Vivere una separazione coniugale alla luce del Dharma

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Vivere una separazione coniugale alla luce del Dharma

di Massimiliano Foglini

Il Buddha definiva spesso la sofferenza in questi termini:
separarsi da ciò che si ama, non ottenere ciò che si desidera.
Non trovo migliore definizione per descrivere quello che
ho provato durante la mia separazione: sofferenza per non
aver ottenuto ciò che desideravo, sofferenza per essermi
separato da ciò che amavo. Sofferenza per non essere riuscito
a realizzare quello che sognavo, sofferenza per essermi
ritrovato lontano dalle persone (moglie e figlia) con le quali
volevo condividere la vita.

Spesso affrontare una separazione equivale a un braccio di
ferro tra diritti e doveri, giocato assieme a degli avvocati,
giudici, amici, parenti; un tira e molla di parole, sentimenti
e pensieri rivolti a giustificare la nostra posizione, come se,
così facendo, la sofferenza se ne andasse via o per lo meno
si attenuasse. Ho provato e posso garantire che non funziona.

Fortunatamente c.è un.altra possibilità, c.è la prospettiva
del Dharma che ci ricorda di non scappare davanti al dolore,
che ci richiama all’.apertura, alla comprensione, ci invita non
a evitare, ma ad attraversare la sofferenza.

In una separazione ci sono momenti veramente difficili,
periodi più o meno lunghi dove la testa e il cuore si caricano
di emozioni e di tensioni che sembrano impossibili da
contenere.

Io sono stato attraversato da rabbia, amarezza,
tristezza, come se un forte vento fosse entrato dalla finestra
e avesse portato scompiglio nella stanza del mio sé. Più e
più volte sono venuti a visitarmi pensieri tipo –“non è giusto
che tutto questo capiti a me.” O”… .in una maniera o nell’.altra
lei pagherà per tutto questo.. “

Altre frequenti visite le ho avute da parte di forti
emozioni, forse descrivibili solo fisicamente come .
miriadi di sensazioni che si muovono
all’.impazzata in tutto il corpo..

No, non è possibile rendere l’.idea di cosa sia l’.essere
costretti a cambiare casa, a modificare le abitudini, non trovare
più le tue cose al solito posto perché il .posto. non c.è
più. E che dire poi delle frasi abituali, dei saluti quando
uscivi, quando rientravi, dei baci, gli abbracci, gli sguardi…
…. ci sono momenti nei quali ti mancano anche le cose
che non ti piacevano assolutamente!

Una separazione, però, può essere molto più di tutto questo
se viene inserita in un contesto di pratica, se anziché una
battuta di arresto viene vissuta come un’.occasione per salire
più in alto, se anziché ostacolo diventa gradino.

La pratica ci ricorda che la cosa più importante da fare in
qualsiasi momento è il connettersi con la consapevolezza,
l’aprirsi incondizionatamente a quello che c’.è senza giudicarlo
ma con una sensibilità rivolta verso la liberazione,
verso l’abbandono di quella dolorosa centratezza su se stessi
dovuta ai nostri attaccamenti, avversioni, non conoscenze.

La pratica ci incoraggia a vedere fino in fondo come
L’.ego agisca nella nostra vita e ci invita a mettere fine a tutta
la sofferenza che creiamo noi stessi; per dirlo con le parole
del Buddha stesso: “Voi siete gli artefici della vostra condizione,
passata, presente e futura. La felicità e la sofferenza
dipendono dalla mente, dalla vostra interpretazione, non
dipendono dagli altri, da cause esteriori o da esseri superiori.
Ogni problema e ogni soddisfazione sono creati da voi,
dalla vostra stessa mente..”

Gli strumenti che il Dharma ci mette a disposizione sono
molteplici e vanno dalla pratica formale, che ci invita a
sedere assieme a tutto ciò che ci sta succedendo; a quella
informale che ci mostra gentilmente, durante il quotidiano,
quali sono le nostre reazioni, emozioni, quali gli attaccamenti
e le avversioni.

Una pratica che ho personalmente adottato in quei momenti,
dove il rancore si faceva sentire forte, a volte accompagnato
anche da rabbia nei confronti della compagna, è stata quella
di aprirmi completamente a ciò che stavo provando e pensare
che forse la stessa tensione, lo stesso disagio lo sperimentava
anche lei. Mi fermavo a riflettere su quanto anche
lei potesse aver sofferto a causa della situazione che si era
creata: me la immaginavo piangere. era come se sentissi
il suo singhiozzare, il suo respiro irregolare, le lacrime. le
mie stesse lacrime. Vedevo chiaramente che lei soffriva
come me e piangevamo insieme. Un’.immagine piena di
tenerezza, dolcezza. Delicatamente le sussurravo parole di
compassione, parole di amorevolezza: .Che tu possa essere
libera da ogni sofferenza, che tu possa avere nella tua vita
serenità, pace e vero-amore..

Devo ammettere che non sempre la rabbia si è sciolta, ma
ogni volta che pratico una meditazione di compassione, di
amorevolezza, si crea una spaziosità in grado di contenere
tutto ciò che sperimento, non importa cosa. È come se l’.attenzione
si rivolgesse spontaneamente a quel mistero in
grado di accogliere e unificare tutte le cose. È in quell’.apertura
che sento di .essere a casa., che intuisco la realtà del
.nulla esiste separato..

È un paradosso: più mi apro all’.esperienza della separazione
e più mi accorgo che niente può essere realmente separato.

Più mi apro alle cose così come sono e più mi avvicino al
centro dell.Essere. Comprendo che questa apertura equivale
a non attaccarsi a nulla, a vivere pienamente il presente, a
riconoscere che l’Illuminazione è già qui, è già presente. Lo
comprendo e forse non è poco, ma non sempre riesco a
dimorare nel presente, a stare nel .qui e ora., ad aprirmi
incondizionatamente. Non sempre, ma inesorabilmente, la
pratica del Dharma mi prende per mano e mi riporta alla
consapevolezza, all’.unità; dai miei sogni mi conduce alla
veglia della realtà. Ecco che allora le parole di Kabir diventano
anche la mia preghiera:

O mio interiore, l’altissimo spirito,
il Maestro, è vicino,
svegliati, svegliati!

Corri ai suoi piedi
proprio ora è vicino al tuo capo.

Hai dormito per milioni e milioni di anni.
Perché non destarti stamani?

Vorrei concludere dedicando a tutti quei praticanti del
Dharma che devono o hanno affrontato una separazione,
alcune righe che ho scritto durante il ritiro di gennaio 2002
condotto da Corrado Pensa:

Non trovo più divisioni tra uno stato mentale
mio e quello di un altro; ho la percezione del
mentale come uno stato dell’.Essere superficiale,
come se del mare considerassimo solo le
onde senza vedere la vita che c’.è nelle sue
profondità.

Di qui l’.invito della pratica ad immergersi nel
mare del presente, a .rilassarsi profondamente
nelle cose come sono. Anziché cercare
disperatamente di fermare il moto ondoso,
entrare dentro l’.onda, immergersi nell.onda, per
scoprire le profondità dell.Essere.

A volte il mare è così agitato che le onde sembrano
alte più di 10 metri. E’ pensando alla
calma, alla pace delle sue profondità che
coraggiosamente mi ci tuffo dentro!

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