono la
separazione e la morte; la separazione dovuta alla distanza, allorché
centinaia, migliaia di chilometri separano l’amico dall’amico; la
separazione dovuta al cambiamento di condizione, allorché il velo della
morte si frappone tra l’anima rimasta sulla terra e quella partita per l’al
di là,. Ma per colui che ha varcato la Soglia, la separazione e la morte non
esistono piú come quando si muoveva nel mondo fra gli uomini.
Egli potrà sentirle fino ad un certo punto, perché i legami dell’ignoranza
non sono completamente spezzati; egli soffrirà ancora per la separazione,
per la distanza, per la morte; ma questo non può oscurare realmente la sua
vita, nè interrompere la sua coscienza; la separazione esiste per lui, solo
finché si trova nel corpo fisico ed egli può abbandonare il proprio corpo a
volontà e recarsi dove nè spazio nè tempo hanno piú potere su di Lui. In tal
modo vengono allontanate dalla sua vita e per tutte le sue esistenze future
queste due grandi cause di sofferenza terrena. Nessun amico sarà piú perduto
per lui; la morte non potrà rapirgli coloro che sono uniti a lui dai legami
della vita reale.
Poiché per lui non esiste piú nè separazione nè morte, questi sono mali del
passato e le loro terribili forme sono finite per sempre.
Questo è solo una parte dell’enorme mutamento delle condizioni di vita del
discepolo. Non solo egli sa che questa coscienza ininterrotta rende
impossibile qualunque separazione in senso assoluto; ma sa pure che
significa che nelle vite future non potrà retrocedere nè ricadere nello
stato delle vite precedenti, egli non ritornerà al mondo incoscientemente,
per sperperare la metà della sua vita senza sapere ciò che cerca, ignorando
tutto, accecato dal velo della materia che gli impedisce di percepire il
vero scopo della vita; egli ritornerà ricco di conoscenza allo scopo di
progredire e sarà colpa sua se il progresso rallenterà e se il suo
avanzamento non sarà continuo. Egli ha raggiunto la coscienza che gli rende
possibile il progresso ed ogni arresto dipenderà da lui e non sarà
certamente per lui una necessità della vita.
Ed avverrà quindi un altro cambiamento di condizione dovuto alle nuove
amicizie che egli contrarrà, amicizie che non saranno turbate da nubi nè da
dubbi o da sospetti; amicizie al di sopra di tutte le nebbie della terra,
nebbie che non possono piú disturbare l’anima. Poiché, penetrando nel
Tempio, egli è venuto a contatto dei Grandi Istruttori; varcando la Soglia è
giunto a poter vedere i Maestri, e la possibilità di un contatto così
elevato trasformerà per sempre tutta la sua vita.
Egli ha preso contatto col permanente, ed il transitorio non potrà piú
scuoterlo come quando non conosceva l’Eterno. I suoi piedi poggiano per
sempre sulla roccia e le onde non potranno trascinarlo lontano da essa e
gettarlo nuovamente nel mare turbinoso della vita. Cosìcchè al di là della
Soglia, per quanto gigantesco possa essere il compito, pure le condizioni
sono talmente diverse che esso sembra meno impossibile e noi cominciamo a
comprendere come questo possa essere stato compiuto nel passato e come lo
sia tuttora.
Cominciamo così a realizzare che con tali cambiamenti, un simile Sentiero,
per grande che sia, può esser sempre percorso, e che questi passi su per i
fianchi della montagna, benché elevino realmente l’anima ad altezze
incommensurabili, possono essere compiuti con relativa rapidità sotto
condizioni tanto differenti e l’evoluzione può essere di una velocità quasi
incredibile là dove i poteri dell’Anima stanno così sviluppandosi, mentre
l’oscurità si dissipa e lascia apparire la luce.
