VERTEBRE e RICORDI DOLOROSI

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VERTEBRE e RICORDI DOLOROSI

di Vincenzo Di Spazio

Quanto avviene nel corso della nostra esistenza sembra che si registri non solo nelle aree
cerebrali, ma anche in quelle spinomidollari. Quest’ultime in particolare sembrano atte a registrare
eventi che abbiamo percepito come minacciosi o, in un linguaggio più moderno, stressanti. Una vera e
propria estensione delle reti neurali rettiliane?

da www.scienzaeconoscenza.it/

“…guarda bene la colonna per
la causa della malattia…”
Ippocrate

Dal 1996 mi dedico assiduamente allo studio e all’indagine di particolari punti cutanei, collegati
alla memorizzazione di eventi stressanti, e che sono localizzati sui versanti laterali dei processi
spinosi delle vertebre. Si tratta di 24 coppie di punti (o meglio “placche cutanee” come
specificherebbe il prof. Giuseppe Calligaris ), scaglionate dalla prima cervicale alla quinta
lombare con esclusione del segmento sacrococcigeo. Questi stessi punti sono perfettamente
sovrapponibili ai cosiddetti punti Fuori Meridiano, denominati HuaTuojiaji, molto conosciuti in
Medicina Tradizionale Cinese.

Quale meraviglia nascondono queste placche spinali? La risposta risiede nella capacità di questi
punti di attivarsi in relazione ad accadimenti dolorosi, di registrare cioè gli effetti di
esperienze stressanti secondo un preciso modello temporale. Si tratta di una rivoluzionaria ipotesi
cronobiologica, densa di ricadute sul piano clinico. La nostra prima riflessione è la seguente: se è
plausibile l’esistenza di queste placche spinali, che registrano segnali a carattere traumatico,
questo porta a pensare che esistano mappe neurali della nostra memoria autobiografica oltre i limiti
dei confini cranici. In altre parole possiamo immaginare che perlomeno anche le strutture nervose
spinomidollari possano in qualche misura codificare la registrazione mnestica di eventi a
connotazione traumatica. Non dimentichiamo inoltre che le strutture spinomidollari (il midollo
spinale, per intenderci) rappresentano sul piano filogenetico le architetture neurali più arcaiche
in senso assoluto, compatibili in questo senso con una forma di Memoria meno sofisticata, ma più
stabile, perché stratificata in milioni di anni di evoluzione biologica.

Il linguaggio, con cui si esprime questa particolare forma di memoria, è ovviamente un linguaggio
“non-verbale”, esplicitato attraverso i meccanismi dei riflessi e della sensibilità. Possiamo quindi
definire le strutture spinomidollari come la sede elettiva della “memoria archicorticale”, in
contrapposizione con la “memoria paleocorticale” del sistema limbico e con quella “neocorticale”
della corteccia cerebrale.

Sotto il profilo neurofisiologico il midollo spinale insieme al tronco encefalico rappresenta una
fondamentale via di comunicazione degli stimoli e delle informazioni fra la periferia (cute,
visceri, apparato locomotore, etc.) e il centro (centri nervosi superiori endocranici) e consente il
corretto svolgimento delle nostre attività automatiche e istintuali. Presiede in altre parole al
normale funzionamento della nostra vita vegetativa (controllo della respirazione, della frequenza
cardiaca, del ritmo veglia-sonno, etc.). MacLean ha denominato “cervello rettile” (reptilian brain)
questa porzione del nostro sistema nervoso, perché sostanzialmente simile a quella dei rettili,
differenziandolo dalle strutture superiori endocraniche come il sistema limbico, il cosiddetto
“cervello emotivo” (mammalian brain) in comune con gli altri mammiferi e gli uccelli, e la porzione
più evoluta, la neocorteccia.

La memoria rettiliana
Tornando al tema centrale di questo articolo, le indagini da me svolte fino a oggi sul cosiddetto
“cervello rettile” hanno rivelato la possibile esistenza di precise mappe neurali, che codificano
engrammi in relazione ad eventi stressanti sulla base di una matrice temporale. In altre parole si
tratta di mappe neurali extracraniche collegate alla nostra memoria autobiografica.

