Yoga della divinità 1
LO YOGA DELLA DIVINITA’
(Anonimo)
Prima parte
Lo “yoga della divinità” o “yoga di essenza divina” (devayoga) è la pratica fondamentale ed
essenziale delle 4 classi del tantra : in tutti i tantra infatti è previsto il devayoga per la
rapida accumulazione di meriti e saggezza discriminante. A partire da una buona comprensione della
Vacuità e di bodhicitta, il praticante visualizza se stesso come una particolare divinità e vi si
identifica, cancellando l’immagine di sè come essere ordinario e limitato. La pratica di questo
yoga ha lo scopo specifico di ottenere il sambhogakõya di un buddha.
In questo yoga dunque, lo yogi medita su se stesso come se avesse un aspetto simile ad un corpo
divino o R¾pakõya e al tempo stesso la sua mente riconosce la Vacuità : la coscienza della saggezza
che comprende la Vacuità e si fonde con essa, appare in forma di divinità. In questa pratica, un
singolo momento di coscienza conosce la forma di una divinità mentre contemporaneamente è
consapevole della sua natura di Vacuità : qui dunque meditazione sulla divinità e conoscenza della
Vacuità coesistono in forma completa all’interno di un singolo momento cognitivo,
cioè vi è la loro piena fusione all’interno di una singola entità di coscienza (che non è la
semplice congiunzione di due distinti fattori che si completano l’un l’altro). Sia il Põramitõyõna
che il Vajrayõna hanno un Sentiero per conseguire – con la meditazione sulla Vacuità – un
Dharmakõya, ma solo il Vajrayõna possiede un metodo speciale per ottenere un R¾pakõya : questo
metodo è il devayoga. La saggezza che riconosce la Vacuità è la causa specifica del Dharmakõya e una
causa concomitante del R¾pakõya ; viceversa, il devayoga è la causa specifica del R¾pakõya ma anche
la causa concomitante del Dharmakõya.
Normalmente siamo insoddisfatti perchè abbiamo una visione ristretta, limitata e limitante della
realtà e, in particolare, di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare : siamo intrappolati
nell’insoddisfazione perché l’immagine che abbiamo di noi stessi è opprimente, inferiore e negativa.
Il nostro potenziale umano, le nostre risorse interiori, vanno invece considerate in modo
trascendentalmente bello, puro, forte, abile e vitale, cioè ci dobbiamo vedere come dèi e come dee.
Per far ciò ci dobbiamo addestrare nello “yoga della divinità” : più ci abituiamo a dissolvere nello
spazio vuoto le concezioni ordinarie che abbiamo di noi stessi e a visualizzarci nell’aspetto del
glorioso corpo di luce del nostro yi-dam, e meno limitati ci sentiremo dalle frustrazioni e
delusioni della normale e banale vita quotidiana. Se ci identifichiamo come dèi (ad es., Mañjuærú)
stimoleremo la nostra mente a risvegliare e sviluppare quelle qualità che essi rappresentano (ad
es., la saggezza) e che sono latenti in noi (dato che abbiamo dentro di noi la “natura di buddha”)
e saremo in grado di aprirci alle forze positive esistenti dentro e fuori di noi. Le nostre
ordinarie apparenze (ciò che vediamo, ascoltiamo, gustiamo, ecc.) verranno trasformate nel godimento
pieno di beatitudine della divinità.
Dunque, il tantra è l’antidoto che cura l’immagine molto limitata che abbiamo di noi stessi, fondata
sull’auto-commiserazione. Essa è il principale ostacolo alla crescita di amore e saggezza. La cura
consiste in una catarsi generata da un processo di alchimia psichica : ci emaniamo visualizzandoci
come una divinità (yi-dam), riconoscendo le nostre qualità positive. E’ questo il cd. “yoga della
divinità”, in cui contempliamo l’orgoglio divino abbinato alla consapevolezza della Vacuità. Il
metodo del tantra è di eliminare gli stati mentali grossolani, superficiali, illusi e dualistici
facendo in modo che si manifesti la mente (o coscienza) sottile, originaria e fondamentale (che
risiede ed opera nell’inconscio) mediante tecniche come il gtum-mo o la meditazione sugli stadi di
assorbimento del processo della morte. Al momento, questa mente sottile – che è fonte di chiarezza e
di pace – è fuori uso, è come addormentata ; ma con quelle tecniche essa verrà attivata
nell’avadh¾ti, cioè diverrà operativa.
L’identificazione del meditante col dio comporta la sua disidentificazione dagli aspetti parziali e
dualistici del proprio essere. Percependo il proprio io come se fosse già quintessenziato dalla
bellezza e dalla forza della divinità – anticipando perciò l’effetto alla causa – si giunge alla
maturazione dello “Stadio di Generazione”. In questo stadio il praticante prende progressiva
famigliarità con la sua vita interiore, astenendosi però ancora dall’intervenire sul proprio “corpo
sottile” – la cui trasmutazione darà per risultato (nello “Stadio di Perfezionamento”) la
trasformazione della persona nella divinità.
LA DIVINA APPROSSIMAZIONE.
Quando riceviamo un’iniziazione, il maestro-vajra ci dà una divinità (yi-dam) da visualizzare in
accordo col nostro temperamento (intellettuale, passionale, ecc.). Ora, la “divina approssimazione”
(lha’i bsñen-pa) o “approccio preliminare” (sÒon-du bsñen-pa byed-pa) è il periodo iniziale del
devayoga, in quanto ci si familiarizza con quella determinata divinità avvicinandosi sempre più alla
sua condizione.
