Vivere nel flusso della grazia del Guru

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Vivere nel flusso della grazia del Guru

di Swami Kriyananda

– Sintonia –

Nel celebrare il cinquantesimo anniversario del mio discepolato con
Yogananda, mi pare che questi cinquanta anni non siano un lasso di tempo
molto significativo. Sono soltanto un secondo nella vita di un’anima. Quando
guardate la cima di una montagna dal basso, può sembrarvi tremendamente
alta. Ma se state volando su di un aeroplano a 10.000 metri d’altezza, la
montagna è difficilmente visibile, tanto quanto una piccola protuberanza sul
terreno. Noi abbiamo il nostro punto di vista umano su ciò che abbiamo fatto
nelle nostre vite, ma dal punto di vista divino abbiamo ancora una lunga
strada da percorrere nell’eternità.

Molti anni fa, quando ero nella SRF e cominciavo a tenere le mie prime
conferenze, pensavo: “Che bene può fare ciò? Tu stai in piedi a declamare,
ma la gente va a casa e dimentica quello che hai detto”.

Però talvolta capivo che la vita di qualcuno era stata cambiata da qualcosa
che avevo detto e cominciavo a comprendere che tenere conferenze era
qualcosa che avrei dovuto prendere più sul serio perché, dopo tutto, faceva
del bene. Ero solito pensare che a causa del mio cattivo Karma dovevo
parlare in pubblico, mentre i discepoli con buon Karma potevano stare a casa
a meditare.

Dopo circa sei anni mi fu affidata la chiesa di Hollywood, e pensai: “Ora
devo davvero lavorarci sopra”. Ma una volta non ebbi il tempo di prepararmi
per un servizio domenicale. Arrivai quasi impreparato e fui spinto a parlare
dalla intima ispirazione. Dopo mi meravigliai che molta più gente del solito
dicesse quanto aveva apprezzato il servizio.

Dopo pochi mesi successe di nuovo – non avevo avuto il tempo di prepararmi e
molta più gente del solito disse quanto aveva gradito il sermone.

Pensai: “Dio del cielo! Se la gente apprezza di più quando non sono
preparato, perché fare tutto questo lavoro inutile?”

Da allora smisi di preparare i miei discorsi nel modo usuale e parlai solo
per ispirazione e sintonia col Maestro. Cominciai a vedere che il Maestro ha
una capacità che io non ho. Quando affidavo il mio discorso a Lui, mi
venivano meravigliose intuizioni. Potevo rilassarmi mentalmente e pensare:
“Vorrei averlo pensato io”, perché io non l’avevo pensato – mi era solo
stato dato.

Quest’esempio dimostra un’importante verità che ho ricavato dai miei anni
sul sentiero – infatti è come sono giunto a definire il discepolato.

Il Maestro mi incoraggiò in questa direzione nel 1950 quando mi disse: “Il
tuo lavoro è di scrivere e di tenere conferenze”. Riferendomi ai suoi libri,
risposi: “Ma signore, non è stato già scritto tutto ciò che è necessario?”

Lui mi guardò un po’ sorpreso e rispose: “Non dire così. Molto più è
necessario”.

– Il ruolo del discepolo –

Durante tutti questi cinquanta anni, ho usato gran parte del mio tempo per
meditare sul Maestro e cercare di capire di più e più a fondo cosa Egli fece
e disse. Questo è stato il punto focale di tutta la mia vita.

Ogni cosa che ho fatto è stata lo sviluppo di ciò che il Maestro ci aveva
dato. Io non ho creato niente di nuovo.

Comunque, la funzione di un discepolo non è solo quella di parlare del Guru,
né di essere un registratore che ripete le parole del Guru senza afferrarne
davvero il significato. Dobbiamo cercare di capirle più a fondo, per
ampliarne la comprensione e mostrare la loro rilevanza nelle nostre vite.

Più a fondo sono andato nel lavoro del Maestro e più mi sono stupito di
quanto vasta fosse la sua missione. La sua potenzialità di ampliare la
consapevolezza umana è di gran lunga più elevata di quella di ogni altro
Maestro che io conosca, sebbene io non abbia meditato su altri insegnamenti
con la stessa profondità che ho applicato ai suoi. Inoltre non ho incontrato
da nessuna parte, neppure nella storia, un altro Maestro che abbia
perseguito scopi così ampi e con una tale potenzialità di cambiare un’intera
epoca.

Il Maestro mi incoraggiò verso l’espressione creativa attraverso la
scrittura e i discorsi pubblici. Ricordo che un mio condiscepolo era
invidioso della mia creatività, mentre io ero invidioso della sua mancanza
di creatività. Ho imparato ad essere un umile devoto che ama soltanto Dio e
che non ha mai pensato in termini di grande significato. Sono stato
costretto dalla mia stessa natura ad essere così e non avrei potuto essere
altrimenti.

Ma il punto che voglio sottolineare non ha nulla a che vedere con me o con i
miei così detti “talenti ed abilità”. Ho scoperto che, sintonizzandomi con
il Maestro, improvvisamente sono capace di fare cose che non avrei potuto
fare da solo. Questo è vero per quasi tutto quello che ho portato a
compimento. Quando tengo un discorso, spesso dopo non ho idea di ciò che ho
detto, perché lo ho restituito a Dio. Non è il mio talento, è solo che mi
sono sintonizzato con il Maestro e ho chiesto al suo spirito di farlo.

