Vita pratica e vita spirituale: la sintesi possibile

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Vita pratica e vita spirituale: la sintesi possibile

di William Esposito

Spunti di riflessione sul capitolo “Vita duplice del Discepolo”1,
contenuto nel libro di Roberto Assagioli – Considerator: Il Mondo
Interiore. Scritti teosofici 1918-1962, pubblicato da Edizioni
Teosofiche Italiane (Vicenza) e presentato a Castrocaro Terme (FC) nel
maggio dello scorso anno al 94° Congresso Nazionale della Società
Teosofica Italiana.

L’argomento trattato nella presente relazione rimanda, genericamente
parlando, al concetto di integrazione degli opposti, di cui tutta la
psicosintesi è permeata, costituendo uno dei principali obiettivi del
percorso psicosintetico, tanto che a questo proposito Assagioli mise a
punto una tecnica specifica: detta “equilibramento e sintesi degli
opposti”. E anche i due principali modelli teorici della psicosintesi,
che esprimono graficamente la costituzione psicofisica dell’uomo, ne
sono una chiara espressione: la “Stella della funzioni psichiche” e
l’“Ovoide”.

L’Autore del libro apre il capitolo “Vita Duplice del Discepolo” con
un interrogativo: “Come posso condurre una vita spirituale in mezzo al
tumulto e alla confusione dell’esistenza moderna? Il ritmo della vita
odierna, le esigenze famigliari, le difficoltà finanziarie, i rumori,
le strade affollate, la mancanza di isolamento e di tranquillità,
hanno creato una delle situazioni più difficili per un discepolo.
Molti purtroppo si scoraggiano e dicono con rimpianto: ‘.h se potessi
vivere in libera solitudine, senza legami o responsabilità, senza
dovermi occupare della casa o di un antipatico lavoro di ufficio…
Allora sì che potrei dedicarmi alla vita spirituale e fare reali
progressi!” 2

La prima cosa che il padre della psicosintesi ci dice è che questo,
innanzitutto, è un dilemma che parte da un falso problema: tagliare
fuori i condizionamenti esterni, infatti, non comporta necessariamente
maggior senso di libertà, uno stato di pace o una particolare
ricettività al mondo spirituale.

Poiché, come è ovvio, i conti vanno fatti anche con noi stessi, con la
nostra sfera strettamente privata ed intima: con le varie parti e
“corpi” di cui siamo costituiti e pertanto con i nostri conflitti
interiori, complessi, frustrazioni, ossessioni, traumi, oppure
impulsi, desideri, bisogni non gratificati (autoaffermazione,
autorealizzazione, ecc.); in sostanza, per la psicosintesi, con le
nostre “sub personalità”: più bassi livelli di integrazione della
personalità rispetto alle proprie effettive potenzialità, frutto di
condizionamenti interni ed esterni.

È su questa base che E. Fromm nel suo noto saggio Fuga dalla libertà3,
afferma che “libertà da qualcosa” non coincide affatto con “libertà di
essere”, presupponendo quest’ultima un percorso di crescita personale
ed esistenziale, e costituendo invece la prima una semplice fuga.
Posto così il problema, è ovvio che possa risultare un’estrema
semplificazione quella della dicotomia: vita pratica vs spirituale.

Per Assagioli, pertanto, il primo passo da effettuare – che può essere
anche lungo e a volte faticoso – è proprio quello dell’armonizzazione
dei nostri “veicoli inferiori”: corpo fisico, emozioni, sentimenti,
mente concreta. Un primo risultato di questo processo è una sorta di
“polarizzazione mentale”, per la quale si riconosce il condizionamento
esercitato dagli stati emotivi – sempre mutevoli e contraddittori – e
da certi aggregati mentali: (forme pensiero nella nomenclatura
teosofica; skanda nella filosofia tradizionale indiana): pur restando
in contatto coi propri stati interiori non ci si identifica con essi e
si cerca di realizzare la condizione detta dello “spettatore” o,
meglio, del “testimone”.

Questa condizione – che segna l’emersione di un Io osservante rispetto
ad un Io che è nell’azione – è una tappa evolutiva dell’essere
imprescindibile ed è anche uno dei principali obiettivi degli
interventi psicoterapici, indipendentemente dagli orientamenti;
appartiene inoltre al capitolo della “psicosintesi personale!” e più
particolarmente alla fase detta della “disidentificazione ed
auto-identificazione”.