Prima di meditare su un corpo divino, occorre stabilire attraverso il ragionamento la propria
esistenza non-intrinseca ; poi questa stessa mente che ha come oggetto la propria Vacuità, si
manifesta sotto forma di volto, di membra, ecc. della divinità (ad es., Vairocana). Questi due
elementi (la saggezza che riconosce l’esistenza nonintrinseca e l’idea della divinità) sono un’unica
entità : la mente che constata la Vacuità sotto forma di divinità ha come suo oggetto referente la
Vacuità e come suo oggetto apparente e convenzionale un corpo divino. Con l’esercizio, gradualmente
ci si abitua a questa manifestazione di una divinità priva di esistenza reale, simile ad
un’illusione. La forma divina, come pure i suoni, ecc. si manifesteranno ancora, ma la nostra mente
constaterà o coglierà esclusivamente la Vacuità.
Avvicinandosi sempre più alla condizione della divinità del devayoga, la divinità stessa elargisce
allo yogi le siddhi – o direttamente o conferendo alla mente del praticante una determinata
capacità.
Dopo il completamento dell’ “approssimazione divina” avviene la vera e propria acquisizione delle
siddhi mediante il compimento delle pratiche prescritte (offerta di olocausti, ripetizione di
mantra, ecc.). Infine, tali siddhi vengono impiegate dal praticante per il bene altrui, cosicchè si
ha un’ancor più grande accumulazione di meriti (che ci faranno raggiungere la buddhità più
rapidamente che non col Veicolo dei Sutra).
“AUTO-FONDAMENTO” ED “ETERO-FONDAMENTO”. Meditando sulla Vacuità, si immagina che tutte le cose si
dissolvono in luce e si assorbono nel nostro corpo, che diviene vuoto e scompare : la nostra mente
percepisce solo chiarezza e vuoto. La divinità può sorgere da questa chiara vacuità in due modi : o
tutta ad un tratto (cioè istantaneamente) nell’interezza delle proprie sembianze oppure dalla
trasformazione di un disco lunare e di una sillaba-seme. In questo secondo caso, nel posto dove ci
troviamo compare un fiore di loto, che si trasforma nel bianco disco di una luna piena ; su questo
appare l’essenza della nostra mente o coscienza nell’aspetto di una sillaba-seme (búja) ; questa si
trasforma nella divinità, cioè assume il suo aspetto : la nostra mente si manifesta in tale forma
divina e ci identifichiamo totalmente con questa. Il meditante è convinto di essersi trasformato
nello yi-dam, cosicchè visualizza se stesso con quel corpo divino, che è luminoso e vuoto (gsal-sto
lha-sku).
Questo procedimento è detto “AUTO-FONDAMENTO” (bdag-gi g²i) o “AUTO-GENERAZIONE” (mdun-bskyed) o
“generazione di se stessi come divinità” (bdag-bskyed) : si tratta della creazione mentale dello
stato fenomenico dello yi-dam, della sua “forma di voto (samaya)” – perchè è solo sotto questo
aspetto che esso può manifestarsi per adempiere al voto di aiutare gli esseri senzienti1. La persona
che s’immagina come divinità è detta appunto “samayasattva” (“Essere d’impegno”) : essa non è la
divinità vera e propria, ma ne è il simbolo.
Successivamente si evoca l’effettiva divinità, che è detta “jñõnasattva” (“Essere di saggezza
trascendentale”), invitandola ad abbandonare la sua Terra Pura (che è un’estensione del Dharmakõya)
e ad approssimarsi a noi. Questa divinità viene pertanto visualizzata davanti allo yogi : è una
divinità simile al samayasattva, un secondo yi-dam sistemato e presente difronte ad esso2. Questo
procedimento è chiamato “ETERO-FONDAMENTO”
Infine si visualizza che il jñõnasattva entra nel samayasattva e fondendosi vi si dissolve, per cui
lo yogi diventa la divinità vera e propria3. Questo processo è detto “INGRESSO” (g²ug-pa) di un
“essere di saggezza”.
Dunque, nelle pratiche di visualizzazione tantrica, la dimensione di soggetto ed oggetto viene
trasformata in due aspetti della divinità. Ad es., io mi visualizzo come Tara e ciò prende il nome
di “samayasattva” (divinità della promessa) perché sottintende la mia intenzione e il mio impegno di
realizzarmi ; difronte a me invece visualizzo un’altra immagine di Tara, detta “jñõnasattva”
(divinità della saggezza) perché rappresenta l’energia degli Illuminati.
Samayasattva e jñõnasattva sono quindi i due livelli d’esistenza della divinità : a) il jñõnasattva
è l’aspetto ultimo della divinità : lo stato di Illuminazione, la conoscenza originale. Appartiene
al dominio della Vacuità, onnipresente ed onnipenetrante ; esiste nell’eterno presente,
l’immortalità. Poichè questo aspetto trascende ogni concetto ordinario, si utilizza l’aspetto
formale (il samayasattva) attraverso il quale il jñõnasattva si rivela ; b) il samayasattva è
l’aspetto visualizzato della divinità ; è il ricettacolo e il veicolo della sua influenza
spirituale. E’ l’espressione stessa del jñõnasattva con la quale si sviluppa una relazione :
meditazione e recitazione del mantra. Tutti questi processi meditativi (auto-generazione, ecc.)
prevedono numerose varianti a seconda del grado di avanzamento dello yogi, grado che corrisponde al
tipo di tantra utilizzato, come descritto nei vari paragrafi dedicati alle 4 classi di tantra.
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