Nel fare ciò sono stato completamente affascinato dallo scopo straordinario
di questo spirito e dalla sua comprensione dei bisogni di questa particolare
epoca. Quello di cui abbiamo parlato durante la sua vita non sarebbe stato
molto adatto duecento anni fa o nel lontano passato al tempo di
Shankaracharya, ma era assolutamente giusto per l’epoca attuale.

Per questo dico che egli è l’avatar per il Dwapara Yuga, o perlomeno per
questa parte iniziale del Dwapara Yuga nella quale tutti noi siamo entrati.

Questo stesso processo di sintonia con la coscienza del Maestro è il modo in
cui è nata Ananda. Davvero non so come ho fatto, perché per la mia mentalità
io sono l’ultima persona che avrebbe potuto scegliere di creare una
comunità. Non sono il tipo da comitato. Io ho bisogno di scavare dentro di
me e trovare le soluzioni senza averne parlato in un gruppo.

Devo dire che anche nel lavorare come parte di un gruppo possiamo arrivare
al cuore del problema. L’ho visto succedere in gruppi dove dovevamo
raggiungere una decisione insieme. Anche in questo processo ci si può
sintonizzare con la realtà centrale e sentire la guida del Maestro che
agisce attraverso il gruppo. Nelle decisioni prese ad Ananda non siamo
sempre d’accordo, ma possiamo trovare una realtà obbiettiva che trascende le
nostre prospettive individuali.

– Lo spirito del discepolato –

Io non sempre sono d’accordo, neppure con me stesso. Metto in discussione
continuamente cose che ho pensato o scritto. Infatti intimo “alto là” ai
miei libri ed alla mia musica ed essi devono darmi dimostrazione di sé. Nel
processo creativo mi domando sempre: “Aspetta un momento. Funziona davvero?”

Possono esservi domande, dibattiti e differenti punti di vista, ma è sempre
nello spirito di unità e nella consapevolezza che noi lavoriamo insieme.
Questo è il pensiero: “Contribuisci al tutto e non gettare ogni cosa al
vento. Non stare a sedere brontolando e dicendo che non va bene, ma cerca le
risposte”.

Vi sono soprattutto due ragioni per questo spirito di unità. La prima è
partire domandandosi: “Cosa è necessario? Cosa è bene per tutti?” e non:
“Cosa voglio io?” La seconda ragione è chiedersi: “Cosa vuole Dio?” In altre
parole, in ogni cosa che fai, cerca di essere un canale per l’energia di
Dio. Tu non puoi stare seduto ed aspettare una voce che ti parla dalle
nuvole, non succede in questo modo. Prima devi sentire una sintonia con Dio.
Prova a sentire la Sua presenza – il suo amore o la sua gioia. Quindi
innalza ciò che stai pensando sino al divino volere. Se non sembra giusto,
allora saprai che non è giusto. Se invece accresce l’ispirazione che senti
dal tuo superconscio, dalla tua sintonia e se risuona con essa, allora
saprai che è giusto.

Così, in definitiva, quando considero tutte le cose che ho fatto in questi
cinquanta anni di discepolato, so che c’è una sola cosa che importa – e
questa è il nostro amore per Dio. La cosa sorprendente della vita è che ci
dà ripetutamente ogni genere di avversità, tragedie e difficoltà, eppure
guardando indietro dopo molti anni ci accorgiamo che è stato un bene. Se non
fosse capitata quella tragedia, ci saremmo cacciati in un vicolo cieco e non
ne saremmo più usciti.

Abbiamo bisogno di sviluppare una tale fede in Dio da accettare qualunque
cosa Egli ci dia, piacevole o spiacevole, con gratitudine, senza che ce ne
importi. Così molte volte ci ribelliamo e pensiamo: “Oh, perché Lui vuole
così? Tutto tranne questo!” Ma se possiamo avere la fede di capire che Egli
sta guidando le nostre vite ed andare insieme con la Sua volontà, come un
surfista che va con l’onda, allora potremo lanciarci in qualsiasi cosa Dio
ci abbia dato.

AffidaGli la tua vita incondizionatamente, e lasciaLo fare. Non credere di
dovere controllare da solo quell’onda, perché non puoi farlo. Lavora dal tuo
centro o, se sei in un gruppo, lavora dal centro del gruppo. Non lavorare in
maniera distruttiva o separandoti dagli altri, perché questo accade quando
l’ego
entra in scena.

Riferisci sempre ogni dubbio o problema al tuo centro, al centro del gruppo
e specialmente alla volontà di Dio. Allora comincerai a vedere che in
qualche modo tutto scorre facilmente, sebbene tu non possa capire
esattamente come e perché. Al contrario, non devi capire come funziona
perché il lavoro di Dio nelle nostre vite è sempre giusto. I suoi meccanismi
vengono risolti ad un altro livello. Più pensiamo corrugando ansiosamente la
fronte a come andrà a finire, più interferiamo con quel flusso.

Ed allora, cosa ho imparato nei miei cinquant’anni di discepolato? Ho
imparato una cosa soprattutto – che il mio unico obiettivo è di essere un
discepolo sempre migliore.

Spero che quando lascerò questo corpo il Maestro dirà: “Ottimo lavoro,
Walter”.

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