Solo in seguito sarà possibile parlare di dualità – o meglio di
dualismo dinamico – fra “mente concreta” (coinvolta nella vita
pratica) e “mente astratta” (che attinge alla dimensione
transpersonale), poiché senza il percorso precedente, ovvero quello
dell’integrazione a partire dai livelli più elementari, i rischi di
travisamenti, suggestioni o peggio ancora di pseudo-integrazioni e di
dissociazioni, coi vari corrispettivi psicopatologici: nevrosi,
psicosi, ecc. possono essere in agguato.

Per inciso va detto che è invece una caratteristica della condizione
superconscia (per la Teosofia: del “piano buddhico”) il superamento
delle dualità, principalmente di quella fra soggetto e oggetto, e la
percezione del tutto peculiare e affatto comune della “noità”, alla
base della comprensione empatica, della capacità di amare, della
compassione, ecc. Le tecniche del rājayoga, di bi-millenaria
tradizione, hanno i medesimi scopi, nel percorrere le tappe appena
considerate.

La possibilità che la vita degli individui assuma un atteggiamento
prevalentemente introvertito piuttosto che estrovertito è agli occhi
di tutti ed essa ci porta a fare un’altra considerazione di natura
psicologica_ e non solo, a ben vedere!

Questa disposizione deriva in gran parte dalle inclinazioni del
soggetto; più che dai condizionamenti esterni, da quelli interni,
ovvero da fattori costituzionali: si direbbe, dal tipo psicologico o,
meglio, dal “tipo umano” che egli è.

Quest’ultimo indica il movimento, la direzione dell’interesse vitale.
È stato detto: “Dov’è il tuo cuore, vi sei tu!”; così i due principali
atteggiamenti descritti da C.G. Jung dell’introversione e
dell’estroversione, stanno proprio ad indicare il moto dell’interesse,
la direzione delle tendenze più profonde e originarie dell’essere,
l’oggetto del suo più intenso desiderio e costante amore, i fini verso
cui orienta la sua principale attività’: ed essi sono in gran parte,
incontestabilmente, innati.

Il rischio di una polarizzazione eccessiva è conosciuto
dall’antichità, al punto che abbiamo numerosi simboli e modelli di
integrazione nelle culture classiche e percorsi iniziatici di crescita
per tappe successive.

Fra questi simboli, tanto per citarne alcuni, abbiamo il Sigillo di
Salomone o Stella di David, emblema dell’Ebraismo, ma che è anche
sintesi del pensiero ermetico di cui ancor oggi possiamo ritrovare in
Italia tracce evidenti anche nell’arte e nell’architettura (quindi
sotto gli occhi di tutti). Esempi a Firenze, chiara espressione del
pensiero platonico rinascimentale, sono il magnifico rosone – per
imponenza ed eleganza – della facciata della chiesa di S. Croce o il
cupolone della chiesa di S. Maria del Fiore (che visto dall’alto
appare costituito da sei grandi costoloni convergenti al centro).

L’esagono stellato lo ritroviamo, importantissimo, anche nell’emblema
della Società Teosofica. Esso appare, per antonomasia, come la sintesi
degli opposti, l’espressione dell’unità cosmica. Nei due triangoli
equilateri perfettamente intrecciati si può leggere il gioco delle
molteplici corrispondenze: nel triangolo chiaro con la punta rivolta
verso l’alto, l’elemento fuoco, lo Spirito che trascende la materia,
il Logos, il principio di evoluzione, la triade “superiore” nell’uomo
o Individualità: manas superiore, buddhi e ātma; nel triangolo scuro
con la punta rivolta verso il basso, l’elemento acqua, lo Spirito che
scende nella materia, l’Eros, il principio di involuzione, la triade
inferiore: corpo fisico-eterico, astrale e manas inferiore5.

È qui il caso di rammentare che anche l’opera che compare nella
copertina de Il Mondo Interiore, nell’intento dell’artista (.mero
Gambaro) – ispiratosi al paesaggio dell’Isola di Stromboli – richiama
a grandi linee tale simbologia.

Simbolo analogo è la croce: quella greca indica lo Spirito (braccio
verticale) che si incarna nella materia (braccio orizzontale); nel
Cristianesimo esprime l’importanza del testimoniare la propria fede in
vita, in ogni circostanza, con atti di servizio, oltre ad essere
chiaro simbolo di resurrezione (il braccio orizzontale incrocia in un
punto più alto quello verticale).

