Voglio diventare ciò che sono

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Voglio diventare ciò che sono

(di Marcella Danon)

Ognuno di noi è unico e irripetibile, ha talenti e potenzialità che possono
essere riconosciuti e sviluppati. La volontà è la capacità di dare fiducia a
ciò che si è e di avviarsi verso ciò che si può diventare.

La volontà è la funzione più importante e caratteristica dell’essere umano.
Ben lungi dall’essere una rigida pratica che forza a fare ciò che “si deve
fare”, o non fare ciò che “non si deve fare”, come spesso viene fraintesa,
la volontà è l’arte di “essere e agire”, è la capacità di mettersi
profondamente in contatto con se stessi e di attivarsi per trasformare da
potenza in atto capacità, talenti, progetti, sogni.

Fino a quando non arriva un momento nella nostra vita in cui ci fermiamo a
chiederci “chi sono io?”, “cosa voglio dalla vita?”, “cosa la vita vuole da
me?”, non viviamo, sopravviviamo semplicemente. Confesso che ho vissuto, le
famose memorie di Pablo Neruda, sono – già del titolo – un inno al coraggio
di vivere in modo autentico che ha una potenza maggiore di qualsiasi
disquisizione teorica. E’ questa la volontà di cui parliamo, quella capace
non tanto di trovare le risposte quanto di porsi le domande, capace di
mantenerci sempre attenti a come il mondo risuona in noi e come, a nostra
volta, possiamo risuonare nel mondo.

Il nostro modo di essere nel mondo si costruisce attraverso stimoli esterni,
l’esperienza, la relazione con gli altri, i condizionamenti acquisiti e
subiti, ma si costruisce anche a partire dell’interno, dalla nostra natura
unica e irripetibile e dall’impegno che decidiamo di prendere nei confronti
di quanto ci succede, assumendo un atteggiamento più o meno attivo o
passivo.

Volontà è, prima di tutto, essere presenti a se stessi: essere capaci di
sentire cosa si prova, cosa si sente, cosa si pensa. In secondo luogo, è
valutare, in ogni situazione, come si vuole rispondere, senza farlo in modo
automatico, ma decidendo, volta per volta, la risposta più adeguata alla
situazione, in modo da non essere “vittime” del proprio carattere, di
comportamenti stereotipati, o di una presunta spontaneità che a volte può
solo nascondere la pigrizia di cambiare.

Sì, perché volontà vuol dire cambiare, non per diventare “altro” ma proprio
per scartare ciò che è “altro” e riavvicinarsi, progressivamente, a ciò che
si è veramente, che va scoperto a poco a poco, con l’esercizio, con
l’attenzione, con l’affetto che spetta a noi darci, in prima persona. Non è
mai un forzare, quindi, né aderire a modelli imposto da altri, è un impegno
costante nei confronti di se stessi, per diventare ciò che si è e si può
diventare, concretamente.

Sconcertante, vero? Ma allora, che cosa è questa volontà, come si conosce,
come si sviluppa, come si usa?

Uno degli autori che maggiormente si è concentrato sullo studio e
sull’attivazione della volontà è Roberto Assagioli, il padre della
Psicosintesi, che le ha dedicato un intero libro, oggi un classico della
psicologia umanistica: L’atto di volontà (ed. Astrolabio). Assagioli
descrive questa facoltà come la capacità di percepirsi come “soggetto
vivente”, dotato del potere di scegliere, di costruire rapporti, di operare
cambiamenti nella propria personalità, negli altri, nelle circostanze; e
paragona la sua funzione a quella del direttore d’orchestra, che deve
conoscere, “accordare” e coordinare tra loro i diversi strumenti musicali di
cui ogni essere umano è composto, i diversi aspetti, tratti di carattere,
sfumature di personalità, ruoli e modo di essere che fanno parte di quel
complesso insieme che chiamiamo “io”.
La volontà non si studia in teoria, si sperimenta, si allena, si rafforza.
Abbiamo tutti una volontà, ma spesso non lo sappiamo o non la utilizziamo,
se non sporadicamente, ma non è mai troppo tardi per svilupparla di più!

(Per esercitarsi)

– La ginnastica della volontà –

Esercizi piccoli, ma ripetuti con costanza, è questo il segreto. Si sceglie
un’azione, anche non impegnativa, da ripetere ogni giorno, per un periodo
definito. Per esempio, lucidare le scarpe, riporre al loro posto oggetti che
normalmente si lasciano in giro, leggere una poesia o una pagina di un
determinato libro. Classici sono gli “esercizi inutili” in cui, per esempio,
si rovescia una scatola, di fiammiferi e li si rimette dentro uno ad uno
ripetendosi internamente “lo faccio perché lo voglio”.

– Alimentazione psicologica –

Siamo in continua interazione con il mondo che ci circonda e le diverse
situazioni, luoghi, persone, musiche, letture provocano tutte su di noi
effetti diversi. Nulla ci impedisce, quindi, a seconda delle nostre
necessità o dello stato d’animo, di ricercare quelle situazioni, luoghi,
persone, musiche, letture che ci inducono lo stato che vogliamo
raggiungere – rilassamento o attivazione che sia – o ci permettano di
dissolvere e trasformare stati emotivi che sentiamo pesanti.

– Muoversi! –

Lo stagnare di stati d’animo di malessere è spesso correlato a una staticità
anche fisica. Quando ci accorgiamo che stiamo sprofondando nelle sabbie
mobili di umori cupi la cosa migliore è prenderne atto e muoversi: alzarsi,
fare qualcosa di diverso, uscire, fare una passeggiata, chiamare un amico
simpatico, accendere la radio. Nel momento in cui diventiamo presenti a noi
stessi – riconoscendo la presenza di un disagio – e ci poniamo in modo
attivo di fronte alla situazione, non affondiamo più.

– Servizio alla vita –

Quando agiamo nel nome di un ideale, quando entrano in gioco i valori,
l’altruismo, il sentirsi parte di qualche cosa di più grande di noi –
famiglia, città, pianeta Terra o vita stessa – la nostra volontà, mettendosi
in sintonia con i ritmi della vita, acquista una carica nuova e diventa
capace di realizzazioni prime inimmaginate. Tale è la forza di questa
risorsa che abbiamo in noi e che trova nel servizio alla vita – “non la
mia, la tua volontà sia fatta” – la sua espressione più alta e potente.

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