Quanto avviene nel corso della nostra esistenza viene così registrato non soltanto nelle aree
cerebrali, ma anche in quelle spinomidollari. Ma di quali eventi si fa carico la nostra memoria
“rettiliana”? Di quelli relativi ai giorni spensierati e felici della nostra giovinezza o quelli di
un lieto evento come il primo amore, la nascita di un figlio, una importante promozione scolastica,
un successo lavorativo?

No, la memoria “rettiliana” registra in profondità quegli eventi, che abbiamo percepito come
minacciosi per la nostra integrità, attivando processi di tipo inibitorio. Il cervello rettiliano
prende il sopravvento, perché il suo arcaico codice evolutivo gli impone soltanto di conservare
l’individuo e quindi la specie.
La profonda stratificazione di informazioni legate a eventi connotati come “dolore”, “pericolo”,
“minaccia”, “separazione”, “allontanamento” o “perdita”, consente di ricordare in modo non-conscio
una precedente esposizione, per poterla evitare. L’ingestione innocente di attraenti bacche rosse si
può tradurre per l’ominide di un milione di anni fa in una esperienza dall’esito mortale. La
fortuita sopravvivenza a questo evento ha il preciso scopo di attivare una reazione di evitamento,
ogni qualvolta si venga a contatto con le micidiali bacche rosse. Ricordare l’evento a più livelli,
coscienti e non, incrementa statisticamente non soltanto la possibilità di evitare quel particolare
tipo di esperienza, ma in ultima analisi la sopravvivenza di quell’ominide, del suo clan e della sua
discendenza.

In ultima analisi il nostro cervello rettile contiene una particolare memoria di allarme, che si
riaccende prontamente quando il corpo percepisce una vera o presunta riesposizione all’evento
traumatico.
La reingestione accidentale di bacche rosse simili per forma e colore, ma non tossiche, tenderà a
riprodurre nell’ominide una sintomatologia analoga (anche se in scala ridotta) a quella sofferta al
primo contatto. La riproduzione dei sintomi simili alla prima esposizione sono innescati in modo
automatizzato dalla cosiddetta memoria di allarme del cervello rettile e hanno verosimilmente lo
scopo di salvaguardare l’integrità fisica dell’individuo, cortocircuitando l’intenzionalità
decisionale della nostra corteccia cerebrale (decidere se ingerire o meno le bacche rosse).

Diversificazioni del processo traumatico
Nel corso della nostra lunghissima evoluzione e della progressiva sofisticazione dei nostri circuiti
cerebrali superiori, abbiamo via via potenziato la capacità di elaborare pensieri di tipo astratto.
Le fonti di possibile minaccia si sono anch’esse virtualizzate, passando dall’esposizione tossica
alle bocche rosse, alla esposizione traumatica di una bocciatura scolastica, di un mobbing
strisciante in ambito lavorativo, di un ingiustificato licenziamento, di un divorzio e di altri
eventi. Siamo inoltre esposti di continuo ad una serie infinita di microtraumatismi emozionali, che
oltrepassano la soglia di coscienza e di cui non siamo apparentemente consapevoli.
La memoria di allarme del nostro cervello rettile registra non soltanto gli effetti di eventi
evitabili come l’accidentale ingestione di bacche velenose, ma anche gli esiti di esperienze
inevitabili come il lutto.

L’irreversibilità di un trauma come la separazione definitiva dai propri familiari può determinare
sofferenza non soltanto nello spirito, ma anche nel corpo. E’ in grado di attivare processi di
natura patologica, che minacciano l’integrità dell’individuo.
Allo stato attuale delle ricerche è difficile comprendere perché anche questi ricordi potenzialmente
pericolosi per la nostra personale sopravvivenza vengano stratificati nei circuiti spinomidollari
della nostra memoria di allarme, se invece il suo preciso scopo sarebbe quello di garantire la
difesa della nostra integrità. Nel caso specifico dei traumi da lutto, peraltro così frequenti nella
vita dei nostri antenati per le ridotte aspettative di sopravvivenza, potrebbe aver potenziato
inconsapevolmente il ricorso alla procreazione, non solo per soddisfare le istintuali modalità
riproduttive che ci legano agli altri mammiferi e non solo per rimpiazzare in modo opportunistico i
membri familiari deceduti, necessari al sostentamento del clan. Ma la finalità della procreazione in
mammiferi così evoluti (forse) come gli essere umani, potrebbe essere anche quella di antidotare il
terribile dolore del distacco dai nostri congiunti e garantire in questo modo la conservazione delle
nostre memorie attraverso la discendenza.

