Vite digitale e Dark net

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Vite digitale

di: Alessio Mannucci ecplanet.net

La International Telecommunication Union (ITU), l’organizzazione ONU delle TLC, che in molti
auspicano possa diventare l’arbitro che guiderà lo sviluppo della Rete, ha presentato il rapporto
“Digital.Life”, che descrive come si stia trasformando l’esistenza dei “netizens”, i cittadini della
rete. Una rete destinata a divenire sempre più ubiqua, pervasiva e invasiva, con sempre più
frequenti incursioni nella sfera privata.

La Rete “allargata” di cui parla Digital.Life ingloberà industria TLC, Internet, broadcasters e
fornitori di contenuti, convergendo in un mercato digitale globale che nel 2005 valeva 3,13 miliardi
di dollari. Un mercato in cui sarà cruciale la “coopetition” (cooperazione competitiva, ndr), almeno
quanto il ruolo dei “prosumers” (produttori-consumatori, ndr) consapevoli. L’avanzare della
“Internet delle Cose” è uno dei segnali della convergenza dei settori industriali. Il protocollo IP
sarà la “Koinè” per scambiarsi informazioni digitali in Rete mediante vari dispositivi di
connessione capaci di intermediare: ogni netizen contribuirà così attivamente al processo di
“ri-mediazione”. Il telefonino appare come l’avamposto della “Internet of Things”, primo fra tutti i
dispositivi mobili connessi alla Rete.

Il rapporto non trascura di analizzare la rivoluzione del digitale, i cui effetti risulteranno
amplificati dall’ubiquità del mezzo: l’accesso diretto e istantaneo all’informazione, insieme alla
possibilità di intervento attraverso i media personali, per comunicare, relazionarsi e condividere
contenuti nell’ambito del social networking, l’intrattenimento on-line attraverso i Massively
Multiplayer Online Role-Playing Game (MMORPG) e le Personal Area Network. La Rete ubiqua e pervasiva
offre inoltre appetitose opportunità di business. Ad esempio, il settore dei micropagamenti, che nel
2004 valeva 50 milioni di dollari, appare in ascesa. Il sistema potrebbe riscuotere successo
nell’ambito dell’m-commerce o, ad esempio, nella segmentazione delle offerte di musica digitale,
riducendo la percezione della spesa e non costringendo all’acquisto in bundle di pacchetti a cui si
è poco interessati.

Le note dolenti vengono dalla “permeabilità tra sfera pubblica e sfera privata”. Emerge l’urgenza,
secondo il rapporto, di fronteggiare le sempre più frequenti incursioni, statali e private, nei
dati-immagine degli individui digitali a fini di profilazione e categorizzazione. Saranno strategie
governative e private improntate alla trasparenza e al rispetto della privacy, e un adeguato
bilanciamento di interessi, sicurezza e libertà a regolare il campo, affiancandosi alla crittografia
e alle cosiddette Privacy Enhancing Technologies (PET), capaci di porre un limite a tracciamenti e
sorveglianza.

C’è poi il problema del digital divide: in un mondo che si avvia verso la comunicazione mediante
l’IP come lingua franca, in cui le persone di età inferiore ai 55 anni migrano in massa dal consumo
di media analogici alla fruizione di media digitali, il digital divide si sta trasformando da un
fenomeno quantitativo ad un fenomeno qualitativo. È il tipo di accesso alla Rete che determina la
qualità della vita digitale: sono “cittadini digitali di serie A” coloro che hanno accesso ai 277
milioni di connessioni a banda larga, mentre il resto del mondo arranca fra inaccessibilità e
connessioni lente e limitanti.

THE DARK NET

Ciò di cui il rapporto non parla è il “lato oscuro” della rete: la questione dell’Internet
Governance, della censura, del file-sharing, della cyber-criminalità, delle psico-patologie connesse
alla rete come l’Internet Addiction Desorder, le forme di net-dipendenza, l’informazione spazzatura
(data trash).

Ad esempio,

Un netizen americano su otto è insonne, trascorre le sue giornate a controllare compulsivamente la
casella di posta elettronica, è morbosamente attratto dai programmi di messaggeria: tutti sintomi di
“Dipendenza da Internet”, come aveva sentenziato una ricerca effettuata dalla Scuola di Medicina
della Stanford University, lo scorso ottobre. Esistono anche delle cliniche specializzate che hanno
iniziato a registrare l’affluenza di persone che vorrebbero disintossicarsi dalla dipendenza da
Internet, molto spesso connessa con tendenze depressive e problemi nell’ambito delle relazioni
quotidiane.

Secondo il dottor Elias Aboujaoude, docente presso il dipartimento di psichiatria e scienze
comportamentali dell’Università di Stanford, sono in sensibile aumento coloro che si rivolgono agli
specialisti, preoccupati del fatto che Internet abbia un impatto negativo sulla propria vita.
Negano, si giustificano, minimizzano. Ma quando il consorte, furente, minaccia il divorzio, o quando
il capufficio redige un richiamo disciplinare, si sentono costretti a confessare il disagio.

Una recente ricerca commissionata da Logitech rivela che, per gli italiani dotati di notebook, il
tempo trascorso davanti allo schermo supera decisamente quello condiviso con il partner. Information
Week ha rivelato che un dipendente di IBM, licenziato per aver abusato delle chat (chat erotiche, si
vocifera) durante le ore di lavoro, ha fatto appello al suo disturbo compulsivo, chiedendo ad IBM un
risarcimento di cinque milioni di dollari. La notizia è stata ripresa anche sul blog del Center for
Internet Addiction Recovery, che accoglie con favore la prospettiva per cui le aziende si dovrebbero
occupare della riabilitazione dei loro “net-dipendenti”.

Le manifestazioni della dipendenza dal Web non si limitano alla fruizione maniacale di pornografia
(porno-dipendenza, ndr) o al gioco d’azzardo online: queste sono dipendenze che chiamano in causa
Internet solo come canale. Controllare l’email ogni cinque minuti, aggiornare compulsivamente il
proprio blog con nuovi post: questi sono “segnali di allarme che indicano un vero problema”,
dichiara Aboujaoude, raccomandando nel contempo di usare prudenza nel parlare di dipendenza da
Internet. Il refresh continuo delle email, l’assuefazione alle chat e ai giochi online, infatti,
mascherano sovente un disturbo comportamentale più vasto, che affligge l’individuo nella sua vita
quotidiana. La dipendenza da Internet, spesso, è una manifestazione, o una conseguenza di
depressione o di difficoltà nelle relazioni faccia a faccia, problematiche che inducono l’individuo
a segregarsi davanti alla fredda luce del monitor. Questo isolamento non può che complicare la
situazione: l’innaturale vita virtuale in cui si scivola, afferma Aboujaoude, è spesso difficile da
scindere dalla vita reale.

La dipendenza da Internet sembra non conoscere frontiere né differenze di età. Nei giorni scorsi,
riporta China.org, il Centro Nazionale Cinese per i Bambini ha reso pubblico un report in cui si
sono sondate le abitudini online dei minorenni cinesi: il 13,2% soffre di dipendenza da Internet,
dice il report, pur senza specificare chiaramente la natura di sintomi e manifestazioni della
dipendenza. La Repubblica Popolare Cinese aveva già preso provvedimenti in merito: si era dotata di
una clinica per la disintossicazione, aveva meditato di limitare a tre ore l’uso dei videogiochi e
aveva tentato di proibire agli oltre 15 milioni di giovani netizen l’accesso agli Internet Point.

Data articolo: dicembre 2006

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