Anche in taluni simboli astrologici ambigui ritroviamo significati
analoghi; come lo sono ad esempio i segni zodiacali del Sagittario e
del Capricorno. Il primo è rappresentato dalla figura mitologica del
centauro il cui corpo di cavallo in corsa, sormontato da un busto di
uomo, indica la propensione al movimento e all’azione; ma quest’ultima
è al servizio di un’azione ragionata, espressa dall’arco che il
centauro tiene pronto per scoccare una freccia6. Il segno antichissimo
del Capricorno, sorta di chimera anfibia, esprime una medesima
ambi-tendenza. Secondo Jung, il capro privilegia certamente le vette
solitarie dei monti ma, al momento opportuno, dimostra di sapersi
tuffare nel mare della vita, indugiando certamente, ma senza
annegarvi, possedendo metà corpo, quella inferiore, a forma di pesce’.

Nel poema sanscrito La Bhagavadgītā abbiamo magistralmente descritti i
due atteggiamenti opposti del carattere tamasico (inerte, passivo) e
rajasico (energico, attivo), inglobati e trascesi da quello sattvico:
il carattere dell’azione saggia. Tamas, Rajas e Sattva sono i tre
gulla: i tre attributi fondamentali della natura primordiale
(PrakEti)8 che si manifestano in tutti gli aspetti della creazione,
compresi i temperamenti degli individui.

Nel Buddhismo il “Cammino intermedio”, detto anche “ottuplice
sentiero”, è la terapeutica indicata dal Gotama quale maggiormente
percorribile per guarire il male dell’esistenza (quarta Nobile
Verità). Esso evita i due estremi: il perseguimento della felicità
unicamente attraverso il godimento dei sensi e la via contraria, cioè
la ricerca della beatitudine spirituale mediante un ascetismo troppo
rigoroso 9.

In Cina abbiamo il simbolo del Tao (cammino, via) che illustra la nota
contrapposizione fra Yin e Yang. Tale rapporto di opposizione è
dinamico: lo Yin e lo Yang si sostituiscono a vicenda l’uno all’altro,
in un rapporto di opposizione in cui in parte sussistono
simultaneamente”.

E questo del resto è ciò che vediamo anche in natura, ovvero la legge
del ritmo: come l’alternarsi graduale del giorno e della notte, delle
stagioni; negli organismi viventi superiori: la diastole e la sistole
cardiaca, l’inspirazione e l’espirazione, ecc. Si tratta pertanto di
un movimento dinamico e regolare; l’oscillazione fra due poli, come il
movimento del pendolo, nella fisica meccanica è infatti
rappresentabile geometricamente anche come un sinusoide. Nell’Induismo
questo movimento viene espresso con i grandi cicli cosmici della
manifestazione-estroversione della materia (Manvantara) e del
riassorbimento­introversione dello spirito (Pralaya). Tali grandi
cicli rispondono a una precisa legge di evoluzione, graficamente
rappresentabili come una spirale svolgentesi con progressione costante
secondo una linea ascendente: una sintesi ciclica secondo il filosofo
dello spirito folignate Pietro Ubaldi (1886-197 2)11.

Tornando al pensiero di Assagioli, è auspicabile avere anche
nell’uomo, in tutta analogia con quanto detto, un’alternanza di
raccoglimento e di espansione, di meditazione e di attività pratica,
di contemplazione e di servizio. Egli fornisce il seguente esempio di
organizzazione della vita – ideale per chi volesse intraprendere un
percorso consapevole di crescita umana e spirituale:

a) due periodi di concentrazione ogni giorno: la mattina la
meditazione e la preparazione per la giornata; la sera l’esame serale
delle proprie azioni e l’analisi dei motivi;

b) ogni settimana una giornata dedicata interamente alla vita
dello Spirito dopo sei giorni dedicati alle attività esterne;

c) almeno una volta l’anno un periodo di ritiro e di solitudine
che permetta un lavoro speciale e intenso di realizzazione spirituale
e di accumulazione delle energie spirituali.

E più oltre afferma: “Questo è un esempio elementare di vita
duplice… Però il… più vero tipo di vita duplice è quello che può
chiamarsi una vita duplice simultanea che il Tibetano12 nella sua più
alta realizzazione descrive così: -0 il discepolo deve vivere una
duplice vita: con una parte della sua riflessione e della sua
coscienza concentrata nella vita della Gerarchia spirituale e con
l’altra parte della sua percezione mentale concentrata sulla vita dei
tre mondi, e ciò simultaneamente’”13.

Pertanto vita duplice corrisponde a vita integrata e non doppia o
dissociata, ovvero caratterizzata da macroscopiche incoerenze e
disarmonie.

