VOCI DALL’OLTRETOMBA EGIZIO
di Pier Giorgio Lepori
per Edicolaweb
David Hatcher Childress è l’autore di una serie di testi che narrano di città scomparse; ma uno, in
particolare, esula dalla linea saggistica che lo contraddistingue ed è un compendio, sorta di
directory contenente una serie di files consultabili in forma slegata, senza per forza dover essere
costretti a leggere l’intera opera qualora si volesse giungere ad una conclusione.
“Le scoperte scientifiche delle antiche civiltà” (Newton & Compton Editori, 2003) lo si può
identificare come manuale “iniziatico”, lettura in grado di fornire dati certi e di facile
comprensione per aiutare il neofita ad intraprendere una riflessione su aspetti storico/archeologici
dapprima non solo sconosciuti ma probabilmente nemmeno da prendere in considerazione e per ricordare
all'”addetto ai lavori” le innumerevoli testimonianze, prove, fenomeni e scoperte che la scienza
tradizionale lascia appositamente nell’oblìo. È un vero e proprio invito per lo scienziato
alternativo, o più semplicemente l’appassionato, a concentrarsi sempre su argomenti e situazioni al
contrario relegate nell’angolo dell’impossibile o dell’improbabile, di fatto negando delle evidenze
talmente lapalissiane da risultare strano o comunque incredibile chiudere gli occhi di fronte a
certune scoperte.
La funzione mnemonica del testo di Childress, all’origine di questo mio articolo, ha funzionato
anche con il sottoscritto sottoponendolo ad un vero e proprio esercizio di reminiscenza dettato da
un capitolo in particolare che prende seriamente in considerazione l’ipotesi di conflitti atomici
verificatisi nell’antichità. Per un sillogismo di idee, che poco o nulla ha a che fare con le
considerazioni su una guerra nucleare ad opera di superciviltà, avvenuta nel periodo solitamente in
discussione (15.000-11.000 a.C.), il tarlo delle radiazioni ha risvegliato i ricordi di una lettura
che feci un po’ di tempo fa (e di cui conservo gelosamente il testo) estremamente interessante ed
avvincente; ma il pensiero, saltando di capitolo in capitolo, si è soffermato sull’ultima partizione
del testo che è in stretto contatto con il titolo stesso di questa recensione.
Chi ha avuto la fortuna di leggere i testi di Philipp Vandenberg ha potuto sicuramente apprezzarne
lo stile narrativo, che mescola sapientemente rigorosità scientifica ad aloni romanzeschi da
racconto misterico. Vandenberg illustra le proprie teorie, o le proprie recensioni, coinvolgendo
emotivamente il lettore, introducendolo in un’atmosfera da thriller mozziafiato, in grado di far
divorare l’intero testo in poche settimane.
L’edizione, della SugarCo Edizioni, è datata 1973. Il titolo è “La maledizione dei Faraoni”;
l’ultimo capitolo racconta una storia allucinante dove gli antichi Egizi, ancora una volta, vengono
disegnati come una stirpe depositaria di una scienza superiore, arricchita da contatti avuti aldilà
delle interazioni umane e tra popoli. Aggiungiamo che la testimonianza è stata portata da un’entità
contattata medianicamente.
L’ International Institute for Psychical Research di Londra conserva nei propri archivi un disco,
registrato il 4 maggio 1936, che contiene suoni gutturali di una voce femminile; gli idiomi “iv” e
“tena” sono quelli che si sentono maggiormente e significano “sono molto vecchia”; sul principio si
pensò trattarsi di un dialetto africano, ma studi più approfonditi lo identificarono come una lingua
che non si parlava più da venticinque secoli.
La voce del medium è quella di un’insegnante del Blackpool, con caratteristiche di medianicità che
andavano dalla xenoglossìa alla scrittura automatica; il suo nome Ivy B. ben presto si nascose
dietro al più conosciuto ed inquietante pseudonimo di “Rosemary”, di cinematografica memoria.
Il dottor Frederic Herbert Wood era un maestro di musica appassionato di parapsicologia e conobbe
Rosemary a scuola; durante l’autunno del 1927. In un incontro a due, Rosemary iniziò a tracciare
strani segni su un foglio; Wood non li riconobbe, ebbe il sospetto che si trattasse di antiche
lettere dell’alfabeto egizio e la conferma gli fu data da Alfred J. H. Hulme, egittologo
dell’istituto di Oxford.
Gli esperimenti continuarono fino al 1931 quando, accanto alla scrittura automatica, iniziarono a
verificarsi i primi fenomeni di xenoglossìa. Nel dicembre 1931 giunse per la prima volta il nome
dell’entità: “Telika” e di seguito “Ventiu” e “Nona”.
Telika era la quarta moglie di Amenophis III; l’ipotesi è stata formulata in base alle tavolette,
ritrovate nel 1887 a Tell el Amarna, che contenevano la corrispondenza con il re babilonese
Kadashman En-lil. Amenophis III sposò la sorella del re di Babilonia ma di cui non si seppe mai il
nome.
