Yoga della divinità 2

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Yoga della divinità 2

LO YOGA DELLA DIVINITA’

(Anonimo)

Parte seconda

1 Quando ci si trova ancora nelle fasi iniziali della pratica, è meglio invertire questo processo
col
successivo, compiendo prima l’etero-fondamento e poi l’auto-fondamento.

2 Lo yogi gli presenta allora le varie offerte e ne riceve benedizioni (byin-rlabs) ; gli chiede
anche i benefìci che gli stanno a cuore: la pioggia, l’allontanamento dei demoni, ecc.

3 In questo momento la divinità è realmente presente. Ciò fu dimostrato, ad es., dal fatto che –
dopo la loro evocazione attraverso la meditazione – le divinità rappresentate in un dipinto ne siano
uscite, vi abbiano fatto un giro attorno e vi siano rientrate: si è potuto allora osservare che i
loro abiti ed accessori avevano assunto posizioni diverse sul dipinto.

LE 4 “COMPLETE PUREZZE”.

Nel devayoga ogni cosa che appare è congiunta con la vacuità e con la divinità, il
che significa attuare l’esperienza delle “4 complete purezze” di ambiente, di corpo,
di risorse e di attività:

1. il nostro ambiente esterno, le case e le città sono visti come la residenza pura e
straordinaria delle divinità (cioè come il palazzo, luminoso e fatto di pietre
preziose, di un maÐÅala divino) e l’intero universo va identificato con la Pura
Terra di un Buddha1 : ogni cosa contenutavi è considerata e sperimentata come
intrinsecamente perfetta, sacra e bella ; tutti i suoni che sentiamo sono
percepiti come la melodiosa sonorità del mantra di quella divinità (anzichè
come vuoto chiacchierio o rumore disturbante) ; e ogni pensiero ordinario e
tutto quanto può avvenire vanno concepiti come divino svago, come un gioco
del Dharmakõya (cioè quale manifestazione della suprema saggezza [jñõna] di
quel buddha, saggezza che comprende la Vacuità) ;

2. il nostro corpo (ed ogni altro essere) è visto come una manifestazione della
non-sostanza pura ed indifferenziata, ed è rispettato perchè dotato delle qualità
e capacità di un buddha potenziale. In una parola : ogni essere è considerato
un nostro compagno divino, un Buddha, un Bodhisattva o un Åõka (perchè
siamo consapevoli del valore e della positività della sua esistenza), che sono
qui per aiutarci a realizzare l’Illuminazione ;

3. i nostri mezzi, godimenti ed oggetti desiderabili (es. cibi e bevande) sono visti
come nettare (che provoca la beatitudine) da offrire a noi stessi che siamo
visualizzati nell’aspetto di quel buddha (cioè quali cose sacre perché offerte a
un buddha) o come le alte qualità di cui è dotato un buddha ;

4. qualunque azione da noi compiuta è vista come la suprema e pura attività
illuminata di un buddha, consistente nel dare aiuto agli esseri e tesa alla loro
maturazione spirituale.

Anche nelle attività quotidiane si dovrebbero purificare così tutte le
manifestazioni del saËsõra ed integrarle nella Vacuità auto-illuminante,
intravedendo così l’unità di tutte le cose.
In tal modo si mette in moto un processo di trasformazione che permette di
sostituire le visioni ordinarie della nostra mente dal contenuto impuro con visioni
pure.

Lo “yoga della divinità”, se effettuato a partire da una buona comprensione
intellettuale della vacuità, protegge la mente dalle apparenze e dai concetti ordinari
attraverso le suddette “4 complete purezze”. Il maggior ostacolo alla pratica tantrica
è considerare noi stessi, e il mondo che ci circonda, impuri : per cui dobbiamo
trasformare la normale visione impura in visione pura.

La pratica tantrica o esperienza dove percepiamo e visualizziamo il nostro corpo,
gli esseri, le azioni e i fenomeni come puri e divini è detta “chiara apparenza” : ci
concentriamo sulla chiara percezione di noi stessi come divinità e il nostro ambiente
come maÐÅala finchè riusciamo a comprendere simultaneamente la visione globale
fin nei minimi dettagli.

1 Così, invece di pensare al nostro ambiente come a un luogo pericoloso, colmo di inquinamento,
radiazioni e veleni, lo consideriamo positivo, piacevole e attraente, perchè la natura, l’acqua, gli
alberi,
gli esseri umani si aiutano gli uni con gli altri.

