Vivere sognando. Il sogno “lucido” e la realtà presente

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Vivere sognando. Il sogno “lucido” e la realtà presente

Amadio Bianchi

10 aprile 2002 – n.1331

Abito a Milano e, ultimamente, mi sono reso conto che è in forte aumento l’abitudine di parlare da
soli. Quando, ad esempio, mi fermo con la macchina a un semaforo, se mi guardo intorno noto che, fra
gli abitanti delle altre “scatole metalliche viaggianti”, molti intrattengono conversazioni con
interlocutori immaginari. Non mi sto riferendo naturalmente a chi risponde al telefono in “vivavoce”
ma a coloro che, ormai preda dello stato del sogno, lo praticano abitualmente.

In una afosa giornata di luglio, quando i finestrini delle auto erano tutti completamente abbassati,
ho potuto, mio malgrado, seguire una animata discussione che un automobilista stava portando avanti
con la sua compagna. Il fatto curioso era che la sua compagna non era seduta in macchina con lui
come poteva apparire dai suoi gesti, ma, a quanto ho potuto capire, era rimasta a casa. La “recita”
era da “cinema” : perfetta. Questo signore non si rendeva minimamente conto delle diverse realtà che
gli stavano intorno. Ho potuto cogliere la gravità del vivere in questo stato, quando il semaforo è
diventato verde : c’è voluto il clamore “in crescendo” del clakson di oltre 10 vetture perché
l’ignaro signore si risvegliasse mettendosi in moto. Incuriosito, feci quanto era nella mia
possibilità per rimanergli accanto fino al seguente semaforo rosso. Puntualmente dopo pochi secondi
riprese la sua conversazione con la moglie. Provai a guardarmi attorno per constatare se altri
automobilisti fossero incuriositi dal comportamento e, con sorpresa, realizzai che alcuni stavano
soffrendo dello stesso “disturbo” : scambiare il sogno per la realtà. Proprio questo è il fenomeno!
E in circostanze non pericolose sarebbe meno grave, ma quando ci troviamo, ad esempio, seduti al
volante della nostra auto, lasciare la realtà è assai imprudente per la nostra e l’altrui
incolumità.
Vediamo di capire come dovrebbe essere e come un cattivo, per non dire ignorante, uso dei doni che
il “Divino” ci ha elargito, ad esempio la mente, può rivolgersi contro di noi.
In occidente quando si usa la parola mente ci si riferisce al complesso non molto ben definito di
frutti dell’attività del pensare. Ma cosa sono i pensieri? E cosa dimora nella nostra mente ?

Viviamo accumulando l’esperienza che ci procuriamo attraverso i sensi confezionandola con
l’emozione, e lasciando che il prodotto che ne deriva vada a costituire la nostra memoria o
subconscio. I pensieri sono l’emersione, paragonabile a vapori colorati, dal maagma
“subcoscienziale” cioè dalla memoria. La loro natura ha provenienza e origini affini a quella del
sogno. Per questo, all’inizio di questo capitolo, ho fatto intendere che la maggioranza delle
persone vive immersa nello stato del sogno senza esserne consapevole. E per proseguire su questa
strada direi che la mancanza di consapevolezza è preludio alla pazzia. E’ il pazzo che scambia il
sogno per la realtà. Parlare da soli (salvo che si tratti dell’atto di riflettere ad alta voce)
convinti di rivolgersi ad un interlocutore addirittura “vedendolo” come il soggetto del mio
racconto, è per il sottoscritto un chiaro segnale di una disfunzione.
Possiamo affermare con certezza che, come per il sogno, anche nella mente trovano posto solo
immagini legate al passato, pertanto, sottolineo, quando sogniamo o pensiamo siamo immersi nel
nostro passato.

Per questo la cultura indiana, molto attenta verso questa direzione, insiste per un graduale
risveglio che riporti l’uomo alla capacità di vivere il presente come unica possibilità di sana
esistenza cosciente. Per ottenere questa capacità non è detto che si debba rinunciare al mentale: si
tratta di farne un uso più corretto. La mente è un dono di Dio e come tale va onorato, se ben
utilizzato, è uno strumento assai utile. Esso è in grado come un computer di ricordarci quali
esperienze sono state a nostro vantaggio e quali no.
Trattare anche nelle strade spirituali la mente come un nemico è un errore grave che, a mio parere,
porta al disastro. Come per altre situazioni non è lo strumento in se che può ostacolare ma, ripeto,
l’uso che se ne fa.

Le vie orientali più dotte, puntualizzano che l’origine dei guai non sta nella mente in sé, ma nella
natura delle emozioni legate alle esperienze, tanto è vero che, con l’impiego di talune tecniche
come la meditazione, si procede alla loro eliminazione lasciando vivere i fatti solo come memoria.
La tecnica è quella di attivare il sogno “lucido”: lasciare cioè passare i pensieri e con l’aiuto
della consapevolezza o del sogno consapevole spogliarli del loro colore emozionale. Ciò porta alla
reale conoscenza, di ciò che alloggia nel nostro subconscio e alla volontaria liberazione
dall’inclinazione di alcuni pensieri “ospiti indesiderati”. D’altronde è giusto, abbiamo cura della
nostra casa, del nostro abbigliamento, di ciò che deve stare in un cassetto e con quale ordine,
perché non aver cura anche della nostra mente scegliendo che in essa ci sia solo ciò che è giusto e
che non impedisce di vivere il presente?

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