Punti spinali ed epoche della vita
La finalità di questa lunga introduzione è comprendere se sussista la possibilità di interagire
positivamente con i dispositivi della nostra memoria rettiliana, per bilanciare gli effetti tossici
delle esperienze traumatiche, a cui siamo esposti nel corso della nostra esistenza.
Come ho spiegato all’inizio, abbiamo la possibilità di comunicare in modo sostanzialmente diretto
con i dispositivi della nostra memoria rettiliana, accedendo ai punti cutanei di proiezione
spinomidollare.

Si formula l’ipotesi, avvalorata sul piano clinico, che ogni punto spinale corrisponda ad una
precisa epoca della vita secondo un ciclo ripetuto di 60 anni che parte dalla prima cervicale. In
senso craniocaudale la numerazione scende di una vertebra per anno anagrafico (ad eccezione del
tratto cervicale) per giungere alla quinta lombare, che corrisponde al periodo dei 30 anni. Poi si
compie un giro di boa in senso ascendente per chiudere il ciclo al 60° anno di vita sulla prima
cervicale.

Un trauma (lutto, separazione, trauma fisico, etc.) in un certo periodo della nostra esistenza si
stratifica su una precisa area, che resta dolorabile anche a distanza di anni.
Questi punti spinali possiedono perciò la meravigliosa facoltà di registrare il Tempo della nostra
vita, così come gli anelli concentrici della sezione di un tronco documentano l’intero ciclo
biologico di un albero. Le verifiche cliniche hanno dimostrato che questi punti temporali possano
essere identificati in base alla dolorabilità delle singole vertebre alla digitopressione. Inoltre
possono essere eccitati mediante picchiettamento spinale (spinal tap) con il martelletto neurologico
e produrre così riflessi nervosi a distanza (sensazioni di caldo e di freddo, orripilazione cutanea,
parestesie agli arti, ripercussioni viscerali, etc.) nei distretti somatici, colpiti dagli effetti
di un traumatismo emotivo o fisico.

La risposta corporea è totalmente autonoma da possibili arrangiamenti corticali, perché viene
generata in modo diretto dalla eccitazione di precise aree riflesse delle strutture spinomidollari.
Il riflesso viscerale avvertito in sede gastrica dal paziente dopo stimolazione della seconda
lombare (27° anno di vita), corrispondente alla morte del padre per carcinoma gastrico, è un
riflesso del tutto nuovo rispetto alla nota segmentazione metamerica (le radici spinali della 2°
lombare non innervano infatti lo stomaco). Quale nuovo e misterioso riflesso si è attivato? Si
tratta forse di una sensazione soggettiva casuale? Il riflesso generato dai dispositivi “rettiliani”
corrisponde ad una precisa mappa neurale extracranica, che contiene dati temporali (il 27° anno di
vita) e informazioni viscerali (lo stomaco) come esito di una esperienza traumatica. Le prove sui
punti spinali consentono abilmente di cortocircuitare pericolose intromissioni delle strutture e dei
circuiti corticali, in grado di generare risposte devianti. Il paziente potrebbe infatti spiegarmi
in assoluta buona fede di aver superato totalmente il trauma per la morte del padre.

La verifica diagnostica, ottenuta mediante l’eccitazione dei circuiti spinali, è densa di ricadute
sul piano clinico in generale, ma anche su quello specifico della terapia. Queste singolari porte
biologiche di accesso temporale sulla colonna ci consentono di intervenire sugli effetti di queste
memorie disturbanti, per poter ripristinare l’equilibrio. In che modo? Semplicemente concentrando la
nostra azione terapeutica su queste aree cutanee. Si può intervenire con l’agopuntura, la
digitopressione locale (Shiatzu sui punti di Hua Tuo), l’applicazione di magneti (osservando le
opportune precauzioni), la cromopuntura, il micromassaggio con olii essenziali e Fiori di Bach
(floripuntura spinale secondo Di Spazio).