La voce, che proferiva attraverso Rosemary, diceva di venire da Babilonia; il termine “Ventiu” era
il nome egizio che le fu dato, mentre l’altro fonema “Nona” indicava essere “la senza nome”.
Storicamente sembra che questa regina avesse una grande influenza presso il Faraone Amenophis III e
la grande paura delle caste sacerdotali era il culto nascente di Aton-Ra, verso cui la regina Telika
nutriva forti simpatie. Probabilmente la Regina fu uccisa dietro un complotto ordito dalle caste
stesse.
Le informazioni che l’entità ha rilasciato attraverso Rosemary sono incredibili ed inquietanti.
Riferimenti alla costruzione delle Grandi Piramidi senza l’ausilio di enormi contingenti umani,
bensì attraverso tecniche ingegneristiche raffinate, si ritrovano proprio all’interno dei verbali
del dottor Wood e del Psychical Institute di Londra; in tempi praticamente non sospetti, trattandosi
degli anni ’30.
Riporto integralmente un brano del testo:
“So che il grande potere che i sacerdoti hanno sul popolo si fonda sulla superstizione. È la
superstizione che consente loro di dominare il popolo. Il popolo li teme.”
Altro brano:
“I sacerdoti occupavano alte cariche e si servivano di scienze occulte come la telepatia. Sapevano
predire il loro futuro. Molte delle cose misteriose che conoscevano non sono mai state scritte ed
erano patrimonio dei massimi esponenti.”
A proposito delle tecniche di realizzazione delle piramidi, Telika si espresse così:
“I nostri sapienti possedevano conoscenze che avrebbero un valore enorme per il vostro mondo, se
riusciste a riconquistarle.”
La voce indica anche che gli Egizi producevano elettricità atmosferica ma non per un uso di
illuminazione; le illuminazioni provenivano da lampade contenenti prodotti chimici. Non si specifica
l’uso dell’elettricità prodotta.
Riporto un altro brano dal sapore mistico:
“Vorrei, potrei dirvi qualcosa a proposito degli elevati tipi di vita con i quali abbiamo avuto
contatto. Per me è altrettanto difficile descriverli. Abbiamo sentito strane cose sul conto di altri
esseri, ma per noi prendere contatto con loro è arduo quanto comunicare con voi. Eppure l’anima di
un defunto può avvicinarsi a chiunque in maniera più agevole di voi sulla Terra. La vostra capacità
di valutazione è così lacunosa. La Terra è un pianeta così sottosviluppato nei confronti di quasi
tutti gli altri. Il sapere e lo sviluppo di tutti gli esseri viventi, se li paragoniamo a questi
tipi di vita più elevati, sono a un livello relativamente basso. Lo stato in cui vivete è una goccia
nell’Oceano. Anche noi non siamo molto più sviluppati. Voi parlate delle nostre capacità e della
nostra sapienza. Io non sono niente e non so niente, tranne le modeste cognizioni di cui dispongo.
Qualche volta, quando mi trovo nelle condizioni che voi chiamate ‘di meditazione’, è come se il mio
corpo fosse attraversato da una luce azzurra proveniente da un altro mondo e questo fa nascere
possibilità di bellezza, di forza e di luminosità che accecano. I custodi della mia vita qui dicono
che la luce azzurra è fatta di raggi di una coscienza più alta che io raggiungerei se perdessi, per
un periodo abbastanza lungo, il contatto con le cose terrene. L’umanità, nella propria limitata
intelligenza, non può sopportare il fatto che non le sarà mai possibile capire le inesauribili
risorse dell’universo.”
Di che cosa stava parlando la voce che raccontava attraverso Rosemary?
A volte si ha la sensazione che ricordasse la sua presenza sulla terra, altre che, al contrario,
stesse illustrando la condizione odierna in cui si trova: collocata in dimensioni diverse dalla
nostra spazio-temporale e profondamente radicata nelle convinzioni religioso-fideistiche di cui
siamo consapevoli.
A prescindere dalle ipotesi che si possono formulare in tal senso, la scienza che va oltre i canoni
standard riesce a dimostrare, spingendosi aldilà dei confini positivi caratterizzanti, che la
lettura della storia è in continua evoluzione; ma soprattutto non possiamo radicarci scleroticamente
in convinzioni dettate più dalla sicurezza che effondono, piuttosto che dal reale senso dimostrativo
in esse contenuto.
Anche Telika parla di una scienza egizia molto sviluppata e di contatti con entità esoterrestri (o
forse addirittura esoterrene) molto più avanzate di noi. Esistono ancora profonde contraddizioni
cronologiche sulla datazione dei monumenti di el-Gizah. Se la voce, riconducibile alla regina
estinta, avesse ragione, la realizzazione dei colossi sarebbe avvenuta 3.330-3.500 anni or sono;
cadrebbero le ipotesi di costruzione nell’11.000 a.C. da parte di una protociviltà profondamente
scioccata e sterminata da un evento catastrofico di portata globale.
Siamo solo all’inizio e l’onda di trasformazione, che necessariamente la Storia dovrà conoscere, è
appena montata.
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