E considerando questi stadi che devono essere percorsi in tali condizioni,
questi passi che dobbiamo ancora compiere e questi legami che devono ancora
essere spezzati, vediamo scomparire l’una dopo l’altra le ultime debolezze
dell’umana natura e l’Anima risplendere forte, calma e pura. L’illusione
dell’«Io» inferiore sta scomparendo e tutti gli uomini appaiono un tutto con
il sè reale. Il dubbio svanisce ed è sostituito dalla conoscenza; a mano a
mano che l’Anima percepisce la realtà delle cose, il dubbio diventa
impossibile per sempre.
Ben presto l’Anima non dipenderà piú dalle cose esterne e transitorie,
poiché in questo vivido contatto con la realtà tutte le cose esterne
appariranno nella loro giusta proporzione. L’Anima imparerà che tutto ciò
che è esteriore ha poca importanza, che tutte le cose che dividono gli
uomini non sono che delle ombre e non realtà. Tutte le differenze delle
religioni e delle cerimonie piú o meno efficaci, tutti i riti exoterici
appartengono al mondo inferiore e non costituiscono che barriere illusorie
erette fra le Anime degli uomini. L’Anima che si risveglia alla conoscenza
vedrà cadere una ad una queste oscure barriere e queste tracce di debolezza
umana scompariranno. Ed i poteri dell’anima si svilupperanno; la visione e
l’udito, l’acquisto di conoscenze mai sognate irromperanno da ogni parte
dell’anima divenuta ricettiva; la conoscenza non sarà piú limitata dai sensi
come avviene quaggiù; non vi sarà piú l’esclusione quasi completa
dell’Universo di cui solo un piccolo frammento di quando in quando riesce a
penetrare nell’anima sotto forma di conoscenza. Ma d’ora innanzi la
conoscenza irromperà da ogni parte e l’anima intera diverrà ricettiva, per
cui l’acquisto della conoscenza apparirà come un processo
di vita in continuo progresso e che affluisce continuamente nell’anima da
ogni parte. Successivamente vedremo, sia pure vagamente, che l’anima sta
liberandosi da quelle ombre eteree di desiderio che sembrano aderire ad
essa, come ultimi resti della vita terrena che potrebbero avere il potere di
trattenerla ancora. Ma quando raggiungiamo l’ultima Iniziazione che precede
quella suprema e che fa dell’uomo ua Arhat, troviamo che è impossibile
concepire quali legami, quali impurità possano ancora sussistere in uno
stato così elevato.
E giustamente è scritto che il Sentiero dell’Arhat «è difficile a
comprendersi come quello degli uccelli nell’aria»; poiché come essi, sembra
che Egli non lasci traccia e che voli senza contatti e senza impedimenti in
quella sublime atmosfera in cui si muove. E da quella regione scende un
senso di pace imperturbata, che nulla può turbare. Poichè ci viene detto che
nulla può muoverlo nè scuoterlo, inattaccabile da qualsiasi tempesta
terrena, in una pace ineffabile, in una serenità che nulla può turbare.
Coloro che conoscono questo stato e che hanno tentato di descriverlo con
parole naturalmente inadeguate, poiché sono parole umane, hanno parlato
delle caratteristiche di un simile essere, in sillabe che sembrano
riflettere debolmente tale sublime condizione. Essi dicono che Egli è:
TOLLERANTE COME LA TERRA, COME LA FOLGORE DI INDRA; SIMILE AD UN LAGO SENZA
MELMA; NESSUNA NUOVA NASCITA LO ATTENDE. IL SUO PENSIERO E’CALMO, CALME LE
SUE PAROLE E LE SUE AZIONI, QUANDO HA RAGGIUNTO LA LIBERTA’MEDIANTE LA REALE
CONOSCENZA, QUANDO E’COSI’DIVENTATO UN UOMO CALMO.