A prescindere dalle modalità di intervento, ho denominato questa metodica AgeGate Therapy, per
sottolinearne la stretta connessione con la dimensione del Tempo.
A conclusione di questo articolo, desidero riportare una bellissima frase del prof. Giuseppe
Calligaris, insigne neuroscienziato, che mi ha guidato in questa difficile, ma esaltante avventura e
che afferma in uno dei suoi innumerevoli scritti “…il nostro corpo è uno specchio fedele del nostro
spirito, e questo di quello…”.

Placche spinali ed esperienze terapeutiche
Un esempio dalla clinica consente di comprendere meglio la funzione terapeutica di questi singolari
punti spinali.
D.L. è una giovane donna di 32 anni, che lamenta da parecchio tempo la comparsa di dolorose cistiti
recidivanti. Nel corso degli anni è dovuta ricorrere spesso a terapie antibiotiche per debellare le
infezioni vescicali. Gli esami delle urine hanno mostrato la comparsa successiva di diversi
microrganismi (coliformi, mycoplasma pneumoniae, etc.), condizionando terapie antibiotiche sempre
più aggressive. All’anamnesi personale effettuata in prima visita non sono emersi dati di
particolare importanza, se non le classiche malattie esantematiche dell’infanzia e un intervento di
appendicectomia a 14 anni. In questa occasione è stato trattato il punto di agopuntura 3 CV per la
sua capacità di riequilibrare energeticamente il meridiano della Vescica. Al secondo controllo D.L.
riferisce un lieve e temporaneo miglioramento dei sintomi, ma comunque sempre una spiacevole
sensazione di peso vescicale.

Comunica inoltre di aver annotato i sogni delle prime cinque notti (richiesta effettuata in prima
visita) e mostra il foglietto per leggerlo. Due sogni riguardano esperienze della vita quotidiana,
mentre il terzo richiama scene di vita scolastica con compagni di classe dei primi anni delle
superiori. Alla domanda se ricorda qualche avvenimento stressante di quel periodo, la paziente
rimane incerta nel fornire una risposta. Per una manciata di secondi il suo volto appare come
congelato, anche se accenna involontariamente una impercettibile contrazione verso il basso degli
angoli della bocca. Poco dopo il viso si arrossa, la parola si spezza, e D.L. esplode in un
travolgente pianto, scosso da ripetuti singhiozzi. A fatica finalmente si calma e mi confessa di
aver abortito intorno ai 16 anni. La successiva indagine sulla colonna vertebrale rileva un intenso
dolore puntorio alla digitopressione sulla quarta dorsale, che in aderenza al modello cronobiologico
corrisponde esattamente al 17° anno di età. L’eccitazione del punto spinale con il martelletto
neurologico accentua in maniera percepibile il senso di “peso” sulla vescica. La stimolazione
terapeutica del punto sulla quarta dorsale associata a quella di 3 CV ottiene finalmente gli esiti
sperati.

Per approfondire:
Vincenzo di Spazio ha recentemente fatto un video su questa nuova disciplina: >>> la
cronoriflessologia
V. Di Spazio. >>> www.rossivideo.net/affiliazione/pagine/331.php Il Meridiano del Tempo,
testo con mappa a colori dei punti spinali.

Vincenzo Di Spazio, medico, è stato professore incaricato presso la Scuola di Specializzazione in
Biotipologia e Metodologia Omeopatica dell’Università di Urbino dal 1994 al 2002. Dal 1996 si occupa
di cronobiologia degli psicotraumatismi e su questa base ha elaborato un modello temporale applicato
a precise microaree della cute (cronozonidi spinali). Si tratta di particolarissimi punti “trigger”,
che segnalano eventi di natura traumatica, e che possono essere stimolati per ottenere un effetto
terapeutico (AgeGate Therapy). La scoperta di queste nuove “placche cutanee” si inserisce nel quadro
degli studi clinici e sperimentali sulla cute “neurologica”, già estesamente documentati nelle opere
del professor Giuseppe Calligaris (1876-1944), geniale e finissimo neuroscienziato italiano, noto
per i suoi famosi esperimenti.

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