2 In altre parole, questo mondo ordinario e samsarico viene trasformato nel maÐÅala del
saËbhogakõya,
cioè nella dimensione della totale ricchezza e soddisfazione dell’esperienza vissuta (dimensione che
non
si basa su passioni ed impulsi, ma sui 5 aspetti della saggezza primordiale).
Tutto ciò serve ad evitare che sorgano le nostre ordinarie apparenze dualistiche1 e
la concettualizzazione del nostro ambiente, del nostro corpo ordinario, dei nostri
averi e delle nostre azioni, e a eliminare l’attaccamento a tali apparenze e la credenza
che siano realmente ed intrinsecamente esistenti. In altre parole : lo scopo di questo
tipo di meditazione è non solo quello di fare una vera esperienza del carattere
illusorio della nostra realtà, ma anche quello di liberarsene, dissolvendo i legami che
ineriscono a questo mondo fenomenico.

In effetti, siccome in ogni stadio di questa meditazione si deve mantenere una
costante consapevolezza della vacuità, questo è un metodo efficace per vincere le
“apparenze ordinarie” e le “concezioni ordinarie” e per purificare i nostri ambiente,
mezzi, corpo, parola e mente.

Le apparenze ordinarie e le concezioni ordinarie sono la radice del saËsõra.
“Apparenza ordinaria” è ogni apparenza dovuta ad una mente impura, “concezione
ordinaria” è ogni mente che concepisce qualcosa dovuta a un’apparenza ordinaria. I
fenomeni ci appaiono come ordinari e noi li concepiamo come ordinari. Le
concezioni ordinarie dipendono dalle apparenze ordinarie. Le apparenze ordinarie
sono ‘ostruzioni all’onniscienza’, le concezioni ordinarie sono ‘ostacoli alla
liberazione’ : ad es., mi considero una persona ordinaria (penso “Io sono Aldo”),
perché alla mia mente mi appaiono aggregati ordinari, cioè un corpo grossolano e
impuro e una mente grossolana e impura ; e sotto l’influenza di tali concezioni
ordinarie, creo continuamente karma negativo. Per ovviare a ciò, dovrei invece
visualizzarmi come una divinità, sviluppando l’orgoglio divino di essere – ad es. –
Heruka o Vajrayoginú.

Per il praticante tantrico i principali oggetti da abbandonare durante la pratica non
sono i kleæa ma le apparenze ordinarie e le concezioni ordinarie, perché quando
queste si manifestano fortemente, la pratica tantrica non funziona.

L’ “ORGOGLIO DIVINO”.

Nel contemplare il mondo esterno come un mandala divino, ci dobbiamo sentire
orgogliosi di essere divini anche noi. Con la scomparsa dell’aspetto ordinario e
impuro del proprio corpo e mente a seguito dell’immaginarsi – col devayoga – sotto
una forma divina, non si ha più il senso di un “io” imperfetto (perchè si è
trasformato nei puri skandha mentali e fisici della divinità) : da ciò si sviluppa l’
“orgoglio divino” (lha’i a-rgyal), cioè la forte certezza d’avere raggiunta
l’identificazione con lo yi-dam e quindi il senso di un “puro io”, la fierezza del
proprio rango di divinità, un senso elevato della nostra identità fondato su
quell’apparenza divina – per cui vengono eliminati i nostri pensieri di autocommiserazione
e la nostra solita concezione delle apparenze ordinarie, ponendo
invece in risalto le nostre qualità positive e facendoci identificare con esse :
riconosciamo che la perfezione è racchiusa dentro di noi, per cui dobbiamo avere
fiducia in noi stessi, eliminando l’idea di avere questa o quella limitazione. Questo
“orgoglio divino (o “fierezza, dignità divina”) fa emergere il potenziale
d’illuminazione che è dentro di noi (la nostra “natura vajra”), facendoci
comprendere che la nostra persona è la manifestazione di una spiritualità

1 Propriamente, l’ “apparenza ordinaria” è la percezione di se stessi, del corpo, dell’ambiente, dei
fenomeni e dell’azione come impuri, ordinari e della natura della sofferenza ; l’ “apparenza
dualistica” è
la maniera di relazionarsi al mondo considerandolo solido e permanente, e credendo che tutti i
fenomeni
siano reali, totalmente indipendenti e separati dal nostro corpo e mente.
onnipervadente : il che ci influenza positivamente in modo tale che si agirà (con
corpo, parola e mente) con la dignità conforme ad essa e farà scomparire la
preoccupazione per noi stessi come costituiti di carne ed ossa.
Prima del devayoga i desideri e i pensieri che si basavano sugli oggetti ci
legavano al saËsõra, mentre ora – considerando ogni cosa come divina – questa può
essere usata come mezzo d’aiuto per la Liberazione (come il veleno usato in
medicina serve per la guarigione). Questa “fierezza” dunque non è una forma di
esaltazione psichica basata su un senso di deificazione, ma un mezzo per
controbilanciare il modo in cui abitualmente sperimentiamo la mondanità della
nostra esistenza, che si basa su passioni ed impulsi.

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