Sembra che da quella quiete scenda a noi un senso di pace, di serenità, di
calma inalterabile che nulla può mutare o turbare; e comprendiamo perché di
un tale uomo si dica: LA SOFFERENZA NON ESISTE PIU’PER COLUI CHE E’GIUNTO
ALLA FINE DEL SUO VIAGGIO, CHE HA ABBANDONATO IL DOLORE, CHE SI E’LIBERATO
DA TUTTI I LATI E CHE HA SPEZZATO TUTTE LE CATENE.
Tale è l’Arhat che sta in cima al Sentiero; tale è colui che non ha piú che
un solo passo da fare per non aver piú niente da imparare; tale è la meta
del Sentiero che tutti possono percorrere; tale è la fine della lotta, e
questa fine è la pace perfetta (1).
Descrivendo gli stadi del Sentiero, preparatorio, parlando in termini così
imperfetti di ciò che ci attende al di là delle Porte d’Oro, vi è sembrato
forse che io parlassi un po’troppo duramente o che vi presentassi il
Sentiero con colori troppo oscuri e tenebrosi? Se così fosse, la colpa è
mia e non del Sentiero; l’errore è di chi parla e non di ciò che egli ha
cercato debolmente di descrivere: poichè, per quanto vi siano difficoltà,
lotte e sofferenze, è pur vero che tutti coloro che penetrano nella Corte
Esterna, per non parlare di chi ha oltrepassato la Porta d’Oro, una volta
entrati dentro quel recinto, nessun tesoro della terra potrebbe farli
ritornarare alle loro precedenti condizioni.
E per coloro che hanno varcato la Soglia vi è forse qualche gioia o promessa
terrena atta ad indurli a gettare uno sguardo furtivo al mondo che hanno
abbandonato? Poiché questo Sentiero che si stende davanti a noi è un
Sentiero in cui i dolori sono migliori delle gioie terrene
e le sofferenze più splendide dei godimenti terreni. Se si potesse
condensare entro i limiti di un’esistenza umana ogni gioia che la terra
inferiore può dare, se potessimo riempirla di piaceri con la probabilità di
goderli incessantemente, se entro i limiti di quella esistenza umana
potessimo accumulare tutto ciò che gli uomini conoscono delle gioie dei
sensi e dell’intelletto, se potessimo togliere ogni traccia di dolore e di
stanchezza, facendo di essa una
(1) Le citazioni sono tolte dal «Dhammapada», Cap. VII – L’Arhat.
vita ideale, per quanto lo permetta la terra, allora accanto ai gradi del
Sentiero, – per quanto questi possano sembrare oscuri visti dal mondo
esterno, – questa vita di gioie terrene sembrerebbe miserabile e scialba o
le sue armonie sarebbero delle discordanze, paragonate alle armonie dell’al
di là. Poiché su questo Sentiero ogni passo compiuto è compiuto per sempre;
ogni dolore il piú penoso è una benedizione per la lezione che ci dà. A mano
a mano che ci inoltriamo su questo Sentiero, esso diviene sempre piú
luminoso col diminuire dell’ignoranza, piú pervaso di pace con lo sparire
della debolezza, piú sereno man mano che le vibrazioni della terra perdono
il potere di urtare e di offendere.
Ciò che esso è alla sua estremità finale, possono dirlo soltanto Coloro che
lo hanno percorso tutto, e quale sia la sua meta, solo Coloro che l’hanno
raggiunta. Ma anche quelli che si trovano ai primi stadi, sanno che i dolori
di questo Sentiero sono gioie paragonate alle gioie della terra, e che il
suo piccolo fiore vale qualsiasi gioiello offerto dalla terra. Un raggio
della Luce che splende sempre su di esso e che diventa ognora piú luminoso
man mano che il discepolo avanza, un solo raggio di tale Luce offuscherebbe
tutto il sole della terra; coloro che lo percorrono conoscono la pace che è
al di là di ogni comprensione, la gioia che il dolore terreno non può mai
rapire e godono sulla roccia quel riposo che nessun terremoto può scuotere,
nell’asilo del Tempio dove regna un’eterna beatitudine.
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