Il punto di vista di chi scrive è che l’integrazione si realizza
quando da una parte si è nell’esperienza (fase dell’esserci, del
coraggio di “ex-sistere” – lat.: stare fuori – del pathos e del
rischiare se stessi nel fluire della vita, dello stato di vigilanza
nelle percezioni, nelle relazioni, secondo le ben note e preziose
indicazioni forniteci dal nostro J. Krishnamurti), e dall’altra si
dimostra di essere altrettanto impavidi nella vita dello spirito e, se
necessario, nel testimoniare e nell’affermare con risolutezza la
realtà dello spirito.

Questa dimensione dell’esperienza dev’essere sì un fatto riservato – e
per un teosofo è chiaro che lo è – ma non necessariamente privato,
trattandosi, la dimensione spirituale, di un fatto estremamente reale
e pertanto passibile di condivisione.

Tale consapevolezza duplice, ovvero su due livelli di “connessione”,
potremmo dire con un linguaggio odierno, dovrebbe garantirci un
maggiore equilibrio e stabilità come esseri umani, ma soprattutto
assicurarci più alti livelli di assimilazione delle esperienze, di
comprensione, di intuizione, di illuminazione che poi, alla fin fine,
è quello che conta a livello karmico.

Questa condizione è anche simboleggiata dalla figura dell’albero,
efficacemente evocata ne La Voce del Silenzio e citato a ragion veduta
dallo stesso Assagioli in chiusura dell’articolo oggi considerato: “I
rami di un albero sono scossi dal vento; il tronco rimane immobile.
Entrambi, l’azione e l’inazione, devono trovare albergo in te; il tuo
corpo agitato, la tua mente tranquilla, la tua Anima limpida come un
lago montano”14.

Questo simbolo, come quelli considerati precedentemente, si presta
ottimamente ad essere assunti quali “modelli ideali”: nei termini
della psicosintesi, strumenti simbolici ad elevato potere numinoso, ai
quali possiamo fare riferimento quali organizzatori delle nostre
esperienze, o che possono costituire una spinta, indicare una
direzione, rappresentare una meta o un compito da realizzare.

Di tali strumenti, di indubbia potenza ed efficacia se ben applicati,
vi è un gran bisogno nell’odierna crisi di valori e di ideali della
società contemporanea.

______________

1. Pubblicato originariamente in Alba Spirituale, 1959, n. 8, pp. 293­ 298.

2. R. Assagioli – Considerator: Il Mondo Interiore. Scritti Teosofici
191851962, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2008, p. 373.

3. 1941.

4. R. Assagioli, La psicologia differenziale. Appunti non riveduti
dall’Autore, 21 febbraio 193 2, Istituto di psicosintesi, Firenze.

5. Cfr. J. Chevalier, A. Gheerbrant (1969). Ed. it.: Dizionario dei
Simboli, Bur Dizionari, Milano, 2005, s.v.: Sigillo di Salomone.

6. .. M. Aivanhov, Lo zodiaco, chiave dell’uomo e dell’universo,
Edizioni Prosveta, Tavernelle (Pg), 1999, p. 1 22.

7. C. G. Jung (191 2). Ed. it.: La libido, simboli e trasformazioni,
Newton Compton, Roma, 1993, p. 180.

8. La Bhagavadgītā, canto XIV.

9. M. Eliade (1978). Ed. it.: Storia delle credenze e delle idee
religiose, Sansoni Editore, Firenze, 1996, vol. II, p. 98.

10. Cfr. J. Chevalier, A. Gheerbrant, cit., s.v.: Tao.

11. P. Ubaldi: La Grande Sintesi, Edizioni Mediterranee, Roma,
1980, p. 10 2 e 108.

1 2. L’istruttore spirituale col quale A. A. Bailey (1880-1949)
sosteneva di essere in contato dal 1919 e da cui avrebbe ricevuto gli
insegnamenti raccolti in numerosi volumi di “rivelazioni”. Cfr. .pere
di A. A. Bailey, Editrice Nuova Era, Roma e M. Introvigne, P.
Zoccatelli. Associazione culturale dei Triangoli della Buona Volontà
Mondiale, in: Enciclopedia delle Religioni in Italia, CESNUR,
Elledici, Torino, 2001.

13. R. Assagioli – Considerator: cit., pp. 374-375.

14. La Voce del Silenzio. Frammenti scelti dal Libro dei
Precetti d’Oro. Traduzione inglese annotata da H. P. Blavatsky (1889).
Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 200 2.

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